Un cavo d'acciaio teso in mezzo a una strada ha messo a repentaglio l'incolumità pubblica. La vicenda invita ad alcune riflessioni sui reati configurabili e sulle attività ludico-criminali

Cavo d'acciaio in mezzo a una strada: il fatto

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Secondo quanto è finora conosciuto, nella notte di qualche giorno fa tre ragazzi hanno fissato un cavo d'acciaio, ad altezza d'uomo, tra le corsie di una strada aperta al transito. Il cavo, rinvenuto in un cantiere, è stato agganciato a un albero e al palo di un cartello della segnaletica stradale. L'abitante di una casa che affaccia sulla strada, accortosi del cavo, ha richiesto l'intervento delle Forze dell'Ordine. Nel frattempo, un'autovettura sopraggiungeva e travolgeva il cavo, che si è spezzato piegando il palo al quale era agganciato.
Lo sconcerto pubblico per il gesto, potenzialmente fatale, è stato acuito dalle motivazioni addotte da uno dei ragazzi, individuato nell'immediatezza dei fatti. Alla base della condotta, cioè, un mero intento ludico - verificare la lunghezza del cavo appena reperito - a conclusione di una serata alcolica.
Nel commento mediatico si è parlato soprattutto di tentata strage. E, in effetti, il delitto di strage disciplinato dall'art. 422 c.p. è stato richiamato anche dall'autorità procedente, fino alla - momentanea - riqualificazione in blocco stradale aggravato da parte del Giudice per le indagini preliminari.
Senza soffermarsi su un procedimento penale agli albori e che imporrà ulteriori accertamenti, il fatto di cronaca offre un valido spunto per l'analisi di alcune fattispecie penali poco dibattute e di fenomeni sociali particolarmente insidiosi.

Le ipotesi di strage previste dal codice penale

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In prima battuta, come anticipato, gli organi di informazione hanno qualificato il fatto come un tentativo di strage, che si sarebbe sostanziato in un atto - l'aver posizionato un cavo d'acciaio in mezzo a una corsia stradale - idoneo a cagionare la morte di un numero indeterminato di persone, circostanza che non si è verificata per una fortunata casualità.
Al riguardo, il codice penale disciplina due fattispecie di strage. La prima è contenuta nel titolo dedicato ai "delitti contro la personalità dello Stato", che apre - non a caso - il libro dei delitti. Nello specifico, l'art. 285 c.p. punisce con l'ergastolo "Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso". La seconda fattispecie, sussidiaria rispetto alla strage politica, è descritta nell'art. 422 c.p., disposizione che inaugura il titolo dedicato ai "delitti contro l'incolumità pubblica" e che punisce "Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con l'ergastolo. 2. Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l'ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni".

La non configurabilità del tentativo di strage

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Entrambe le fattispecie condividono la natura giuridica di reati di pericolo, categoria che si connota per apprestare una tutela anticipata a taluni beni giuridici di primaria importanza, punendo la produzione di un mero pericolo indipendentemente da un effettivo danno (che, laddove esistente, può aggravare il trattamento sanzionatorio). In quest'ottica, si ritiene che l'evento del delitto di cui all'art. 422 c.p. consista nella mera produzione del pericolo (concreto) per l'incolumità pubblica, punito con la reclusione da 15 a 24 anni, mentre la morte - di una o più persone - è circostanza aggravante che consente di applicare la pena dell'ergastolo.
In altri termini, ai fini della consumazione del delitto è sufficiente che il soggetto compia atti idonei a creare una situazione di pericolo concreto per la vita di un numero indeterminato di persone: si parla, in proposito, di delitto a consumazione anticipata. Dall'altro lato, in ragione di tale anticipazione della soglia di punibilità si esclude la configurabilità del tentativo, poiché ciò comporterebbe un'eccessiva dilatazione dell'intervento penale, sanzionando il "pericolo di un pericolo", in evidente contrasto con il principio di offensività.
Calando tali principi nel caso di specie, va evidenziato che, diversamente da quanto si è sovente sostenuto nel dibattito pubblico, non può parlarsi di «tentata strage» perché il delitto de quo è incompatibile con il tentativo. Nondimeno, posto che l'evento del reato è la stessa creazione del pericolo per l'incolumità pubblica, potrebbe qui configurarsi una strage già consumata, con pena della reclusione non inferiore a quindici anni secondo quanto dettato dall'art. 422, co. 2, ultimo periodo, c.p.
Eppure, sebbene il delitto di strage sia costituito nel suo elemento oggettivo, appare condivisibile l'esclusione decisa dal Giudice per le indagini preliminari. Il Gip, nell'ordinanza con cui ha convalidato l'arresto e applicato la misura della custodia cautelare nei confronti di uno dei tre ragazzi, pur qualificando la condotta come «assurda» ha evidenziato l'insussistenza del coefficiente psicologico richiesto dall'art. 422 c.p.

