L'equivoco dell'antitesi
La relazione tra Islam e democrazia rappresenta un tema di indagine complesso e controverso che, tanto in ambito accademico quanto in quello politico, suscita da sempre un ampio dibattito.
La questione gravita attorno alla compatibilità tra i principi della democrazia moderna - fondata su valori quali la sovranità popolare, la separazione dei poteri, lo stato di diritto e il rispetto delle libertà individuali dell'uomo - e la rigida tradizione della shari'a.
La diffusa idea di una loro effettiva contrapposizione è stata sovente alimentata da stereotipi e da interpretazioni riduttive: in particolare, anche in seguito ai vari attentati terroristici per mano delle fronti fondamentaliste islamiche, la letteratura occidentale ha contribuito ad acuirne la critica.
A riguardo, sono numerosi gli studi che dimostrano come tale visione sia eccessivamente semplificatoria e come non tenga conto, ad esempio, della pluralità di esperienze politiche e giuridiche di alcuni paesi a maggioranza musulmana dove la democrazia è comunque attuata.
Occorre focalizzarsi preliminarmente su cosa si intende per democrazia, nella piena consapevolezza che "la democrazia ha significati molteplici e vari" e che "ogni cultura plasmerà un modello indipendente di governo democratico".[1] Così facendo, si potrà capire come quella dell'antica Athene - la prima forma di democrazia nella storia dell'umanità - è stata nel tempo stravolta da altre esigenze, nell'ottica di un diritto che si adegua ad una società che cambia, dando vita a varie forme di governo democratiche che, pur avendo un bacino di principi e di valori in comune, appaiono come diverse, in quanto plasmate dal contesto socioculturale e religioso di riferimento.[2]
La dicotomia segnata da Islam e democrazia è, quindi, un terreno fertile per fare attecchire considerevoli errori di valutazione e si presta efficacemente all'equivoco di considerarli come un'antitesi: probabilmente influenzati dall'aver come unico punto di riferimento la democrazia liberale del modello europeo e americano, si ignora e non si approfondisce a sufficienza che i due concetti possono convivere, a tal punto da proliferare in movimenti liberali che hanno affermato un nuovo modo di concepire il "potere del popolo".
Questo articolo propone un'analisi critica e documentata della compatibilità tra l'Islam e la democrazia, prendendo in esame le fonti religiose e i contributi di pensatori musulmani contemporanei. Nonostante le difficoltà applicative delle previsioni teoriche, l'intento è quello di superare le letture monolitiche della tematica, per offrire una chiave interpretativa di quella che può essere considerata la democrazia islamica.
La democratizzazione dell'Islam
La parola "democrazia" non appartiene al vocabolario tradizionale dell'Islam ed è entrata nell'uso solo in tempi recenti, per lo più per esigenze educative e culturali. In arabo, traslitterando il greco, la dimuqratiyya è un concetto più vicino a Dio che al popolo. Questa sovranità è espressa, infatti, con i concetti di hakimiyya e rabbaniyya: il primo fa riferimento all'autorità divina come unica legittimata a governare la umma; il secondo sottolinea la forte connessione che c'è tra gli uomini e Allah, affermando la necessità di vivere sotto la sua guida sia nella sfera spirituale che nella sfera morale.[3]
Tuttavia, alle differenze etimologiche se ne accostano altre nei rapporti tra l'Islam e la politica e risultano evidenti sotto molti profili. Se la democrazia è un regime politico in cui è possibile il connubio tra cittadinanza e cristianesimo nel rispetto dei diritti della società civile e di quella ecclesiastica, la stessa cosa non si può affermare per le comunità islamiche, dove il regime politico si basa esclusivamente su assunti che non contrastano con quelli attribuiti al Profeta.
In altri termini, non sempre è possibile la coesistenza tra la politica e gli aspetti religiosi, tra la fede e la democrazia. Nell'occidente liberale, la forma di governo è fortemente condizionata dall'evoluzione sociale e culturale della collettività, in un contesto che ha visto il "lento dileguarsi della capacità del potere religioso di produrre una credibile forma all'assoggettamento del visibile all'invisibile"[4], nei paesi musulmani, per loro stessa natura, è invece dipendente dai vincoli teologici.
