La disciplina della revocazione nel processo civile e nel processo tributario: tassatività dei motivi e modalità di presentazione dell'atto di citazione e del ricorso

Natura della revocazione e bilanciamento tra giustizia e certezza giuridica

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Ogni processo giurisdizionale e? improntato all'attuazione della certezza e della giustizia, principi fondamentali che, diramandosi dal campo dei valori costituzionali fino a giungere a risvolti pratici e concreti, necessitano di contemperamento e bilanciamento.

L'esigenza di certezza giuridica è presidiata dall'intangibilità del giudicato che fa stato ad ogni effetto sancendo così l'incontrovertibilità dell'accertamento di diritto fatto valere dalle parti nel corso del processo.

Per cui, constatata la particolare forza accordata al giudicato sostanziale, si avverte immediatamente che la decisione sia giusta e cioè che sia stata presa nel corso di un procedimento valido e in cui le norme giuridiche e i fatti sono stati correttamente accertati e esattamente interpretati. A garanzia di questo vi è il sistema delle impugnazioni.

Pertanto, il passaggio in giudicato sostanziale della sentenza appunto, è collegato al momento in cui la decisione diventa immutabile perché non più soggetta a certi mezzi di riesame. Questo, però, non vuol dire che una decisione passata in giudicato non potrebbe essere ingiusta; infatti, nel nostro ordinamento giuridico esiste un rimedio volto ad accertare l'ingiustizia del giudicato e, quindi, rimuoverlo, attuando l'istituto della revocazione. Tale istituto, tra l'altro, non esiste nei soli ordinamenti di civil law ma anche in quelli di common law.
L'oggetto della revocazione consiste nella eliminazione di una turbativa del giudizio.

La revocazione è, difatti, rivolta a rimuovere l'ingiustizia della decisione cagionata dalla turbativa medesima. Nella eventualità, dovrà revocarsi la sentenza turbata e rinnovare la decisione.

La disciplina della revocazione

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La disciplina della revocazione è contenuta negli articoli 395 e seguenti c.p.c.
Da un punto di vista generale, la revocazione è un mezzo di impugnazione a critica vincolata, come la Cassazione e a differenza dell'appello, tant'è che tale istituto è applicabile soltanto per motivi tassativamente elencati all'art. 395 c.p.c.
L'istituto della revocazione si caratterizza per una prima fase rescidente volta ad accertare il vizio lamentato e per una seconda fase rescissoria, che si svolge sempre dinanzi al giudice della fase rescidente, volta a creare una nuova decisione da sostituire a quella revocata.
Per quanto riguarda le sentenze della Cassazione, bisogna far riferimento a due articoli: 391 bis, il quale dispone che sono impugnabile le sentenze di Cassazione per errore di fatto; 391 ter, che dispone che le sentenze della Cassazione che decidono nel merito, che dunque non rinviano, sono impugnabili anche per i motivi di revocazione straordinaria.
Questo perché la Cassazione rigetta ricorso e in questo caso ciò che conta è la sentenza d'appello; pertanto, la revocazione si proporrà contro questa; oppure la Cassazione accoglie ricorso ma rinvia, qualora non decida nel merito quindi, in questo caso, sarà contro la sentenza di rinvio che eventualmente sarà proposta revocazione.
Qualora sia necessario un'istruttoria nel giudizio di revocazione per accertare la sussistenza dei motivi e così via, sorge un problema perché in Cassazione non è possibile un'attività istruttoria, per cui la fase rescindente che annulla la sentenza revocata si terrà dinanzi alla Cassazione mentre la fase rescissoria si svolgerà davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.
Sono escluse dalla revocazione le sentenze appellabili, atteso che l'esperibilità di un mezzo di ampia portata ed a critica libera, come l'appello, assorbe in sé ed elimina ogni altra esigenza di impugnazione. Sono impugnabili, quindi, per revocazione le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado (ex art. 395 c.p.c.) e le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello, solo limitatamente ai motivi di revocazione straordinaria (ex art. 396 c.p.c.).

Revocazione ordinaria e revocazione straordinaria

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Sulla base degli artt. 395 e 396 c.p.c., si distingue tra revocazione ordinaria - impedisce il passaggio in giudicato della sentenza - ovvero straordinaria - proponibile anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza - con riguardo alla natura palese o occulta dei vizi della decisione.
Con la revocazione straordinaria, può chiedersi l'eliminazione di turbative particolarmente gravi ed anche quando la sentenza sia passata in giudicato.

E, cioè, anche quando l'ingiustizia della sentenza non sarebbe più rimediabile coi mezzi di impugnazione ordinaria e per il trascorrere del perentorio termine previsto per la proposizione del gravame (art. 325 c.p.c.). Ed, in effetti, la revocazione straordinaria deve proporsi entro il perentorio termine di giorni trenta dalla data della scoperta del dolo della controparte o della falsità delle prove o della collusione o del recupero del documento o del passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato il dolo del giudice o della conoscenza da parte del pubblico ministero della sentenza che ha pronunciato senza che sia stato sentito (artt. 326 e 395, comma 1, n. 1, 2, 3, e 6; 396, comma 1; 397 c.p.c.).

Se la scoperta avviene pendente il termine per l'appello, questo è prorogato fino a raggiungere i giorni trenta (art. 396, comma 2, c.p.c.). L'eccezionale deviazione, giustifica la regola del carattere tassativo delle turbative di che trattasi.
Con la revocazione ordinaria può, invece, chiedersi l'eliminazione di quelle turbative che siano direttamente riscontrabili dalla sentenza. Ciò che spiega perché il termine per proporre la impugnazione de qua sia quello ordinario di giorni trenta decorrenti dal giorno della notificazione della sentenza o in mancanza di mesi sei dalla pubblicazione (artt. 325, 326 e 327 c.p.c.).

L'eliminazione delle turbative de quibus non è quindi più possibile, dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

Tali turbative sono, innanzitutto, costituite dall'errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa. Ipotesi che si verifica quando la sentenza sia stata fondata su di un fatto la cui verità sia appunto esclusa dai detti atti o documenti di causa o quando sia fondata sulla inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita dai ridetti atti o documenti. Ma, in entrambe le ipotesi, a condizione che il fatto non sia stato tra quelli controversi e sui quali abbia statuito la sentenza (art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.).

L'altra turbativa eliminabile con la revocazione ordinaria, si dà quando la sentenza sia contraria ad altra precedente tra le medesime parti ed avente autorità di giudicato.

Ma, anche qui, alla condizione che la sentenza impugnata per revocazione ordinaria non abbia statuito sul punto (art. 395, comma 1, n. 5, c.p.c.).

Pure in questo caso, la eccezionale deviazione giustifica la regola del carattere tassativo delle turbative di che trattasi.
Competente a decidere sulla revocazione è lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 398, comma 1, c.p.c.).

La forma dell'impugnazione per revocazione è quella dell'atto di citazione sottoscritta da un difensore munito di mandato speciale (artt. 83, 163 e 398, comma 2 e 3, c.p.c.). Ciò anche quando il processo sia iniziato con ricorso. A pena di inammissibilità, la citazione deve indicare il motivo per cui si chiede la revocazione e nei casi di revocazione straordinaria deve indicare anche le prove dello stesso e del giorno della scoperta o dell'accertamento del dolo o della falsità o del recupero dei documenti (artt. 395, 396 e 398, comma 2, c.p.c.). Ovviamente, la citazione dovrà anche contenere quegli elementi che possono permettere la decisione del merito.
La forma di costituzione delle parti è quella normale.

