di Teresa Fiortini - Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 24816 depositata il 6 giugno 2013.

Un avvocato è stato accusato di aver ricevuto in via non ufficiale su conto estero la parte più consistente (pari a 13,5 milioni di euro) del pagamento di una prestazione professionale e fatto emettere allo studio professionale la fattura relativa a una parte soltanto (pari a 1,5 milioni) del compenso pattuito con la cliente.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24816 del 6 giugno 2013, ha confermato la condanna per dichiarazione infedele a carico dell' avvocato a otto mesi di reclusione per il reato previsto dall' art.4 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74, sospesi con la condizionale in quanto incensurato, in relazione alla una frode fiscale aggravata dalla sua professione.
Il professionista ha presentato ricorso contro la decisione della Corte d'Appello di Milano anche in relazione alla mancata applicazione delle attenuanti generiche.

Ma ad avviso degli Ermellini la valutazione di gravità delle condotte in quanto collegata anche alla natura "fraudolenta" delle stesse è stata oggetto di specifica e non illogica motivazione da parte della Corte di appello. I giudici di merito non hanno preso in esame il solo elemento del ricorso a sottofatturazione, ma hanno sottolineato il complessivo meccanismo di frode posta in essere dall'imputato e caratterizzato sia dal trasferimento delle somme di denaro "estero su estero" sia dallo schermo costituito dalla riferibilità a un noto studio professionale associato della fattura emessa e della relativa operazione contabile.

In più son state considerate tanto la complessiva gravità del fatto, quanto, in tema di applicazione dell'art.62-bis c. p., la qualificazione professionale dell'imputato e i doveri che a questa si collegano, nonché l'entità dell'importo sottratto a imposizione tributaria.

Teresa Fiortini

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