La Cassazione conferma la particolare tenuità del fatto per la coltivazione domestica di cannabis, al limite della condotta incriminabile

Cannabis e particolare tenuità del fatto

Sì alla particolare tenuità del fatto per la coltivazione domestica di cannabis, al limite della condotta tipica incriminabile. Così la terza sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 23520/2023 (sotto allegata).

Nella vicenda, l'imputato veniva assolto dal reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto non punibile ex 131-bis cod. pen., in relazione alla coltivazione di cinque piante di canapa indiana, di altezza variabile tra i 20 e i 40 cm.

Il procuratore adisce però la Cassazione, lamentando la violazione dell'art. 131-bis cod. pen., in quanto, a suo dire, l'imputato aveva avviato una attività professionale di coltivazione di canapa indiana, adottando ogni specifica modalità attuativa idonea per la buona riuscita dell'operazione, ponendo in essere peculiari accorgimenti ed impiegando tecniche di particolare pregio, sintomo di un approfondimento della materia e non certo di una sporadicità della condotta.

Gli Ermellini gli danno torto. E richiamano il principio, già enunciato dalle Sezioni Unite (n. 12348/2019), secondo cui "non integrano il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore".

Le stesse Sezioni Unite sottolineano che "vi è, una graduazione della risposta punitiva rispetto all'attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni: a) devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo - alle condizioni sopra elencate - per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all'esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto; b) la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell'art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990; c) alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l'art. 131-bis cod. pen., qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, nonché, in via gradata, l'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto".

Nella fattispecie, alla luce delle modalità con cui è stato compiuto il fatto, il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto la particolare tenuità del fatto, sulla base di considerazioni logiche e coerenti e, dunque, insindacabile in sede di legittimità.

A ben vedere la condotta si colloca "al limite della stessa tipicità presa in considerazione della disposizione incriminatrice: per il numero irrisorio di piante, per il quantitativo complessivo di dosi ricavabili, per le modalità rudimentali della coltivazione, per l'assenza di precedenti penali e di altri elementi da cui desumere la destinazione allo spaccio o l'inserimento del soggetto nel mercato degli stupefacenti".

Per cui, concludono dal Palazzaccio, "gli elementi presi in considerazione dal giudice consentono di ritenere a fortiori applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., a fronte di una prospettazione del ricorrente che appare diretta ad ottenere una sostanziale rivalutazione del merito della vicenda, al dì fuori dei limiti previsti dall'art. 606 cod. proc. pen.". Il ricorso è quindi inammissibile.

Scarica pdf Cass. n. 23520/2023

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: