La Cassazione si sofferma sulle conseguenze sulla richiesta di revisione dell'assegno di divorzio dopo la riconciliazione dei coniugi

Riconciliazione successiva al divorzio e revisione dell'assegno

In caso di riconciliazione dei coniugi successiva al divorzio, quali sono le conseguenze sull'assegno? A rispondere alla domanda è la Cassazione (ordinanza n. 6889/2023 sotto allegata) che, chiamata a decidere una vicenda di riconciliazione di due ex coniugi, coglie l'occasione per fare il punto sulla questione.

Nella vicenda, due ex coniugi si riconciliano instaurando una convivenza more uxorio. Il marito allora chiede la revisione dell'assegno di divorzio, ma la Corte d'appello non ne ravvisa i presupposti.

L'uomo allora adisce la Cassazione lamentando che il giudice del gravame avesse ritenuto irrilevante e non meritevole di approfondimento istruttorio, ai fini dell'automatica definitiva cessazione del diritto al contributo al mantenimento, la ripresa di una duratura e stabile convivenza more uxorio con l'ex coniuge.

Inoltre, si duole della violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 898 del 1970 e succ. mod., artt. 5 e 9 in relazione all'insussistenza dei presupposti di legge per la previsione di un assegno divorzile

a favore della ex moglie, alla risoluzione per mutuo consenso delle condizioni patrimoniali recepite nella sentenza di divorzio a seguito dell'intervenuta convivenza more uxorio, alla violazione delle norme sull'ermeneutica contrattuale sempre in ordine al nuovo accordo tra gli ex coniugi sui rapporti patrimoniali tra le parti, intervenuto dopo la sentenza di divorzio.

Per gli Ermellini, le censure attinenti alla sussistenza (ed alla ammissibilità della relativa prova) di una riconciliazione tra gli ex coniugi, tra il 2006 ed il 2014, ed ai suoi effetti sull'assegno divorzile, sono fondate.

La Corte d'appello ha rilevato che, quand'anche si potesse ritenere intervenuta tra gli ex coniugi una temporanea riconciliazione con ripristino della comunione materiale e spirituale, la stessa non avrebbe potuto determinare in alcun modo anche rinuncia "al diritto" all'assegno divorzile e non piuttosto alle sole prestazioni nel periodo di ripresa della convivenza, cosicché non era precluso alla stessa di esigere l'assegno divorzile a decorre dalla cessazione della asserita ripresa della convivenza.

La questione rilevante posta nei motivi è dunque quella degli effetti della ripresa della convivenza tra divorziati, per un periodo temporalmente definito (senza che quindi gli stessi siano addivenuti a nuove nozze), quale circostanza sopravvenuta idonea a consentire al giudice, adito in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 di rivalutare le condizioni ed i criteri previsti dalla legge (e dalla giurisprudenza di legittimità costituente il diritto vivente) per l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno divorzile.

Ed essa non è di poco conto, riflettono i giudici di legittimità, "sol che si consideri come questa Corte ha ritenuto che, se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l'assetto patrimoniale in essere, il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all'attualità, senza che possa ritenersi per converso, sufficiente ex se il solo mutamento di giurisprudenza sulla funzione dell'assegno divorzile, ove quelle circostanze di fatto non siano mutate" (Cass. 1119/2020).

Ora, prosegue la S.C., "la revisione dell'assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti". Si è ritenuto, in particolare, che, in sede di revisione, il giudice "non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata" (Cass. 787/2017; Cass. 11177/2019).

Inoltre ha chiarito la Corte, "in tema di revisione dell'assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali. Ne consegue che consentire l'accesso al rimedio della revisione attribuendo alla formula dei 'giustificati motivi' un significato che includa la sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere un interesse ad agire per conseguire la modifica dell'assegno, ricomprendendo tra essi anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è opzione esegetica non percorribile poiché non considera che la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della 'regula iuris', non già creativa della stessa" (cfr. Cass. 1119/2020).

Tuttavia, ove vengano accertati, al di là dei mutamenti giurisprudenziali citati, "degli effettivi giustificati motivi per una revisione dell'assegno risulta necessario procedere al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali, come chiarito, in motivazione, dalle Sezioni Unite in sentenza n. 20495/2022".

Per cui, la "ripresa" della convivenza, per diversi anni, come avvenuto nel caso di specie, con la "ricostituzione" di una nuova famiglia di fatto tra gli ex coniugi, con nuova comunione materiale e spirituale, "determina altresì un nuovo assetto anche negoziale, basato su nuovo accordo, sia pure per facta concludentia, estintivo del rapporto giuridico preesistente, in quanto incompatibile con il precedente assetto dei rapporti economici derivante dalla pronuncia di divorzio".

Ne deriva che la "riconciliazione" successiva al divorzio "non può non avere incidenza, quale fatto sopravvenuto, sulla richiesta di revisione dell'assegno divorzile, trattandosi in verità di una vera e propria sopravvenienza rispetto all'equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato rebus sic stantibus, oramai non più capace di regolare il nuovo e modificato assetto di interessi post-coniugali". E di conseguenza, conclude la Cassazione, le istanze istruttorie formulate dal marito, essenzialmente volte a dimostrare la effettiva "riconciliazione" (recte nuova convivenza) tra gli ex coniugi divorziati, avendo l'onere la parte che ha interesse a far accertare l'avvenuta riconciliazione dei coniugi di fornire "una prova piena e incontrovertibile " (cfr. Cass. 20323/2019), dovranno essere motivatamente valutate dal giudice di merito. Tuttavia, nessun effettivo accertamento la Corte di merito ha operato circa l'inadeguatezza dei mezzi economici, l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, il contributo dato alla vita familiare, il rilievo sulla attuale situazione della richiedente.

Da qui l'accoglimento del ricorso e il rinvio alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione per nuovo esame.

Scarica pdf Cass. n. 6889/2023

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