Le appendici scritte nel nuovo rito semplificato dinanzi al GDP: un dovere concederle o una mera facoltà? L'interpretazione del giudice di pace di Avellino


Ancora una volta il Giudice di Pace di Avellino, già antesignano delle primissime interpretazioni sulle neo-introdotte disposizioni riguardanti il rito semplificato di cognizione dinanzi all'organo non togato (si veda il precedente dell'ordinanza del Gdp di Avellino del 3 marzo 2023 est Fiore), offre un nuovo contributo all'inquadramento del controverso inciso del comma 4 dell'art. 281 duodecies c.p.c., quest'ultimo richiamato nei suoi commi 2, 3, 4 nel rito dinanzi al GDP, dall'art 320 c.p.c.

Il caso sottoposto all'attenzione dell'esperto GDP riguardava una opposizione a decreto ingiuntivo contenente domanda riconvenzionale, introdotta secondo il riformato art. 318 c.p.c.; ebbene con la proposta opposizione, l'attore (in senso formale) dopo aver preso posizione sui fatti posti dal creditore a fondamento della ingiunzione, a suffragio della propria riconvenzionale depositava una serie di documenti.


Nel termine previsto ex artt. 319 e 281 comma 2 undecies c.p.c. si costituiva in giudizio mediante rituale comparsa, il convenuto (in senso formale) il quale, a sua volta mediante articolata difesa prendeva posizione sui fatti dedotti dallo stesso attore nella propria opposizione oltreché sulla incoata riconvenzionale, allegando ulteriore documentazione. Nella prima udienza ex art. 320 riformato c.p.c., stante la mole notevole di allegazioni del convenuto, prodotte con il deposito della stessa sua comparsa nel termine dei dieci giorni antecedenti alla prima udienza, l'opponente, per ripristinare il contraddittorio su quelle prove precostituite, era costretto a chiedere al giudice la concessione dei termini per il deposito di appendici scritte ex art. 281 duodecies c.p.c. comma 4.


Il GDP avendo ritenuto pienamente giustificate le richieste dell'attore, con provvedimento emesso fuori udienza concedeva: "il termine, decorrente dalla comunicazione di cancelleria non superiore a 20 giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti" assegnando alle medesime parti un un ulteriore "termine non superiore a 10 giorni per replicare e dedurre prova contraria" fissando la successiva udienza del 1.02.2024 per l'ulteriore impulso del processo.


L'ordinanza del 23/10/23 del GDP di Avellino (sotto allegata) offre quindi lo spunto per individuare quali concrete esigenze nel rito dinanzi al detto organo possano indurre a concedere i previsti termini ex art. 281 undecies comma 4 c.p.c.
Per inquadrare correttamente la disposizione, evincendone in conclusione la sua singolarità, sarà utile un parallelismo con il previgente art 183 VI comma c.p.c. e/o con il contemporaneo ed immodificato art 420 comma VI c.p.c.


Ebbene, non pare affatto mutuabile l'esperienza, almeno quella iniziale, maturata nel previgente rito di cognizione ordinario allorchè le parti o una di esse nella prima udienza avessero maturato l'esigenza di chiedere al Giudice la concessione dei termini per il deposito delle appendici scritte ex art 183 VI c.p.c. Infatti nei primi orientamenti nomofilattici in tema è noto vi fosse un'unità di indirizzo nel ritenere che "nella concessione dei termini non vi sono margini di discrezionalità del decidente, essendo necessaria sufficiente e bastevole la semplice richiesta di una delle parti"; nella sostanza la concessione si riteneva fosse doverosa e non sindacabile dall'A.G. la quale in caso di richiesta non avrebbe potuto che concederla.
Questa prima opzione interpretativa, in tutta evidenza non può certo far ritenere come assimilabili l'ipotesi del prev. art. 183 VI c.p.c. e quella della neo-introdotta disposizione ex art 281 duodecies c.p.c. comma 4, non foss'altro per il fatto che la formulazione di quest'ultima abbina la richiesta delle parti (necessaria e sufficiente secondo la stessa lettera del prev. art. 183 VI c.p.c.) ad un ulteriore requisito: il suffragio di un giustificato motivo il chè, rende evidentemente discrezionale nella stessa disposizione ex art 281 duodecies comma 4 c.p.c. la concessione delle appendici con il termine di 20 giorni per precisare o modificare le domande e anche per proporre le ulteriori eccezioni conclusioni e articolazioni istruttorie e quell'altro di 10 giorni per le repliche.


Per completezza è bene dire che, poco prima dell'abrogazione del disposto dell'art 183 c.p.c. ad opera della riforma Cartabia, la doverosità nella concessione delle appendici scritte ex art 183 VI c.p.c. era stata già messa fortemente in discussione da un altro meditato e meno lontano orientamento della S.C. il quale aveva invece ritenuto che: "la richiesta della parte di concessione di termine ex art 183 VI c.p.c. non preclude al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione. Una diversa interpretazione delle norme comportando il rischio d richieste puramente strumentali si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo oltre che con il favor legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall'art 189 c.p.c." (cfr., Cass. n. 4767/2016; Cass. n. 7474/2017 e Cass. n. 17685/2022).


Non appare altresì assimilabile l'esperienza maturata in seno al rito del lavoro, allorchè il disposto dell'art. 420 c.p.c. rimasto immutato, al suo comma sesto sancisce che: "nel caso in cui vengano ammessi nuovi mezzi di prova a norma del quinto comma la controparte puo' dedurre i mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi ,con assegnazione ove ricorrano giusti motivi di un termine perentorio di cinque giorni per note difensive"; infatti nel processo del lavoro la rigidità delle preclusioni istruttorie che maturano con la costituzione delle rispettive parti impedisce ogni parallelismo con il rito semplificato dinanzi al GDP ove i contendenti godono di poteri di più ampio respiro. Nel rito del lavoro la concessione del termine per note difensive ex art 420 c.p.c. avviene infatti nell'ipotesi eccezionale di ammissione di nuovi mezzi istruttori e solo quando rispetto a questi ultimi le contrarie difese non siano rassegnabili in udienza.
Come si vede, la differente identità di ratio che anima le disposizioni in raffronto impedisce di assimilarne i percorsi inducendo quindi a ritenere, come già anticipato, del tutto peculiare la ratio dell'art. 281 duodecies comma 4 c.p.c.


Il giustificato motivo per la concessione del termine ex art 281 duodecies comma 4 c.p.c., per il GDP di Avellino, è quindi rappresentato almeno nella decisione in rassegna, dalla impossibilità per il ricorrente di controdedurre proficuamente, nei ristretti tempi d'udienza, sulla moltitudine di documenti depositati dal convenuto con la costituzione, ragion per cui, proprio per consentire all'attore il ripristino del pieno contraddittorio su quelle stesse allegazioni, il detto organo concede al richiedente e alla sua controparte il doppio termine ex art 281 duodecies comma 4 c.p.c.


In conclusione: non è affatto espressione di un dovere la concessione del termine, bensì di una facoltà del GDP la quale, al pari di ogni altro provvedimento giudiziario, anche interlocutorio andrà quindi motivata atteso che in suo difetto ogni doglianza sull'eventuale diniego potrà ritenersi ammissibile, all'esito del giudizio, con l'impugnazione della sentenza, quando consentita.

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