La Cassazione interviene sul mandato d'arresto europeo chiarendo che per chi è affetto da Hiv è necessario un programma sanitario individualizzato

Mandato d'arresto europeo: i chiarimenti della Cassazione

Avverso la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Torino disponeva la consegna di un cittadino straniero affetto da HIV, presentava ricorso in Cassazione la difesa per violazione di legge ex articolo 606 comma 1 lettera B c.p.p. in relazione agli articoli 2, 6 e 18 legge 22 Aprile 2005 numero 69, nonché all'articolo 3 Convenzione EDU.

Infatti La Grande Camera della Corte di Giustizia del 5 Aprile 2016 ha affermato che l'esecuzione del mandato di arresto europeo non può mai condurre ad un trattamento inumano o degradante, sulla base del divieto posto dall'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, a sua volta corrispondente all'articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.

Inoltre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza 6551 del 2020 hanno ribadito l'indirizzo per il quale, in relazione al tema della violazione del cosiddetto spazio minimo individuale, vari fattori compensativi solo se congiuntamente ricorrenti possono permettere di superare la presunzione di violazione dell'articolo 3 della CEDU, derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio inferiore a 3 metri quadrati costituiti da : a) la breve durata della detenzione b) le dignitose condizioni carcerarie c) la sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguati attività all'esterno di essa punto.

Anche la Corte Costituzionale (sentenza n.177 del 2023) ha recentemente ribadito che l'esecuzione dei mandati d'arresto europeo è condizionata dal rispetto dei diritti fondamentali della persona richiesta, ai sensi dell'art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI: disposizione, quest'ultima, alla quale il legislatore italiano aveva dato originariamente attuazione con gli artt. 1 e 2 della legge n. 69/2005, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10/2021 e dà ora attuazione - successivamente a tali modifiche - con la nuova formulazione dell'art. 2.

La Corte di Cassazione con la sentenza in oggetto (Cass. Sez. VI Pen. n. 30997 del 14 Luglio 2023) ha accertato che la Corte d'Appello di Torino non aveva escluso in termini adeguati la sussistenza di un concreto rischio di violazione dei diritti fondamentali della persona, sia riguardo allo spazio minimo individuale, sia riguardo al trattamento sanitario riservato ad un soggetto affetto da HIV.

Nelle informazioni trasmesse dallo stato estero, infatti, si precisava che la destinazione del soggetto sarebbe stata definita solo dopo un periodo di quarantena di 21 giorni in cella collettiva e si garantiva uno spazio minimo individuale di 3 metri quadri comprensivo, però, del letto e dell'arredamento.

Si trattava dunque di indicazioni del tutto generiche quanto alla individuazione della struttura di destinazione e che non offrivano alcuna certezza neppure in ordine all'esistenza di adeguati fattori compensativi a fronte di uno spazio inferiore alla soglia minima indicata dalle sezioni unite.

Anche nel programmato periodo di quarantena obbligatoria in cella collettiva, non certo breve perché di 21 giorni, le garanzie compensative risultavano tutt'altro che rispettose degli indicati parametri, essendo il regime applicato in quel periodo in tutto assimilabile a quello chiuso.

Inoltre, pur a fronte della comprovata grave patologia (HIV) da cui il ricorrente risulta affetto, è mancata del tutto, pur a fronte delle richieste avanzate della Corte d'Appello, la previsione da parte dell'amministrazione carceraria straniera di un programma individualizzato calibrato sulle esigenze sanitarie del ricorrente, essendosi la Corte limitata in termini assertivi ad indicare che verrà garantita assistenza sanitaria a titolo gratuito su richiesta ovvero laddove fosse necessario.

Pertanto la Corte di Cassazione annullava la sentenza della Corte d'appello e rinviava ad altra sezione per un nuovo giudizio.

La Corte d'Appello di Torino, seguendo le indicazioni della Suprema Corte e preso atto del mancato invio di informazioni complementari, rigettava la richiesta di consegna e ordinava l'immediata liberazione del detenuto.

Avv. Emanuele Crozza

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