Anche la violazione dei doveri che nascono dal matrimonio può essere fonte di risarcimento del danno. Ad enunciare il principio della esperibilità del rimedio del risarcimerno ex art. 2043 questa volta è il Tribunale di Venezia (Terza Sezione 3 luglio 2006). Nella sentenza si chiarisce che il risarcimento è dovuto indipendentemente da una eventuale pronuncia di addebito in sede di separazione, giacché è sufficiente che la condotta assunta da uno dei coniugi e posta in essere nella consapevolezza della sua attitudine a recare pregiudizio alla sfera dell'altro coniuge, sia contraria ai doveri matrimoniali e produttiva di un danno ingiusto. E' però necessario accertare che fra la condotta illecita ed il danno accertato sussista un nesso di causalità
giuridicamente apprezzabile. Il giudice, si legge nella sentenza, deve innanzitutto accertare la obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di uno o più dei doveri nascenti dal matrimonio compiendo una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i coniugi nel contesto familiare. In in secondo luogo deve "verificare con speciale rigore la sussistenza di un danno oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale, per sé di norma produttiva di uno stato di sofferenza psico-emotiva, affettiva e relazionale, oltre che talora di disagio economico e comportamentale a carico di almeno una delle parti, ma alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva, dell'agente, proprio in quanto posta in essere in aperta e grave violazione di uno o più dei doveri coniugali".

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