"Costituisce illecito disciplinare il ripetuto pagamento di indennizzi da parte del liquidatore dipendente da una società di assicurazioni, con pacifica irregolarità delle relative procedure ed a causa di attività estorsiva da parte di associazioni delinquenziali, quando il liquidatore non abbia tempestivamente informato dei singoli fatti, ossia delle pressioni ricevute, il datore di lavoro, né gli organi di polizia e quand'anche la detta attività delinquenziale costituisse fatto genericamente notorio". Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 6023 del 15 marzo 2011, ha osservato come la liquidazione di sinistri palesemente inesistenti va a minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra il dipendente ed il datore di lavoro, giustificando quindi il recesso della società. La Suprema Corte, ribadendo che l'imperversare della criminalità non può essere un'esimente della condotta individuale del lavoratore e giustificare la reiterata liquidazione di falsi sinistri, ha cassato con rinvio la sentenza dei giudici d'Appello i quali - secondo gli Ermellini - non hanno applicato correttamente l'articolo 2119 del codice civile, elidendo l'autonoma rilevanza ex se della condotta del liquidatore e valorizzando invece esclusivamente una sorta di "tollerata acquiescenza se non precisa strategia aziendale" nella gestione delle liquidazioni affidandosi, la società, consapevolmente, alla "piena discrezionalità dell'operatore".
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