La teoria della teodemocrazia
Il concepimento di uno spazio democratico nella dottrina islamica deve innanzitutto risolvere il primato della sovranità popolare nella gestione della cosa pubblica, un primato che secondo gli insegnamenti e le tradizioni tramandati dal Profeta (la cosiddetta risalat, la profezia) non può esistere in quanto la sovranità di Dio sulle questioni terrene è assoluta e indiscutibile. Questo principio, noto come tawhid, affonda le radici nell'unitarietà e nella unicità del potere divino e sembrerebbe produrre unicamente delle teocrazie.
A compensare questo scenario, vi è un altro principio del Profeta che contempla la possibilità di trasferire questa sovranità a dei reggenti, i "successori" di Maometto, i cosiddetti califfi.
Sulla base del khilafat, combinato con l'uguaglianza dei credenti tra loro e di fronte a Dio, si è teorizzato che questa sovranità in reggenza sia esercitabile da ogni cittadino, quindi dal popolo.
Nasce così la "teodemocrazia", termine coniato dal politico sunnita di origine pakistana Abu al-Ala al-Mawdudi per indicare quel tipo di regime democratica compatibile, almeno su un piano teorico, con i precetti dell'Islam.[5]
Nella sua visione, c'è la possibilità di una "limitata sovranità popolare posta sotto la sovranità di Dio" che, pur scostandosi dai modelli occidentali, porta alla estrinsecazione di quella che, forse, può essere considerata la più vera forma di democrazia: quella in cui nessun uomo, neppure l'amir[6], può dominare su altri uomini.[7]
Nel contesto teodemocratico, i rappresentanti del popolo sono individui scelti non per esigenze di rappresentanza, per farsi voce delle esigenze dei cittadini, quanto per svolgere le funzioni vicarie di Allah.
Il "potere del popolo" non è quindi legittimato da un voto o dalla capacità di esprimere l'interesse pubblico in un certo periodo di tempo, troverebbe piuttosto giustificazione nel costante rispetto del mandato divino a governare lo Stato. In questo caso, lo strumento elettorale diviene essenziale per identificare il credente più meritevole dal punto di vista della conoscenza dei testi sacri: colui che è il miglior interprete della verità rivelata e della volontà divina in terra, con il "demo-potere" che va di pari passo al "demo-sapere".[8]
La teoria delle "3 C"
Questo rapporto di proficuo scambio tra Islam e democrazia continua anche in riferimento ad altri tre concetti,"The three Cs of islamic governance", resi famosi dal professore Muhammad Abdul Muqtedar Khan, direttore del programma di studi islamici presso l'Università del Delaware (USA). L'idea di una politica islamica democratica affiora identificando ed esplorando delle caratteristiche che trovano fondamento nelle fonti islamiche e nei dibattiti musulmani contemporanei, per appunto le "3 C": la costituzione, il consenso e la consultazione.[9]
Per il riscontro del primo elemento occorre risalire al 622 d.C., anno in cui il profeta Maometto migrò da La Mecca a Medina, fondando il primo stato islamico e addivenendone oltre che il leader della comunità emergente anche il capo politico. Nei confronti dei musulmani, esercitava la sua sovranità per decreto divino; per i non musulmani, non potendoli governare in quanto messaggero di Allah, la sua legittimazione discendeva da un patto, la Costituzione di Medina, un esempio di riconoscimenti di diritti e di gestione del pluralismo in vista di una partecipazione di tutti al bene comune. Questa carta, firmata dai Muhajirun (immigrati musulmani da La Mecca), dagli Ansar (musulmani indigeni di Medina), dagli Yahud (ebrei che vivevano in diverse aree) e da altre tribù pagane, può essere interpretata sia come un contratto sociale - attraverso cui, nella visione di Thomas Hobbes, gli individui cedono la loro sovranità individuale per la creazione di una comunità[10] - ma anche come una vera e propria costituzione, in quanto documento costitutivo del primo stato islamico.
Pur non essendo simile alle costituzioni moderne a causa della sua limitata applicabilità e dei suoi tratti strettamente storico-religiosi, risulta comunque essere una sorta di principio guida che i musulmani di tutto il mondo possono emulare, aprendo alla possibilità di redigere delle proprie costituzioni attualizzate alle esigenze della nostra epoca.
Il secondo elemento, il consenso, era alla base della legittimazione di chi governava la città-stato.
