Gli inevitabili giudizi del pubblico su vicende giudiziarie che hanno avuto una vasta eco mediatica e che hanno suscitato "vasto clamore" non solo sono legitimi ma non influenzano in alcun modo le determinazioni dei giudici. Lo afferma la Corte di Cassazione nel motivare la decisione di far restare a Roma il processo contro l'immobiliarisa Coppola e il socio Raccis per il fallimento della Micop. La Corte spiega che lo scalpore suscitato nella collettività non influenza in alcun modo la libera decisione dei magistrati. In sostanza, non può considerarsi vietato "e foriero di inquinamento della determinazione del giudicante l'apprezzamento reso dalla societa' verso il fatto e il suo trattamento giudiziale". Del resto, spiega la Cassazione, "trattandosi di fatto di obiettivo allarme economico che ha alimentato clamore e sconcerto nell'opinione dell'intera nazione italiana, qualsiasi localita' a cui il processo dovesse pervenire a seguito di rimessione, sarebbe suscettibile di reazioni analoghe". Anche in relazione all'asserito "condizionamento conseguente al contenuto delle trasmissioni radio-televisive o dai messaggi di stampa, deve considerarsi che la libera espressione del pensiero a proposito di vicende socialmente rilevanti, costituisce dato ineliminabile nell'assetto democratico della societa'". In ogni caso, concludono di Giudici di Piazza Cavour, "stando alle allegazioni in atto, esse non risultano colorate da accesa polemica o critica corrosiva verso il Coppola, si' che non risulta che l'informazione abbia ecceduto in attacchi cosi' aspri ed astiosi, da efficacemente condizionare il giudicante, essendo incensurabile e fisiologica quella condotta che prenda atto del processo inerente a fatti di vasto clamore e diffusa emozione". Solo la "dimostrazione di gratuita critica e prevenuto astio, scollegato dall'accusa dibattuta in sede giudiziale, puo' assumere profili di inaccettabile critica".

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