Il fulcro della questione: il coefficiente psicologico nel delitto di strage

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Occorre dunque soffermarsi brevemente sull'elemento soggettivo, che è uno degli elementi costitutivi del reato. Il dolo, tra le varie classificazioni che lo riguardano, può essere distinto in generico e specifico: il primo richiede la rappresentazione e la volizione del fatto antigiuridico (come disposto dall'art. 43 c.p., il delitto è doloso quando l'evento dannoso o pericoloso "è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione"); il secondo, oltre al momento rappresentativo e volitivo, esige che l'agente commetta il fatto perseguendo un risultato ulteriore, benché il suo realizzarsi non sia necessario per la consumazione del reato.
Entrambe le fattispecie di strage conosciute dal codice penale richiedono il dolo specifico, il quale deve coprire anche le finalità perseguite. Di conseguenza, oltre alla volontà di compiere gli atti da cui scaturisce il pericolo per la pubblica incolumità e la consapevolezza di tale pericolo (c.d. dolo generico), si deve accertare che il soggetto abbia commesso il fatto al fine "di attentare allo sicurezza dello Stato" (art. 285 c.p.) oppure "di uccidere" (art. 422 c.p.). E' proprio tale finalità, peraltro, che funge da elemento discretivo tra i due tipi di strage.
Pertanto, considerato che l'art. 422 c.p. richiama espressamente il "fine di uccidere", per integrare il reato non basta l'oggettiva idoneità dell'atto a porre in pericolo l'incolumità pubblica, ma occorre che l'agente abbia agito avendo di mira la morte di almeno una persona. La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha da tempo evidenziato che il fine di uccidere è incompatibile con il dolo eventuale, la forma minima di dolo che rileva laddove il soggetto agente si limiti ad accettare il rischio di verificazione dell'evento. Più precisamente, è stato affermato che «la morte di una o più persone deve sempre rappresentare lo scopo specificamente perseguito dall'agente e non un evento che il soggetto, nel volerne un altro meno grave, si sia rappresentato come probabile o possibile conseguenza della propria determinazione, agendo anche a costo di provocarlo» (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. I, 19/3/1984, n. 7489).
Ebbene, tale scopo - sempre allo stato delle indagini - non pare essere stato perseguito dai tre ragazzi, potendo al più ravvisarsi un dolo eventuale incompatibile con la fattispecie incriminatrice considerata. Peraltro, sotto il profilo probatorio, la Cassazione ammette che la prova dell'elemento soggettivo possa trarsi da fattori estrinseci - quali le modalità dell'azione, e in primis la straordinaria potenzialità del mezzo usato - che manifestino con certezza l'intento finalistico di cagionare la morte di una o più persone, ma ciò corrobora l'esclusione della configurabilità del delitto. Nella casistica giurisprudenziale, infatti, il dolo specifico del delitto ex art. 422 c.p. è stato escluso, non ravvisandosi con certezza la volontà di uccidere, con riguardo a condotte meno equivoche quali l'impiego di benzina sull'unica porta d'ingresso di un appartamento occupato da persone dormienti (Cass. pen., Sez. I, 13/10/1987, CED 178193) e lo sversamento e l'accensione di benzina in una discoteca frequentata (Cass. pen., Sez. I, 19/3/1984, n. 7489).

