Le norme contenute in un regolamento di condominio hanno natura contrattuale e se contengono restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva di una o più parti è necessario che siano formulate "in modo espresso o comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni". E' quanto stabilisce la Corte di Cassazione (sentenza 16832/2009) chiarendo che divieti e limiti alla proprietà
esclusiva "devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze e non possono quindi dar luogo ad un'interpretazione estensiva delle relative norme". Il giudice di merito, in sostanza, non può fondare il proprio convincimento interpretando in modo estensivo una norma contenuta nel regolamento di condominio arrivando così a comprimere in modo arbitrario le facoltà di utilizzo di unità immobiliari da parte dei proprietari. Il caso esaminato dalla Corte riguarda una decisione dei giudici di merito che avevano accolto la domanda di un condominio diretta a vietare l'utilizzo di un locale da parte del proprietario come ristorante. Per motivare il proprio convincimento i giudici di merito avevano interpretato il termine "locanda" (utilizzato nel regolamento per indicare attività vietate) e lo avevano equiparato al termine "trattoria".

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