Tra le novità introdotte dal d.l. n. 83/2015 c'è la conversione del pignoramento a rate in tre anni e versamenti semestrali

di Marina Crisafi - Il nuovo quarto comma dell'art. 495 c.p.c., introdotto dall'ultimo decreto di riforma della giustizia (d.l. n. 83/2015), appena entrato in vigore, prevede la possibilità per il debitore di rateizzare il debito dopo il pignoramento e la distribuzione delle somme ricavate ai creditori da parte del giudice.

In realtà, la conversione del pignoramento "a rate", quando l'oggetto dello stesso è costituito da beni immobili, era già prevista dalla disposizione del codice di rito, in presenza di giustificati motivi, con versamenti mensili della somma dovuta, entro il termine massimo di 18 mesi, maggiorati dagli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito oppure, in difetto, al tasso legale.

Ora il nuovo 4 comma dell'art. 495 c.p.c., già operativo, anche per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legge, estende tale possibilità anche ai pignoramenti di "cose mobili" e il termine massimo delle rateizzazioni a 36 mesi, disponendo altresì che il giudice provveda, ogni 6 mesi, a versare "al creditore pignorante o alla distribuzione tra i creditori" le somme pagate dal debitore.

Se si guarda alla norma, unitamente alla modifica dell'atto di precetto, ex art. 480 c.p.c. (leggi "Il nuovo atto di precetto dopo il decreto ‘anti credit crunch'
"
), e alla ratio dell'intero decreto, è chiaro in definitiva che il disegno del legislatore è quello di spingere le parti a trovare un accordo diverso dall'esecuzione forzata, muovendo verso soluzioni alternative per accelerare la chiusura della procedura e ottenere da un lato la soddisfazione del creditore, evitando, dall'altro, di sovraindebitare il debitore.

Se, infatti, nel nuovo precetto si spinge il creditore ad avvisare il debitore che può raggiungere accordi e proporre piani con l'aiuto di organismi e professionisti nominati dal giudice, dall'altro, nel nuovo art. 495 c.p.c., si concede al debitore un maggiore tempo per diluire il debito.

La rateizzazione è imposta (al creditore) dal giudice, d'ufficio, sulla base di una scelta discrezionale che dipende da "giustificati motivi" (tra i quali potrà ben rientrare anche il non aggravare il sistema con il proseguire la procedura esecutiva) e non vi sono riferimenti a "soglie" oltre le quali il pagamento rateale non è applicabile, ma soltanto il termine massimo (triennale) entro cui ottemperare.

Una volta accordata la rateizzazione, inoltre, il pignoramento dovrebbe restare a garanzia dei pagamenti. Ciò significa che, nel caso di debiti molto elevati e comunque difficili da rimborsare anche a rate, il termine di 36 mesi rischia di trasformarsi in una mera "sospensione" dell'esecuzione, vanificando così l'intento del legislatore di spingere verso soluzioni alternative che, se fossero state possibili, non avrebbero certo portato all'espropriazione forzata.


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