La sola differenza riscontrabile consiste in ciò. Che davanti alla corte d'appello ed al tribunale la citazione e la comparsa di risposta debbono entrambe depositarsi in cancelleria - a pena di inammissibilità - entro giorni venti dalla notificazione dell'atto di citazione medesimo (art. 399, comma 1 e 2, c.p.c.). Sempre a pena di inammissibilità, con la citazione deve anche andare depositata la sentenza che si impugna col mezzo in parola (art. 399, comma 1, c.p.c.). Invece, quando la revocazione sia proposta davanti al giudice di pace, la costituzione ed il deposito debbono farsi secondo le normali regole (artt. 319 e 399, comma 3, c.p.c.).
Il procedimento è quello stesso ordinario del giudice adito per la revocazione, salve le deroghe espressamente stabilite dalla legge (art. 400 c.p.c.).
La proposizione della revocazione non sospende ex lege l'esecuzione dell'impugnata sentenza (art. 401 c.p.c.). Tuttavia, il giudice adito per la revocazione può disporre la sospensione epperò soltanto quando questa sia chiesta in atto di citazione (art. 401 c.p.c.). Il procedimento e le condizioni richieste per ottenere la sospensione, sono quelle stesse della cosiddetta inibitoria (artt. 373 e 401 c.p.c.).
In caso di revocazione della sentenza impugnata, deve seguire la nuova decisione della controversia e l'eventuale condanna restitutoria (art. 402, comma 1, c.p.c.). Ciò, a meno che il giudice ritenga di non essere in grado di decidere il merito per insufficienza dell'istruttoria in precedenza espletata. Per tale evenienza, è quindi prevista la pronuncia di revocazione e di ordinanza di rimessione istruttoria (artt. 279, comma 2; 402, comma 2, c.p.c.).
La sentenza che decide sulla revocazione è impugnabile coi mezzi cui era originariamente soggetta (art. 403, comma 2, c.p.c.). E, questo, perché la nuova pronuncia si sostituisce a quella revocata. La nuova pronuncia non potrà, però, più essere revocata (art. 403, comma 1, c.p.c.).
La revocazione ordinaria fa riferimento ai casi indicati nei numeri 4 e 5; mentre si parla di revocazione straordinaria se si fanno valere i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dello stesso art. 395 c.p.c.
Nel dettaglio, soffermandoci sui motivi di revocazione, possiamo notare che:

  • al numero 1) si menziona il dolo revocatorio: si tratta del dolo di una parte a danno dell'altra. Questo è un concetto molto delicato che va posto in relazione con l'articolo 88 c.pc, il quale dispone circa il dovere di lealtà e probità. La maggior parte della dottrina e della giurisprudenza sostiene che il dolo revocatorio debba essere un vero e proprio raggiro della parte che paralizzi la difesa della controparte; pertanto non si deve trattare di una mera omissione o un'incompleta allegazione dei fatti;
  • al numero 2) viene disciplinato come motivo di revocazione il fatto che la sentenza si sia basata su prove false. In questo caso bisogna ricordare che da questa disposizione è escluso il caso del falso giuramento. Pertanto, nel caso in cui venga prestato falso giuramento e la falsità del giuramento venga scoperta, la parte non può proporre prova contraria né chiedere la revocazione; è possibile solo il risarcimento del danno. Di conseguenza si può invocare l'istituto della revocazione, ad esempio, quando vi sia stata una falsa consulenza tecnica. Perché sia ammissibile questo motivo di revocazione, la prova deve essere riconosciuta falsa (dalla parte che ha beneficiato della falsa testimonianza) oppure dichiarata falsa con sentenza. Ovviamente il riconoscimento o la dichiarazione della falsità di una devono avvenire successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata; può però accadere che la prova sia stata dichiarata falsa ma che la parte non lo sappia senza colpa e, per questa ipotesi, è possibile la revocazione anche se la dichiarazione di falsità o riconoscimento della falsità è avvenuta prima della pronuncia.
  • Al numero 3) si fa riferimento alla scoperta di un documento decisivo per la causa; il legislatore pretende che la parte debba trovarsi nell'impossibilità di proporre in giudizio questo documento decisivo o per forza maggiore o per causa dell'avversario. Chiaramente questo aspetto va coordinato con la disciplina dell'esibizione delle prove, ex art. 210 c.p.c., prevedendo che la parte possa chiedere al giudice di ordinare l'esibizione del documento utile per fondare il suo diritto. Questo motivo di revocazione non è mai possibile quando questo documento decisivo si trovava presso un depositario pubblico perché in questo caso la parte avrebbe potuto averlo a disposizione e introdurlo nel processo. In questi tre motivi il vizio è occulto poiché viene scoperto in seguito ad un evento successivo, come ad esempio il dolo.
  • Il numero 4) riguarda l'errore della sentenza. In questo caso è importante distinguere se l'errore di fatto risulta dagli atti o dei documenti della causa dall'errore del giudice. L'errore di fatto che, in questo caso, legittima a proporre revocazione è da intendersi come un errore di percezione del giudice.
  • Al numero 5) viene disciplinato il caso di una sentenza contraria alla precedente sentenza passata in giudicato tra le parti, a meno che il giudice non abbia pronunciato sulla relativa eccezione (ovvero se ha già statuito circa questa situazione). Bisogna però fare un'altra precisazione: se l'eccezione di giudicato è stata sollevata in quella sentenza che ora impugniamo per revocazione e se il giudice non si è pronunciato, non si potrà proporre revocazione bensì il ricorso di Cassazione per omissione di pronuncia. L'ultimo motivo di revocazione va associato ai primi tre motivi è il dolo del giudice; ovviamente non si tratta di un dolo affermato dalla parte ma questo dolo deve essere accertato con sentenza passata in giudicato.

