Il Tribunale di Brescia offre un contributo importante in materia di danno per la perdita dell'animale d'affezione nel solco di altre sentenze
Esiste un prima e un dopo.

Il prima è la vita trascorsa insieme ad un animale, il dopo è quella stessa vita senza di lui. Quando il dopo arriva porta dolore e sofferenza perché quel cane o gatto che sia era un membro della famiglia in cui ha vissuto. Perchè mai allora la sua morte, quando provocata da un fatto doloso o colposo, non dovrebbe avere conseguenze giuridicamente valutabili" Riformulo la domanda. Perché mai la notizia che un Tribunale, in questo caso quello di Brescia, ha riconosciuto questo pregiudizio deve fare ancora notizia" La risposta, nero su bianco, ci arriva dalla stessa sentenza in cui si legge che la sua risarcibilità non è pacifica nella giurisprudenza, pur registrandosi un orientamento favorevole al suo riconoscimento. Orientamento non della Suprema Corte ma dei giudici di merito.

La giurisprudenza di merito

Giudici di pace, Tribunali e anche Corti di appello non poche volte si sono espressi riconoscendo che la perdita dell'animale d'affezione possa determinare la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata attraverso l'art. 2 Cost.. Questo perché il rapporto tra compagno umano e animale costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale. Quale danno conseguenza questo pregiudizio deve essere allegato e provato, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici non potendo mai ritenersi tale voce di danno in re ipsa. Diversamente, ci dice il Tribunale di Brescia, assumerebbe la natura di danno punitivo.

La sentenza n. 1256/2025 del Tribunale di Brescia

Un cane di razza pinscher, condotto al guinzaglio, viene mortalmente aggredito da un lupo cecoslovacco che circolava libero, senza la vicinanza della proprietaria o del custode, senza guinzaglio e senza museruola. In tema di responsabilità ex art. 2052 c.c. questa origina esclusivamente dal rapporto tra il soggetto e l'animale, prescindendo da qualsivoglia condotta commissiva o omissiva del proprietario, atteso che l'unico limite a questa ipotesi di responsabilità è il caso fortuito, inteso quest'ultimo quale fattore avente i caratteri dell'imprevedibilità, inevitabilità e eccezionalità, potendo il caso fortuito essere integrato dal fatto colposo del danneggiato. Ai fini dell'individuazione del soggetto responsabile occorre capire se al momento dell'aggressione la persona che conduceva il cane fosse l'utilizzatore ovvero il proprietario continuasse a far uso dell'animale sia pure tramite un terzo, così mantenendo l'ingerenza nel governo dell'animale e rimanendo dunque responsabile dei danni dallo stesso cagionati. L'onere di questo trasferimento del rischio è in capo al proprietario del cane.

Non mi soffermerò sui pur interessanti profili che riguardano l'applicazione dell'at. 2052 cc al caso in oggetto e richiamati in sentenza (in particolare modo riferiti all'individuazione del legittimato passivo, proprietario o chi ne ha l'uso) quanto alle domande risarcitorie originate dalla morte del pinscher e riguardanti il danno non patrimoniale rivendicato.

Il riconoscimento del danno non patrimoniale

Nel caso in esame chi ha agito per il risarcimento del danno "non patrimoniale" ha prodotto allegazioni precise per quanto riguarda l'esistenza di un notevole legame affettivo con il cane da tutti considerato quale un membro della famiglia e come tale trattato. Una allegazione dalla quale il Tribunale ha potuto presuntivamente ritenere provata la grave sofferenza cagionata dalla improvvisa morte del pinscher (peraltro avvenuta violentemente) proprio in ragione della relazione affettiva esistente con l'umano o umani di riferimento. Una sofferenza che non potrà che valutarsi in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.. Tenuto anche conto dell'età del cane al momento della sua morte (circa 12 anni) e della presumibile vita media di un pinscher (notoriamente piuttosto longevo, con una vita media di 12-15 anni). Nel caso specifico il Tribunale di Brescia ha ritenuto quo riconoscere in favore degli attori (due coniugi) l'importo di euro 1.500,00 ciascuno a titolo di danno non patrimoniale. Importo ridotto a euro 800,00 in favore dei quello, tra gli attori (il figlio) che non viveva più da tempo con i genitori, nonostante avesse ancora la residenza presso l'abitazione familiare. In questo caso il Tribunale ha ritenuto difettasse l'attualità della convivenza con il cane certamente idonea a far presumere una maggiore intensità del legame affettivo.

La dimostrazione del danno biologico

Il Tribunale laddove viene chiesto, come è stato chiesto, anche il danno subito da una compromissione dell'integrità psico-fisica in conseguenza dell'evento dannoso, ne rigetta la domanda per i motivi che seguono. L'attore si è infatti limitato a produrre in giudizio una perizia psicologica di parte richiedendo altresì una c.t.u. medico-legale che è apparsa al giudicante meramente esplorativa. E dunque non ammissibile. Per il Tribunale bresciano il danno biologico, che incide sulla integrità psicofisica concernendo la lesione dell'integrità psicofisica della persona, deve essere adeguatamente provato mediante criteri definiti medico-legali (quali un esame obiettivo, un esame clinico, esami strumentali). In buona sostanza deve essere provato e non solo allegato quel tale turbamento emotivo derivato dalla mote del cane finanche idoneo a generare una sindrome psichica nosograficamente accertabile. Diverso il caso di colui che abbia assistito, impotente, alla morte del proprio animale derivandone una più intensa sofferenza, anche per il pensiero di non aver potuto impedirne la morte. Tale sofferenza può essere accertata in via presuntiva e nel caso in esame così è stato riconoscendosi un importo pari a euro 1.800,00.

Conclusioni

La difficoltà nell'accertare il danno non patrimoniale per la morte dell'animale d'affezione è duplice; la prima è proprio quella di riconoscerlo come danno. La seconda difficoltà è la sua quantificazione. Ma questa sentenza, non unica (cito quella delle Tribunale di Prato , n. 51/2025, altrettanto illuminante) indica la strada. Come ha fatto il Tribunale di Novara, seno. N.191/2020, scrivendo che fuori dal mondo del diritto l'animale non ha solo un valore patrimoniale ma un ben più ampio valore non patrimoniale. L'animale contribuisce senza più ombra di dubbio alla salute psicofisica e allo viluppo della personalità richiamate dagli artt. 2 e 32 della nostra Costituzione così che non può più sostenersi che il rapporto uomo-animale sia privo di quella copertura costituzionale prima richiamata tanto che la scomparsa dell'animale d'affezione è assai prossima al lutto per la perdita di un membro umano della famiglia. Gli animali possono ormai essere considerati componenti dei sistemi sociali umani partecipando alle dinamiche affettive degli ambienti familiari ed influenzandone equilibrio e stabilità.

Queste sentenze hanno forse anticipato, mi piace crederlo, la legge che il Parlamento ha appena varato in tema di reati contro gli animali.


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