La situazione emergenziale non giustifica la violazione dei principi stabiliti dalla legge in materia di immissioni rumorose. Le parole d'ordine restano sempre rispetto, educazione e buonsenso

di Lucia Izzo - Una delle immagini più simboliche e rappresentative della quarantena in Italia è quella di intere famiglie assiepate sui balconi delle loro case, impegnate in canti, musica, flash mob, conversazioni a distanza, applausi e omaggi di vario genere prestati senza spostarsi dalle proprie abitazioni, come prescritto dalla legge.

Coronavirus e vita in condominio

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Una vera e propria cartolina dell'Italia che resiste e che non si è piegata alle difficoltà che la diffusione del COVID-19 lungo tutta la penisola ha determinato per molti cittadini. Questa situazione ha, però, anche un risvolto meno positivo. In molti si sono sentiti legittimati ad "esasperare" un momento d'unione, a urlare dai balconi, a tenere musica a volumi altissimi a ogni ora del giorno e, in generale, a compiere attività che possono integrare un vero e proprio disturbo per i vicini di casa.

L'emergenza nazionale ha comportato molte limitazioni, la più sentita è stata quella relativa agli spostamenti, ma di certo non ha acconsentito alla possibilità di schiamazzare indiscriminatamente e fare rumore creando disagio agli altri. Pertanto, è ben possibile che di fronte a situazioni intollerabili alcuni si sentano legittimati ad attivare la tutela apprestata dalla legge.

Certo, uno sporadico flashmob sul balcone non può ritenersi illegittimo, soprattutto qualora la sua durata sia contenuta e purché avvenga nel rispetto delle fasce di riposo (spesso previste direttamente dai Regolamenti Condominiale o percepibili con un po' di buonsenso). Ciò in quanto nello stabile potrebbero esserci persone che hanno continuato a lavorare, che necessitano di tranquillità e così via.


Insomma, le parole d'ordine restano sempre rispetto, educazione e buonsenso poiché la forzata permanenza casalinga non può tradursi in una violazione dei principi stabiliti dalla legge in materia di immissioni rumorose. I rischi sono sia civili che penali.

Immissioni sonore intollerabili

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L'art. 844 c.c., come noto, è la norma generale che si occupa delle immissioni, rumori compresi. Le immissioni sonore, secondo tale disposizione, sono ammesse purché non superino la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

I proprietari di un immobile potranno, dunque, richiedere la cessazione dei rumori oppure, qualora questi continuino nonostante l'esplicita richiesta, adire le vie giudiziarie per ottenere l'inibitoria dell'attività rumorosa e l'eventuale risarcimento dei danni. Ciò, ovviamente, a patto che i rumori vengano giudicati intollerabili.

Oltre ai principi civilistici, che regolano i rapporti tra privati, la tutela passa anche attraverso un regime amministrativo. Le legge e i regolamenti individuano criteri legali di misurazione ancorati a indici predeterminati, il cui superamento determina una violazione.

Tuttavia, il superamento dei livelli massimi di tollerabilità determinati da leggi e regolamenti integrano senz'altro gli estremi di un illecito, ma l'eventuale non superamento non può considerarsi senz'altro lecito, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità essere effettuato alla stregua dei principi stabiliti dall'art. 844 del codice civile (Cass. n. 1069/2017).

Tale valutazione, infatti, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito che (avvalendosi anche dell'ausilio di un consulente) valuterà caso per caso considerando tutta una serie di variabili. Egli non dovrà necessariamente limitarsi ai soli rilievi tecnici e fonometrici (in taluni casi è stata risolutiva anche la prova testimoniale) purchè la sua decisione sia ragionevolmente motivata.


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Lo stesso art. 844 c.c., infatti, prevede che nella sua valutazione l'autorità giudiziaria debba contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e possa tener conto della priorità di un determinato uso. Ad esempio, si potrà valutare lo stato dei luoghi, la zona in cui si trova l'immobile, la fascia oraria e così via.

Disturbo della quiete pubblica

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I rumori molesti possono far scattare anche una tutela penalistica. L'art. 659 c.p. (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) persegue chi, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, disturba le occupazioni o il riposo delle persone. La sanzione è quella dell'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a euro 309.

Essendo tale fattispecie un "reato di pericolo presunto", ai fini del suo perfezionamento è sufficiente che le emissioni sonore siano potenzialmente idonee a disturbare le occupazioni o il riposo di un numero indiscriminato di persone secondo il parametro della normale tollerabilità, indipendentemente da quanti se ne possano in concreto lamentare (cfr. Cass. n. 9361/2018).


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L'interesse tutelato dal legislatore è quello della pubblica quiete, la quale implica di per sé l'assenza di disturbo per la pluralità dei consociati. Dunque è necessario che i rumori abbiano una tale diffusività che l'evento di disturbo sia potenzialmente idoneo a essere risentito dalla collettività, in tale accezione ricomprendendosi ovviamente il novero dei soggetti che si trovino nell'ambiente o comunque in zone limitrofe alla provenienza della fonte sonora, atteso che la valutazione circa l'entità del fenomeno rumoroso va fatta in relazione alla sensibilità media del gruppo sociale in cui il fenomeno stesso si verifica (cfr. Cass. n. 3678/2005).


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