Revocazione nel processo tributario

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Nel processo tributario, l'istituto della revocazione è disciplinato dagli artt. 64 - 67 del D. Lgs. n. 546 del 31.12.1992. Precedentemente, la revocazione delle sentenze delle commissioni tributarie era disciplinata dall'art. 41 del D.P.R. n. 636/72.
Come emerge dal tenore letterale della normativa in rassegna, la revocazione si propone come un mezzo di impugnazione sussidiario rispetto ad altre forme previste dall'ordinamento, nonché come un rimedio eccezionale che consente, nei casi previsti, di valorizzare profili di fatto rispetto a sentenze che, secondo le regole ordinarie, non sarebbero più impugnabili per valutazioni di merito ovvero in conseguenza alla formazione di un giudicato sulla controversia.
La funzione della revocazione è quindi quella di introdurre un ulteriore grado di giudizio diretto ad eliminare e sostituire la sentenza impugnata (considerata "ingiusta" e non già "illegittima") con un'altra di pari grado che, però, possa definirsi "giusta" e basata su una corretta ricostruzione degli elementi di fatto della vicenda.
La revocazione si propone, inoltre, alla stregua di un gravame a critica vincolata, esperibile entro i limiti meglio definiti attraverso il richiamo alla disciplina civilistica dell'istituto. L'art. 395 cit. prevede infatti la possibilità di elevare il ricorso per revocazione in sei ipotesi tassative elencate nello stesso articolo.
In ambito tributario è, poi, previsto un ulteriore limite (non espressamente contemplato nel rito civile), ovvero che le sentenze delle Commissioni Tributarie ora Corti di giustizia tributaria possano essere impugnate unicamente nel caso in cui abbiano ad oggetto giudizi di fatto.
Tale previsione non implica, però, che non possano revocarsi le sentenze di rito, o che possano essere oggetto di revocazione solamente le sentenze di merito. In effetti, come correttamente osservato da alcuni autori, le sentenze di rito possono, comunque, involgere questioni di fatto, così come le sentenze di merito possono, potenzialmente, statuire unicamente su questioni di diritto.
Il ricorso per revocazione non è proponibile in relazione alle sentenze emesse a conclusione del giudizio di ottemperanza, ex art. 70, comma 7, D.Lgs. n. 546/1992. L'azione revocatoria è, altresì, preclusa anche rispetto ad altri provvedimenti quali le ordinanze a contenuto decisorio (e.g., ordinanze di estinzione dei giudizi) e i decreti emessi dal giudice tributario.
La legge di riforma del processo tributario apporta sostanziali modifiche alla disciplina del processo tributario di cui al D.Lgs. 31.12.1992, n. 546, tra le quali spiccano la nuova denominazione degli organi giudicanti, il giudice monocratico, la prova testimoniale, la proposta conciliativa, il reclamo-mediazione, la sospensione dell'atto impugnato, le udienze da remoto (art. 4) e la prova delle violazioni contestate (art. 6), nonché la definizione agevolata dei giudici tributari pendenti avanti la Corte di Cassazione (art. 5) e la riscossione in pendenza di giudizio (art. 4, comma 1).
Ai sensi dell'art. 64 del D. Lgs. n. 546/92 "Contro le sentenze delle commissioni tributarie, reictus Corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado, che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate, è ammessa la revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c.". Il secondo comma del medesimo articolo prevede che: "le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai nn 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c. purchè la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al n. 6 dell'art. 395 c.p.c. siano posteriori alla scadenza del termine suddetto".
La revocazione ordinaria, fondata su vizi palesi intrinsechi alla sentenza, deve essere proposta entro il termine ordinario di 60 gg. dalla notificazione della sentenza o entro il termine annuale in assenza di notificazione (art. 327 c.p.c.). Sono palesi i vizi dei quali la parte può avere conoscenza fin dalla pubblicazione della sentenza.
La revocazione straordinaria, invece, essendo fondata su vizi occulti, in quanto esteriori alla sentenza, deve essere proposta nel termine di 60 gg. decorrenti dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza del vizio legittimante.
I vizi occulti sono quelli discendenti dalla scoperta di documenti o fatti ignorati nel corso del procedimento che ha condotto alla sentenza di cui si chiede la revisione.
Dalla lettura dell'art. 64 del D. Lgs. n. 546/92 emerge, contrariamente a quanto avviene in sede civile con l'art. 395 c.p.c., che la revocazione è esperibile contro le sentenze della Corte di Giustizia tributaria, che involgono accertamento di fatto. Tale precisazione, però, in realtà, può apparire pleonastica, in quanto, tutti i motivi esperibili, sia nella revocazione ordinaria che in quella straordinaria, concernono un giudizio di fatto e la corretta ricostruzione degli elementi necessari per pervenire alla decisione della controversia.
A tal proposito è bene porre in evidenza che la revocazione in ambito tributario si differenzia dall'analoga disciplina civilistica per l'assenza della revocazione su istanza del pubblico ministero ex art. 397 c.p.c.
La nuova formulazione della norma relativa alla revocazione tributaria, con la previsione dell'applicabilità delle norme procedimentali stabilite per il giudice innanzi al quale è proposta la revocazione (art. 66) e l'espressa statuizione che, "ove ricorrano i motivi di cui all'art. 395 c.p.c. la commissione, ora Corte, decide il merito della causa e detta ogni altro provvedimento consequenziale" (art. 67), evidenzia una separazione tra la fase c.d. rescissoria del giudizio e quella c.d. rescindente.
Tale formulazione essendo, indubbiamente, più vicina alla disciplina civilistica dà vigore alla tradizionale distinzione tra fase rescindente e fase rescissoria.

