Esempio di consulenza legale on line

Se decidete di avvalervi di un eservizio di consulenza legale on line verificate innanzitutto chi sono i vostri interlocutori. Spesso un semplice scambio di e-mail non è sufficiente per conoscere chi si occuperà del vostro caso.

Una volta individuato il professionista più adatto alle vostre esigenze, chiedete un preventivo. Sappiate che le consulenze telematiche generalmente hanno un costo che vca dai 15 ai 150 euro ma è anche possibile che per questioni che richiedono uno studio particolarmente complesso le richieste superino tali importi.

Ricordate inolter di chiedere che la risposta vi sia fornita in forma chiara e complensibile ma che sia anche corredata di tutti i riferimenti giurisprudenziali e normativi.

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Come proporre dunque il vostro questito?

Evitate di dilungarvi troppo e andate all'essensiale. Ecco un esempio di come potreste porre una domanda:
Da circa 22 anni ho in uso un appartamento senza aver mai stipulato alcun tipo di contratto. Durante i primi cinque anni in cui ho posseduto l’immobile ho anche eseguito per conto dei proprietari alcuni lavori senza percepire alcuna remunerazione e ho provveduto a ristrutturare l’appartamento che necessitava di interventi strutturali. Solo negli ultimi cinque anni ho corrisposto un canone di 300 euro mensili su pressione del proprietario. Ora mi è stato chiesto di lasciare libero il locale e vorrei sapere se, dato il tempo trascorso, posso considerarlo di mia proprietà per averlo usucapito. Se questa strada non fosse percorribile vorrei sapere se posso chiedere il pagamento dei lavori che non mi furono remunerati. Segnalo inoltre che anche negli ultimi anni ho svolto qualche lavoro non retribuito sia pure di minore entità.

La risposta in un caso come quello proposto dovrebbe contenere tutti gli elementi necessari per consentirvi di trovare soluzioen al vostro problema. Ecco un esempio di risposta:

Gentile utente, per rispondere al quesito è necessaria una premessa di carattere generale. L’usucapione, detta anche prescrizione acquisitiva, è disciplinata dagli artt. 1158 - 1167 del nostro Codice Civile e consiste nell’acquisto della proprietà a titolo originario mediante il possesso continuato nel tempo. L’art. 1158 c.c. in particolare stabilisce che “la proprietà di un bene immobile e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni”; ciò significa che la condizione necessaria per maturare l’usucapione, e quindi il diritto di proprietà su un bene immobile, è che vi sia stato un possesso continuato e di durata ventennale. Questa continuità viene a mancare, impedendo così l’acquisto per usucapione, nel momento in cui si verifica una interruzione del possesso. A tale proposito l’art. 1165 del codice civile richiama, in quanto compatibili con l’usucapione, le norme che il nostro ordinamento giuridico prevede in generale per l’interruzione della prescrizione (artt. 2943 – 2945 c.c.). Tra le diverse cause di interruzione, la giurisprudenza (Cass. civ., 13 agosto 1985, n. 4428 e Cass. civ., 7 maggio 1987, n. 4215) considera tale (ai sensi dell’art. 2944 c.c.) il riconoscimento da parte del possessore del diritto altrui, che può desumersi anche da fatti concludenti. Ora, se è vero che lei ha posseduto da 22 anni ad oggi l’appartamento di cui vorrebbe usucapire la proprietà, è anche vero che prima che fosse decorso il termine ventennale ha corrisposto un canone di locazione. Così facendo, lei ha compiuto un atto di riconoscimento della proprietà altrui e interrotto il termine per maturare l’usucapione.
Un altro problema che è dato dalla natura del possesso. Lei dice che non ha stipulato nessun contratto. In realtà il problema è solo di natura probatoria. Mi spiego meglio. Nel nostro ordinamento giuridico vige, ai sensi dell’art. 1325 n. 4 c.c., il sistema della libertà delle forme per la stipulazione dei contratti. Fatti salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge per i quali è prevista la forma scritta a pena di nullità, è dunque sufficiente, perché un contratto sia valido e produttivo di effetti, che la volontà delle parti sia manifestata qualunque sia il modo o la forma di tale manifestazione. Nulla vieta che le parti stipulino un contratto perfettamente valido anche oralmente. Lo stesso contratto di locazione (ad eccezione di quelli che prevedono una scadenza ultranovennale - per i quali la legge impone la forma scritta - ma quelli per uso abitazione normalmente hanno una durata di 4 anni con tacita riconduzione) rientra nel novero di quei contratti per i quali vi è piena libertà di forme. Bisogna quindi valutare se in concreto le parti abbiano posto in essere anche attraverso l’adempimento di determinati obblighi reciproci un contratto qualificabile come locazione. L’art. 1571 prevede che “la locazione è il contratto con il quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un dato corrispettivo”. Una volta stipulato tale contratto, sulle parti sorgono degli specifici obblighi. Tra quelli del locatore vi è, ai sensi dell’art. 1575 c.c., quello di consegnare il bene al conduttore; e tra quelli del conduttore, ai sensi dell’art. 1587 c.c., quello di versare il corrispettivo canone. Inizialmente lei non ha corrisposto il canone pattuito ma ha eseguito gratuitamente dei lavori operando una sorta di compensazione tra dare e avere. Poi addirittura ha pagato le 300 euro mensili richieste proprio come canone di locazione. In questo modo si è posto in essere un vero e proprio contratto di locazione che preclude in partenza la possibilità dell’usucapione. L’unico problema che può generare un contratto “orale” è, infatti, la difficoltà, per la parte che vuole dimostrarne l’esistenza, di offrire la prova dell’avvenuta sua stipulazione. Ma può bastare anche una prova per testimoni.
Per quanto riguarda i lavori condotti all’interno dell’immobile oggetto della locazione, l’art. 1576 c.c. sancisce che è dovere del locatore, durante la durata del contratto, eseguire tutte le riparazioni necessarie, a eccezione di quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore. Quando, poi, la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore perché non di piccola manutenzione questi è tenuto, ai sensi dell’art. 1577 comma 1, a darne avviso al locatore, e “se si tratta di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente salvo rimborso, purché ne dia contemporaneo avviso al locatore”. L’art. 1592 del c.c. stabilisce, inoltre, che se il conduttore apporta miglioramenti alla cosa locata senza il consenso del locatore (ad esempio vengono rifatti i pavimenti) non ha alcun diritto a farsi indennizzare per i miglioramenti apportati. Tutto ciò premesso è chiaro che le spese da lei sostenute per il recupero strutturale del locale difficilmente potranno essere recuperate. Questo sia sulla base di quanto disposto dagli articoli appena indicati, sia perché manca, da quanto mi ha chiarito telefonicamente, anche in questo secondo caso, la prova documentale di dette spese. L’art. 2697 comma 1 c.c, stabilisce infatti che “chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. A tutto ciò si aggiunga, infine, che la spesa da lei sostenuta per il recupero del locale risale ai primi anni in cui lei ha occupato l’immobile. Pertanto, trattandosi di un diritto di credito, esso è soggetto alla disciplina dell’art. 2046 c.c in base alla quale “salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
Per quanto attiene il lavoro da lei prestato dobbiamo parlare di un credito retributivo soggetto al termine di prescrizione quinquennale (art. 2948 n. 4 c.c.) che comincia a decorrere già nel corso del rapporto di lavoro. Se lei ha lavorato anche negli ultimi cinque anni dovrà provare l’esistenza di un contratto di lavoro. Così se lei ha svolto la sua attività presso gli uffici del suo datore di lavoro soggiacendo alle sue direttive può dimostrare l’esistenza di una forma di lavoro subordinato. Tenga conto peraltro che è necessario conoscere il tempo che lei ha dedicato a tale lavoro. Se si tratta di un part – time il Decreto legislativo n. 61 del 2000 all’art. 1 prevede per la validità di tale contratto la forma scritta e “una puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”. Ciò non toglie che ogni qual volta ci si trovi in presenza di una prestazione di lavoro subordinato, quand’anche le parti abbiano non previsto o escluso un obbligo retributivo, quest’ultimo nasca automaticamente e sia azionabile dal lavoratore, salvo i casi in cui si tratti di prestazioni svolte a titolo di cortesia. E’ suo diritto, pertanto, promuovere un’azione in sede civile (Giudice del lavoro) per ottenere il riconoscimento delle retribuzioni relative agli ultimi cinque anni lavorativi. Tutto ciò a patto che riesca a fornire la prova dell’esistenza del vincolo giuridico non scritto, delle direttive impartitegli dal datore di lavoro e, non ultimo, dell’effettività della prestazione lavorativa svolta. Sarà, poi, il Giudice a individuare la corretta fattispecie contrattuale cui ricondurre il lavoro da lei prestato e a determinare l’ammontare complessivo delle retribuzioni di sua spettanza sulla base di quanto disposto dall’art. 2099 comma 2 del Codice Civile.

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