Un fatto analogo: il lancio di sassi dal cavalcavia

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A questo punto, pare proficuo un richiamo ad alcune attività ludico-criminali che presentano delle similitudini con il caso in esame. L'insensatezza della condotta, la serietà dei rischi prodotti e la giovane età dei soggetti riportano alla mente alcuni fatti di rilevanza penale affrontati in passato dalla giurisprudenza. Il riferimento è al lancio di sassi dal cavalcavia, un fenomeno sociale che si è diffuso soprattutto sul finire del secolo scorso e che, in più di un'occasione, ha cagionato la morte di conducenti e passeggeri colpiti dalle pietre. Anche in quel caso si parlò di un delitto assurdo, commesso, usando le parole del pubblico ministero durante un processo, «per scacciare la noia non sapendo come trascorrere una serata d'inverno».
Con riguardo a queste ultime vicende, si sono invero registrate numerose condanne per omicidio (anche solo tentato) sorretto dal dolo degli agenti. La Cassazione ha infatti ritenuto che «tale azione, seppure non diretta, in ipotesi, a colpire singoli autoveicoli, è idonea […] a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve intendersi diretta la volontà dell'agente» (così Cass. pen. n. 5436/2005).

Tuttavia, al di là delle analogie tra le due azioni, la distinzione fondamentale sembra risiedere nei delitti contestati e, più in particolare, proprio nel tipo di dolo. Il delitto di omicidio previsto dall'art. 575 c.p. è un reato a dolo generico, che richiede rappresentazione e volizione della condotta antigiuridica ma non il perseguimento di un risultato ulteriore (come, ad esempio, il "fine di uccidere" richiamato dall'art. 422 c.p.). Conseguentemente, nel caso dei sassi dal cavalcavia, i giudici pervenivano a condanne per omicidio doloso poiché ravvisavano la volontà dell'atto e la consapevolezza di poter causare la morte dei conducenti (dolo generico), senza che fosse richiesto, ai fini dell'integrazione del delitto, il più insidioso accertamento del risultato avuto di mira (dolo specifico).

Le ulteriori fattispecie di reato configurabili: il blocco stradale

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Dunque il gip ha escluso la configurabilità del delitto di strage, in un primo momento ipotizzato dall'autorità procedente, per mancanza del dolo specifico. Occorre perciò interrogarsi sulle altre fattispecie incriminatrici che possono venire in rilievo, muovendo anzitutto dalla riqualificazione operata dallo stesso gip, il quale ha ravvisato i presupposti del reato di blocco stradale.
Il reato in questione, introdotto dal D.lgs. n. 66 del 1948, era stato declassato nel 1999 in mero illecito amministrativo, sanzionato con il pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 4.000. In seguito, il c.d. "Decreto sicurezza" (D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), al fine di tutelare la sicurezza dei trasporti e la libertà della circolazione, ha nuovamente attribuito rilievo penale al blocco stradale realizzato mediante oggetti (tra i quali, evidentemente, rientra anche un cavo d'acciaio). Si è invece mantenuta la sanzione amministrativa per chi ostruisse la strada con il proprio corpo, finché un nuovo "pacchetto sicurezza", a fine 2023, ha previsto la rilevanza penale anche di tale condotta a determinate condizioni.
Ciò premesso, l'art. 1 del D.lgs. 66/1948 punisce con la reclusione da uno a sei anni "chiunque, al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata". Inoltre, qualora il fatto sia commesso "da più persone, anche non riunite", la pena è raddoppiata, estendendo il massimo edittale fino a dodici anni di reclusione.
Ad ogni modo, si nota come anche il reato di blocco stradale esiga il dolo specifico. Dovrà pertanto accertarsi, ai fini della configurabilità, che il fatto sia stato commesso al "fine di impedire od ostacolare la libera circolazione", così importando complessità nell'accertamento non dissimili - seppur indubbiamente meno gravose - da quelle appuntate per il delitto di strage.
Un discorso diverso vale per la fattispecie di cui all'art. 432 c.p. (Attentati alla sicurezza dei trasporti), un'ipotesi residuale rispetto agli altri delitti contro l'incolumità pubblica, che punisce con la reclusione da uno a cinque anni chi pone in pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti. Anche tale fattispecie, in quanto delitto di pericolo, si consuma nel momento in cui sorge il pericolo per la sicurezza del trasporto pubblico, senza che rilevino le condotte poste in essere da terzi per rimuovere la situazione pericolosa. Tuttavia, essa richiede il dolo generico - anche nella forma del dolo eventuale -, che si sostanzia nella volontà di realizzare la condotta tipica e nella consapevolezza del pericolo. Di conseguenza, laddove non si provi il dolo specifico dei delitti sopra richiamati, sembra senz'altro configurabile l'art. 432 c.p. poiché il cavo d'acciaio ha attraversato una delle arterie principali della circolazione stradale cittadina, interessata dal passaggio del trasporto pubblico anche nelle ore notturne. Peraltro, in dottrina non manca chi ammette il concorso tra i reati di cui all'art. 1 del D.lgs. 66/1948 e all'art. 432, co. 1, c.p.
Da ultimo, resterebbe ferma l'applicabilità di ipotesi di reato residuali, quali l'interruzione di pubblico servizio di cui all'art. 340 c.p.
A margine, vanno rammentati ulteriori fatti che nel caso di specie presentano profili penalmente rilevanti, quali il furto del cavo dal cantiere e il danneggiamento dell'autovettura che ha impattato con il cavo, ai sensi degli artt. 624 e 635, co. 1, c.p. (reati procedibili soltanto a querela delle persone offese), nonché il danneggiamento del palo della segnaletica stradale riferibile all'art. 635, co. 2, n. 1., c.p.

