Per evitare una lettura faziosa o etichettante bisogna leggere il testo alla luce della ratio legis cercando di coglierne la portata innovativa e interpretando (etimologicamente da "inter" e "pretium") locuzioni e concetti giuridici.
L'inserimento del doppio domicilio del figlio dei separati/divorziandi (art. 1 ddl) non porta a uno sdoppiamento o peggioramento della vita del figlio ma potrebbe favorire l'esercizio del vero "diritto alla casa" del figlio (diritto di cui si trovano tracce nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, innanzitutto nell'art. 16), del vero domicilio nel senso codicistico, quale sede principale degli affari e degli interessi (ovvero della vita quotidiana) e del senso etimologico di domicilio, composto di "domus", casa, e "colere", abitare, in altre parole il figlio non sarebbe o non si sentirebbe più solo in visita per il fine settimana o ospite per le vacanze presso l'altro genitore non collocatario.
Degno di attenzione l'art. 2 del ddl: "All'articolo 147 del codice civile, le parole: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli» sono sostituite dalle seguenti: «La filiazione impone pariteticamente ai genitori l'obbligo di provvedere alla cura, all'educazione, all'istruzione e all'assistenza morale dei figli»". Riformulazione dell'art. 147 che si aspettava già dai tempi della riforma del diritto di famiglia e che si rifà al dettato dell'art. 30 della Costituzione in cui si parla del diritto e dovere dei genitori indipendentemente dal matrimonio.
In tal modo si darebbe "soggettività" ai figli e il rapporto genitori-figli è già inteso come "affidamento condiviso" proprio come nella sua natura di rapporto di fiducia ("affidamento" dal latino "fides") e in linea anche con il riconoscimento del principio secondo cui i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all'allevamento ed allo sviluppo del bambino (art. 18 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). Apprezzabile la sostituzione dell'obbligo di mantenere i figli con quello di provvedere alla cura, che è il fulcro della genitorialità.L'introduzione della mediazione familiare obbligatoria non sarebbe così "deleteria" visto che esiste già in altri ordinamenti giuridici e risponde ad altri provvedimenti previgenti, tra cui il Piano nazionale per la famiglia (adottato il 10 agosto 2022) in cui si legge: "Realizzare forme di supporto alle coppie e famiglie, per favorire una migliore comunicazione e gestione dei conflitti, anche in ordine alla problematica minorile". Accettabile la spiegazione che viene data: "L'impoverimento di tale strumento è stato concordemente biasimato da tutti gli operatori del settore, che hanno reiteratamente segnalato i vantaggi di prevedere quale preliminare adempimento la mera informazione (pre-mediazione) sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione prima di qualsiasi contatto con la via giudiziale. D'altra parte la previsione di tale fase extragiudiziale è in accordo con la riconosciuta generale esigenza di alleggerire il carico dei tribunali. Per l'incontro iniziale è prevista in ogni caso la gratuità, in modo da rendere il passaggio accessibile a chiunque. Inoltre, per eliminare ogni preoccupazione circa il rischio di incontrare ex partner dei quali non sia stata ancora allegata la violenza (altrimenti la mediazione è esclusa), le parti potranno richiedere di incontrare il mediatore separatamente". In più, la mediazione familiare non è obbligatoria tout court perché sono previste varie "clausole di salvaguardia", per esempio: "L'intervento di mediazione familiare può essere interrotto in qualsiasi momento da una o da entrambe le parti" (art. 13 ddl).
"Il nuovo articolo 316-ter del codice civile incrementa la tutela delle madri non coniugate estendendola anche ai casi di morte del nascituro. Nello specifico, dispone che se al momento del parto i genitori non sono coniugati e non convivono, il padre deve condividere con la madre ogni spesa relativa al parto e, nel caso in cui quest'ultima non abbia sufficienti risorse economiche, provvedere al suo mantenimento per un periodo di tre mesi". Questa (e altre previsioni o novelle) non costituiscono un ritorno al passato e una considerazione della donna solo per il suo ruolo materno ma, piuttosto, un'attuazione dell'art. 31 della Costituzione, una responsabilizzazione del padre e un accoglimento della cosiddetta "sindrome perinatale" che coinvolge anche il padre. Come si è tenuto conto di entrambi i genitori nella Carta dei diritti del bambino nato prematuro (approvata dal Senato della Repubblica il 21 dicembre 2010).
Promuovere il vero affidamento condiviso e una paritetica bigenitorialità in caso di separazione/divorzio non è da intendersi come attribuzione di più poteri al padre, perché non si devono dimenticare le lotte delle madri soprattutto in passato per il riconoscimento della paternità e quelle continue in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare, situazione tutelata oggi dall'art. 570 bis cod. pen. "Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio".
La bigenitorialità o, ancora meglio, la cogenitorialità dovrebbe essere intesa semplicemente come genitorialità perché iscritta nello statuto stesso della filiazione o figliolanza, come si evince dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, per esempio nell'art. 7 par. 1 diritto del fanciullo ad un nome e a conoscere in propri genitori ed essere da essi accudito, nell'art. 9 "entrambi i genitori, nell'art. 10 "suoi genitori". Significativo, tra l'altro, quanto sancito nell'art. 8.11 della Carta europea dei diritti del fanciullo (Risoluzione A3-0172/92): "ogni fanciullo ha il diritto di avere dei genitori o, in loro mancanza, di avere a sua disposizione persone o istituzioni che li sostituiscano; il padre e la madre hanno una responsabilità congiunta quanto al suo sviluppo e alla sua istruzione; è loro obbligo prioritario procurare al fanciullo una vita dignitosa".
Il disegno di legge, come ogni altro testo (legislativo e non), è perfettibile, sempre tenendo presente che, come in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli, l'interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione (art. 3 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia).
Quell'interesse superiore del fanciullo richiamato espressamente in pochi altri articoli nella Convenzione e proprio nell'art. 18 relativo ai genitori ove, nel par. 1, è scritto: "Nell'assolvimento del loro compito essi debbono venire innanzitutto guidati dall'interesse superiore del fanciullo". A proposito di "interesse" (letteralmente "ciò che sta in mezzo") nell'art. 3 del ddl si prescrive: "All'articolo 316, primo comma, del codice civile è premesso il seguente periodo: «La responsabilità genitoriale è l'insieme dei diritti e dei doveri dei genitori che hanno per finalità l'interesse dei figli »". Un tentativo apprezzabile di prevenire o arginare quella mentalità adultocentrica (altra critica mossa al ddl) che, talvolta o spesso, emerge nelle scelte delle coppie, di coniugi, di partner o di genitori.
E si ricordi quanto scritto in tutta la Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori (2018), in particolare la rubrica del punto n. 1: "I figli hanno il diritto di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti".
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