La Sezione Tributaria Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 24315/2009) ha stabilito che vanno dichiarati all'Ufficio Italiano dei Cambi, anche i promissory notes, dei pagherò usati nei rapporti commerciali internazionali. Nel caso di specie, gli Ermellini hanno evidenziato che "privo di fondamento è (…) il motivo centrale del ricorso incidentale che investe il merito della vertenza (…) a mezzo del quale si vorrebbe escludere la promissori note dal novero dei titoli e valori mobiliari in lire (oggi euro) e valute estere che unitamente al denar contante -ove di importo superiore a L. 20.000.000 (€ 12.500,00)- vanno dichiarato dall'UIC (sotto pena di sanzione) in caso di trasferimento da o verso l'estero al seguito di residenti e non residenti. La difesa del contro ricorrente si basa sull'erroneo presupposto dell'inefficacia giuridica di tale titolo internazionale sul quale non potrebbe fondarsi alcun diritto di credito fino a che rimanga nella disponibilità dell'emittente e non sia consegnato al creditore, difettando in sostanza quel ‘trasferimento' di ricchezza che impone l'obbligo dichiarativo previsto dalla norma del'art. 3 del DL 167/90 convertito nella L. 227/90. Ora va premesso che la promissori note è uno strumento di pagamento internazionale che contiene una promessa incondizionata fatta dal debitore emittente di pagare una determinata somma di denaro ad una data stabilita all'ordine di un operatore estero beneficiario e dunque rappresenta -a tutti gli effetti- un titolo di credito all'ordine di natura astratta che risponde ai requisiti prescritti dalla Convenzione di Ginevra del 1930 ed incorpora il diritto del legittimo possessore di farsi pagare una certa somma alla scadenza prestabilita prescindendo dal rapporto giuridico sottostante.
Si tratta dunque di un vaglio cambiario (e come esso va bollato nelle percentuali di legge) e la sua inclusione tra i titoli e valori mobiliari cui fa riferimento la norma si ricava anche dalla disposizione che istituisce l'eccezione (…) allorché esclude l'applicazione dell'obbligo dichiarativo per i trasferimenti (…) di vaglia postali o cambiari tratti su od emessi da intermediari creditizi o poste italiane che rechino l'indicazione del nome del beneficiario e la clausola dell'intrasferibilità. Né dal testo normativo si ricava una volontà legislativa di assoggettare all'obbligo dichiarativo solo ipotesi di possesso correlato a cessioni di denaro o titoli da un soggetto all'altro, in altre parole a ‘fenomeni traslativi'. La Corte ha quindi evidenziato che "l'ampia e generica formula adottata prescinde da rapporti creditori e debitori in essere od in fieri all'evidente scopo di assoggettare all'obbligo il mero passaggio della linea doganale di denaro, titoli e valori diversi da quelli espressamente esclusi - con tassativa elencazione- da tale adempimento avente precipua funzione di ‘rilevazione globale' dei movimenti di capitale alle frontiere" e che "l'adempimento prescritto non è volto ad evitare illeciti trasferimenti di somme ma solo preordinato a fini ‘di monitoraggio valutario' che prescrive l'obbligo di specifica informativa senza imporre alcun onere finanziario a carico di chi la rende (…). Resta pertanto irrilevante, al fine di configurare una causa di esenzione, la circostanza che il trasferimento del titolo non sia idoneo a dare luogo a movimenti di capitali da uno Stato ad un altro".
"Aggiungasi - precisa infine la Corte -, che questo tipo di infrazione valutaria che postula, sotto il profilo soggettivo, un comportamento cosciente e volontario, ancorché non preordinato a fini illeciti, o non consapevole dell'illeceità del fatto, richiede, sotto il profilo oggettivo, la sola l'idoneità di titoli siffatti alla successiva costituzione di rapporti obbligatori con i non residenti nello Stato : idoneità che è stata ravvisata persino in titoli mancanti della data, del luogo di emissione o della firma di girata ovvero in assegni postdatati o con data falsa, privi di copertura o non onorabili dalla banca trattaria"

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