Modalità di presentazione del ricorso per revocazione

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A norma dell'art. 65 del D. Lgs. n. 546/92, il ricorso per revocazione deve contenere, a pena di inammissibilità, gli elementi previsti dall'art. 53, co. 1, del medesimo decreto, nonché la specificazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti.
In altri termini, il ricorso deve contenere gli elementi previsti per il ricorso in appello, anche se, a tal proposito, è l'enunciazione del motivo di revocazione, che riveste importanza decisiva per la sua ammissibilità.
Come confermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, non è sufficiente il mero richiamo all'astratta fattispecie normativa, ma si rende necessaria l'esplicazione delle ragioni e dei fatti in concreto addotti a sostegno della domanda.
Il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 60 giorni dalla data di notificazione dell'atto.
La notifica del ricorso all'ente impositore da parte del ricorrente deve avvenire a mezzo pec (art. 16 bis, comma 3, D.Lgs. n. 546/92, secondo le disposizioni contenute nel processo tributario telematico (PTT) dettate dal D.M. 23.12.2013 n. 163 e dai successivi decreti attuativi.
L'indicazione dell'indirizzo PEC ha valore di elezione di domicilio a tutti gli effetti (art. 16 bis, comma 4, D. Lgs. N. 546/92).
L'obbligo della notifica del ricorso PEC non sussiste per i soggetti che non si avvalgono della difesa tecnica nelle cause di valore inferiore ai tremila euro. In tale ipotesi le notifiche sono eseguite ai sensi dell'art. 16 del D.Lgs. n. 546/92.


Avv. Maurizio Auteri
Titolare studio legale
Via Nestore n. 4
07051 Budoni (SS)


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