Considerazioni finali

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Il tiro di un cavo d'acciaio, ad altezza d'uomo, tra le corsie di una strada può integrare diverse fattispecie di reato. Seguendo un ordine basato sulla gravità della sanzione in astratto irrogabile, occorre anzitutto rilevare come la condotta non possa configurare un - inesistente - tentativo di strage, bensì una strage consumata, posto che l'evento tipico del reato di cui all'art. 422 c.p. è la mera produzione di un pericolo concreto per l'incolumità pubblica. Ciò nondimeno, pare corretta l'esclusione del delitto per mancanza del coefficiente psicologico del dolo specifico (il "fine di uccidere"), non essendo sufficiente l'accettazione del rischio di cagionare la morte di chi si trovasse a percorrere la strada (c.d. dolo eventuale).
Nell'ordinanza del gip, il fatto veniva perciò riqualificato nel reato di blocco stradale aggravato ex art. 1, D.lgs. 66/1948, che punisce il blocco di una strada ordinaria (un'importante strada di Milano), da parte di più persone riunite (i tre ragazzi), mediante oggetti (il cavo d'acciaio). La pena prevista, nell'ipotesi aggravata, si estende fino a un massimo di dodici anni di reclusione, un limite frattanto idoneo a legittimare la misura della custodia cautelare e ad acquietare le istanze punitive della collettività. D'altra parte, la forbice sanzionatoria è così ampia da consentire al giudice dell'eventuale giudizio di vagliare l'effettiva gravità della condotta e quindi applicare la pena più congrua. Resta ferma, anche in questo caso, la necessità di provare il dolo specifico, ossia che i tre soggetti abbiano agito al fine "di impedire od ostacolare la libera circolazione".
Un tale accertamento non è invece richiesto per il reato previsto dall'art. 432 c.p., posto a presidio della sicurezza del trasporto pubblico, che richiede l'accertamento del dolo generico ed è compatibile con il dolo eventuale. Infine, resterebbero applicabili ipotesi di reato residuali, quali l'interruzione di pubblico servizio ai sensi dell'art. 340 c.p.
In conclusione, si comprende come l'esatta qualificazione giuridica dei fatti ruoti intorno al tema dell'elemento soggettivo. Del resto, è ancora il tipo di dolo che consente di distinguere la condotta in esame da alcune vicende giudiziarie similari, come quelle scaturite dal lancio di sassi dal cavalcavia. Come si è già avuto modo di sottolineare, questi ultimi fatti venivano ricondotti a reati - come l'omicidio di cui all'art. 575 c.p. - sorretti dal dolo generico e, quindi, indipendenti da un accertamento sulle specifiche finalità perseguite dagli agenti. Tali finalità, all'opposto, restano decisive per la configurazione dei reati di strage e di blocco stradale sopra richiamati. Un'ulteriore differenza tra le due vicende risulterebbe peraltro cruciale: considerato che la terribile pratica del lancio di sassi dal cavalcavia si diffuse rapidamente a cavallo tra il secolo scorso e quello corrente, l'auspicio è di sterilizzare l'emulazione di altri episodi così tragicamente «assurdi».


Foto: Foto di 3D Animation Production Company da Pixabay.com
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