A quei tempi, il sovrano lo doveva ottenere attraverso il bay'a, un processo attraverso cui la popolazione riconosceva la sua supremazia politica e spirituale, un elemento costitutivo del suo diritto-dovere di ricoprire legittimamente il supremo compito di amministrare la umma.
Proprio come accadde con Maometto, anche per i primi califfi dell'Islam fu praticato questo atto di fedeltà che è possibile includere all'interno di una arcaica forma di sistema elettorale. Le elezioni, infatti, non sono una deviazione dei principi e delle tradizioni islamiche ma sono da considerarsi come una modernizzazione del bay'a, in cui chi è scelto come leader per volontà popolare è poi colui legittimato ad esercitare i suoi poteri. In merito, interviene proprio il libro sacro, che estende la legittimità divina a coloro investiti di un'autorità: "O voi che credete! Obbedite ad Allah o obbedite al messaggero o a coloro che sono in autorità tra voi" [Corano 4:59].[11]
L'ultimo elemento è la consultazione, molto caro a una moltitudine di studiosi che hanno avanzato il concetto di shura come chiave di volta delle credenziali democratiche dell'Islam, concetto che si riscontra in questi versetti: i musulmani "gestiscono i loro affari consultandosi reciprocamente…" [Corano 42:38] e, in riferimento ad Allah e al Profeta, "…consultati con loro nella conduzione delle questioni. Una volta presa una decisione, riponi la tua fiducia in Allah" [Corano 3:159].
Si discute sulla natura della shura che può essere ritenuta consultiva oppure obbligatoria. I musulmani a favore della democrazia la vedono come necessaria, quelli che invece temono le libertà, prediligendo l'autoritarismo, le interpretano come un insieme di suggerimenti divini.
Ad ogni modo, vi è un altro spiraglio che vede la democrazia come una forma di governo adattabile all'Islam, in cui ogni musulmano che sceglie di rimanere fedele alle sue fonti di fede può certamente preferire una struttura democratica a tutte le altre, per realizzare il benessere e la giustizia promesse nelle sacre scritture.
La teoria dei sette principiLa confutazione delle tesi del professor David Bukay[12] dell'Università di Haifa, ad opera di uno studio condotto all'Università Ludwig Maximilan di Monaco, ha dato vita alla teoria dei sette principi della democrazia, essenziale per dare completezza al quadro finora tracciato.
Ogni democrazia presenta sette caratteristiche, ognuna delle quali è affrontata nella dottrina islamica:
a) Libertà individuali e libertà civili: sono garantite purché non violino i diritti altrui e l'ordine civile. Le libertà individuali si estendono anche a tutti i peccati che non configurano crimini contro la persona o che sono commessi in circostanze non private, idonei a essere emulati[13];
b) Stato di diritto: Dio intima alle persone di seguire le direttive da lui attribuite agli individui in autorità, richiamando il bay'a, il consenso dei cittadini nei confronti di chi governa la umma. Quest'ultimo è incaricato di far rispettare le leggi ed è obbligato egli stesso a rispettarle. Si richiama al principio del legibus solutus che nella dottrina islamica non si applica;
c) Sovranità popolare: non è corretto asserire che la sovranità appartiene solo a Dio. Il malinteso sorge sulla sovranità, per cui si intende quella assoluta, quella sulla creazione nel suo insieme dell'Islam, che poggia esclusivamente su Allah. In opposizione, la sovranità, intesa come quella che legittima l'autorità, è basata sempre sul consenso del popolo che la concede ad un sovrano affinché la eserciti su di loro;
d) Uguaglianza di fronte alla legge: da un episodio di furto avvenuto durante la vita di Maometto, fu dichiarata errata la pratica secondo cui essendo l'autore del fatto una donna nobile, dovesse ricevere un trattamento sanzionatorio diverso a causa del suo status. Si ribadisce l'uguaglianza davanti alla legge per tutti i cittadini delle terre musulmane, indipendentemente dal loro credo, precisando addirittura che "…per Allah, se Fatima, la figlia di Muhammad ha commesso un furto, Muhammad le taglierà la mano" [Hadith 6788];
e) Responsabilità dei funzionari governativi: durante il califfato di Uthman bin Affan a partire dal 644 d.C, molti dei suoi parenti ricoprivano la posizione di governatore in molte aree dello Stato, tra cui il fratello Al-Waleed bin 'Uqbah. Egli aveva consumato e rigurgitato in pubblico del vino, un peccato punibile nell'Islam. Appena giunta la notizia al Califfo, non esitò a chiedere che fosse fustigato e lo rimosse dall'incarico[14];
f) Trasparenza nell'azione di governo: il governo legittimato dal popolo deve operare seguendo le linee della shari'a ed è quindi trasparente, nel senso che il popolo è anche supervisore di questa aderenza ai principi islamici che non può ammette ombre né può essere nascosta;
g) Pari opportunità: l'uguaglianza islamica si riferisce a quella tra i soli cittadini musulmani: infatti, nei primi secoli durante l'espansione islamica vi era la dhimmitudine, ossia quel titolo concesso ai non musulmani che, pur godendo dei diritti dello Stato islamico, erano responsabili della loro stessa protezione e non potevano ricoprire incarichi istituzionali. Approfondendo la questione, il fatto di impedire ai dhimmi di ricoprire cariche pubbliche è qualcosa che ha più a che fare con la cittadinanza che con la discriminazione: equiparando la stessa dinamica ai giorni nostri, appare normale che ad esempio un cittadino americano non possa ricoprire incarichi politici in Italia e viceversa. Sulla base di questa violazione illusoria dell'uguaglianza sociale, si può in definitiva affermare che le pari opportunità sono previste laddove non confliggono con questioni di fede, che a sua volta è da recepire come un requisito di cittadinanza piuttosto che come un fattore religioso.[15]
Lo scardinamento delle posizioni ideologiche
Diversi movimenti liberali, nel sostenere una interpretazione autentica delle sacre scritture (ijtihad), promuovono l'esistenza di una democraticità dell'Islam fin dalle sue origini e hanno la finalità di recuperarla per avviare un processo islamico di democratizzazione delle società musulmane.
Il precursore della democrazia islamica può essere considerato il periodo del Califfato dei Rashidun (632-661 d.C.)[16], quando ci furono i primi episodi di ricorso alla consultazione popolare della shura, ma l'attuale scenario internazionale non è da meno.
Al di là del pensiero contemporaneo - che consta delle teorie analizzate che screditano il contrasto tra Islam e democrazia - ad oggi vi sono degli esempi concreti di apparati statali democratici fondati su quanto rivelato da Allah: è il caso di diverse nazioni che si sono dotate di sistemi parlamentari come la Tunisia, il Pakistan, l'Indonesia, la Libia, il Marocco, la Giordania, il Kuwait, il Bahrein, il Niger, il Senegal, la Mauritania, la Malaysia e l'Iraq. In questi stati, emerge una visione di governance partecipativa, con nuclei di diritti e libertà civili che, pur non raggiungendo i livelli di tutela e di effettività del mondo occidentale, dimostrano comunque che si può coniugare in modo concreto la sovranità popolare e la fede.
Nelle fonti e nella tradizione dell'Islam sono presenti enucleazioni di democrazia che, seppur non siano spesso così evidenti, la rendono il veicolo da prediligere per la giustizia sociale, il benessere economico e le libertà religiose stesse. Nonostante l'Islam si presti ad essere un facilitatore del "potere del popolo", continua anche ad essere protagonista dell'equivoco della sua incompatibilità con la vision moderna democratica.
Questo equivoco ci porta a due posizioni ideologiche che necessitano di essere scardinate per smuoverle dalla attuale situazione di stallo. Da un lato, la narrazione occidentale sbaglia nel considerare la propria democrazia liberale come l'unica forma di democrazia ammessa. La famosa "democrazia esportata coi carri armati" in particolare dagli Stati Uniti che, forse, non sempre hanno la consapevolezza di come il sogno americano non possa essere riprodotto in realtà nettamente diverse e che hanno radici storiche ben più antiche del 4 luglio 1776. Dall'altro, il mondo musulmano deve compiere una diffusa opera di rivisitazione delle sue fonti, per ricomprenderle senza pregiudizi, per evitare che i preconcetti etichettino erroneamente la democrazia come qualcosa che ha portato nell'oblio l'occidente, come il male da estirpare.
Il pensiero islamico, lungi dalla sua staticità, offre strumenti che - alla luce delle esigenze contemporanee - possono sostenere i principi fondamentali della democrazia, dimostrando che tradizione e modernità non sono antitetiche ma che possono dialogare nel nome di Allah per il progresso della civiltà.
[1] Queste argomentazioni sono proposte dai paradigmi teorici del prof. John Esposito, fondatore e direttore del Centro per la comprensione musulmano-cristiana (ACMCU) della Georgetown University di Washington (USA).
Tratto da: Esposito J. L., Voll J. O., Islam and democracy, New York (USA), Oxford University Press, 1996, pp. 232 e ss.
[2] Grossi P., Roselli O., Il diritto in una società che cambia. A colloquio con Orlando Roselli, Bologna, Il Mulino, 2018.
[3] Campanini M., Islam e democrazia: orientamenti generali, in Cosmopolis, rivista di filosofia e teoria politica, consultato su www.cosmopolisonline.it, in data 28.11.2024, alle ore 16:10.
[4] Gauchet M., La religione nella democrazia, Bari, Dedalo, 2009, p. 120.
[5] Simon-Belli C., Alcune riflessioni sul rapporto tra Islàm e democrazia, in Working papers series (WPS), ICSR Mediterranean Knowledge, Fisciano, n. 4, 2020, pp. 86-88.
[6] L'amir al-Mu'minin, in arabo """" """"""""", è il titolo nobiliare del quale si fregiavano i califfi e altri leader delle comunità musulmane in quanto comandanti dei credenti. Tratto da: Lo Jacono C., Storia del mondo islamico (VII-CVI secolo). Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, vol. 1, 2003, p. 44.
[7] Giunchi E., Il concetto di sovranità divina nella Costituzione pakistana: uno strumento per espandere o limitare i diritti fondamentali", in Afriche e Orienti, rivista di studi ai confini tra Africa, Mediterraneo e Medio Oriente, anno XX, n. 1-2, San Marino, AIEP, 2018, p. 137.
[8] Si viene così a costituire quella "democrazia meritocratica" a cui si rimanda negli studi del politologo Giovanni Sartori.
Cfr. Sartori G., Democrazia e definizioni, Bologna, Il Mulino, 1985; Sartori G., The theory of democracy revisited, New Jersey (USA), Chatham House Publishers, 1987; Sartori G., Democrazia: cosa è, Milano, Rizzoli, 1993;
[9] Khan M. A. M., What is Islamic Democracy" The Three Cs of Islamic Governance, in Caliphates and Islamic Global Politics, E-International Relations, 2015, pp. 80-83.
[10] Cfr. Rhonheimer M., La filosofia politica di Thomas Hobbes. Coerenza e contraddizioni di un paradigma, Roma, Armando, 1997.
[11] I versi citati nell'elaborato sono tratti dalla consultazione delle fonti della shari'a effettuata su www.quran.com.
[12] Sostiene che il divario tra la cultura occidentale e quella arabo-islamico sia incolmabile e che Islam e democrazia siano incompatibili e reciprocamente inconcludenti nella loro totalità, aggiungendo che la modernità è considerata come una minaccia dalla civiltà islamica. Tratto da: Bukay D., Cultural fallacies in understanding islamic fundamentalism and palestinian radicalism, articolo in seguito ai lavori del Jerusalem Summit del 2003, consultato su www.jerusalemsummit.org, nella versione "web archive", in data 29.11.2024, alle ore 22:29.
[13] "In verità, coloro che abusano delle nostre rivelazioni non sono nascosti a noi. Chi è migliore: colui che sarà gettato nel fuoco o colui che arriverà salvo al giorno del giudizio" Fate ciò che volete, lui è certamente onniveggente su ciò che fate" [Corano 41:40].
[14] "…per quanto riguarda quanto menzionato su Al-Waleed bin 'Uqbah, intraprenderemo un'azione legittima e giusta contro di lui, se Dio vuole. Quindi, Uthman ordinò che venisse frustato con quaranta frustate…" [Bukhari 3872]
[15] Abdelmonem Y. H. O., Islam and democracy paper di Ludwig-Maximilians-Universität München, 2024, pp. 17-21.
[16] Sucilawati, The Concept of Shura in Islamic Governance Practice of Shura during the Caliph Umar Bin Khattab in International Journal of Politics and Sociology Research, Jakarta (Indonesia), Islam Negeri Syarif Hidayatullah University, 2020, pp. 24 e ss.
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