Tra le righe di un provvedimento apparentemente "neutro" la Cassazione promuove nuovi assetti della vita familiare che esaltano i poteri dello Stato, di notevole significato di politica sociale

Rapporto nonni-nipoti

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Una singolare vicenda vede contrapposti congiuntamente nonni e zii paterni di due bambini ai genitori di questi ultimi, fermamente decisi ad evitare la frequentazione dei propri figli. I primi, in effetti si vedevano dare ragione dal Tribunale di Milano, ai sensi dell'art. 317 bis c.c., anche se con provvedimento che prevedeva l'obbligo per la nonna paterna di sottoporsi a controlli psichiatrici. Alla Corte di Appello veniva allora chiesta dagli interessati la cancellazione di tale obbligo, alla quale si opponevano i genitori con controricorso. La Corte dava pressoché completamente ragione ai primi, confermando sugli incontri la decisione del primo grado e annullando l'obbligo. Dichiarava, infatti, che "non sussiste[va] un reale pregiudizio [per i bambini] nel passare del tempo con i nonni e lo zio paterni, apparsi in corso di CTU

sinceramente legati ai nipoti". Quanto alle problematiche di tale relazione queste venivano attribuite a difficoltà caratteriali della nonna paterna e della madre, incapaci di mettere da parte precedenti screzi e incomprensioni. E quanto al disagio mentale della nonna affermava che la frequentazione dello psichiatra non avrebbe arrecato alcun vantaggio, poiché la medesima non era consapevole delle proprie carenze. Viceversa, auspicava che i genitori desistessero da una ostilità che privava i figli di un contributo educativo e affettivo assai prezioso, mentre l'altra componente avrebbe dovuto riconoscere i propri errori e apprendere il rispetto per soggetto diversi. Obiettivi da raggiungere con il supporto di un percorso di terapia familiare allargata, al quale li invitava.

I motivi del reclamo

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In effetti, la questione dei problemi psichiatrici della nonna, se da una parte è al centro del reclamo in Appello, si presenta come secondaria nel momento in cui i genitori si rivolgono alla Suprema Corte. Questi, a prescindere da una eccezione di inammissibilità, svolgono varie considerazioni formalmente distinte, ma sostanzialmente intrecciate, nelle quali alle problematiche mentali è lasciato un ruolo marginale, solo per stupirsi che siano state trascurate, mentre la CTU aveva posto il loro superamento come "condicio sine qua non" per la frequentazione. Il focus della contestazione è posto, invece, sulla mancanza di dimostrati vantaggi, di benefici evidenti e provati, che venissero ai figli dalla frequentazione degli ascendenti. Si riteneva, dunque, insufficiente per imporre un contatto non gradito una asserita mancanza di pregiudizio sorvolando, da parte della Corte di appello, sull'accertamento di un reale bisogno affettivo in tale direzione e sul relativo interesse e gradimento.

Il precedente del 2018

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La Suprema Corte, d'altro canto, accoglie in pieno le tesi del reclamo e sotto alcuni aspetti va oltre, anzitutto in quanto si preoccupa di inquadrare la propria decisione in un contesto più ampio, enunciando generali principi di diritto. Senza contare che affema punti di vista del tutto originali sulla natura e qualità dei rapporti stessi.

Adottando tale schema, comunque, l'accoglimento del reclamo viene a fondarsi sulla constatazione che le circostanze della fattispecie rientrano nei principi affermati e vi si calano perfettamente. Questi, a loro volta sono filiati da una precedente pronuncia (Cass. 15238/2018) che vale la pena di rammentare in dettaglio, vista la totale adesione ad essi dell'ordinanza qui in esame.

Riconosciuti, dunque, in astratto i pregi di una relazione fra nipoti e nonni e il conseguente interesse a mantenerla, la Suprema Corte prende atto che si tratta di "una posizione soggettiva che … è attribuita agli ascendenti non già in via indiretta, come riflesso della tutela accordata all'interesse del minore nell'ambito della crisi dell'unione tra i genitori", ma "ha consistenza di vero e proprio diritto soggettivo, essendo tutelata in via principale, indipendentemente dalla predetta crisi ed anche nei confronti di una volontà comune dei genitori, sia pure subordinatamente ad una valutazione dell'interesse del minore". In risposta a questo argomento del ricorrente la Suprema Corte nel 2018 sviluppa i contenuti da attribuire in una fattispecie del genere alla tutela dell'interesse del minore, affermando che: "l'art. 317-bis cod. civ., nel riconoscere agli ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, non attribuisce allo stesso un carattere incondizionato, ma ne subordina l'esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno od entrambi i genitori, ad una valutazione del giudice avente di mira l'"esclusivo interesse del minore", ovverosia la realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell'ambito del quale possa trovare spazio anche un'attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote".

I principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte

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Riflessioni che l'ordinanza del 2023 (n. 2881 sotto allegata) riproduce alla lettera concludendo che, quindi, ha sbagliato la Corte d'appello nel non verificare la possibilità che i nonni effettivamente cooperassero a tale progetto, dando per scontato che la frequentazione corrispondesse all'interesse del minore, a priori, senza verificarlo. Così procedendo, la Suprema Corte conclude che non basta affermare in negativo l'assenza di un pregiudizio, dovendosi verificare se in positivo esistono dei vantaggi per il soggetto minorenne e quali siano. Ovvero la loro presenza è ammissibile solo se possono integrarsi nel suddetto progetto educativo, e dare costruttivo contributo alla crescita dei nipoti. In altri termini, "non è il minore a doversi offrire per venire incontro ai desideri degli adulti", ma sono questi a doversi adoperare per essere di giovamento al soggetto minorenne.

In aggiunta, la Cassazione sostiene che il diritto dei nonni può essere fatto valere nei confronti di soggetti terzi (quindi anche dei genitori) quando siano questi ad impedire la loro frequentazione, ma non scavalcando la volontà dei nipoti.

Proseguendo, la Cassazione sottolinea le differenze di ruolo tra le categorie dei genitori e dei nonni, con maggiore peso dei primi. Dopo di che viene dato un suggerimento abbastanza scontato, ovvero che non si tratta per il giudice di far prevalere una categoria rispetto all'altra, quanto di cercare ogni via, modo e maniera per comporre le loro divergenze e costruire una collaborazione all'interno di un comune progetto educativo. Sempre fatto riferimento al superiore interesse del minore.

Tuttavia, facendo seguito a questa indiscutibile raccomandazione, la Cassazione enuncia una nuova e sorprendente tesi. Ovvero che i rapporti fra ascendenti e discendenti possono definirsi "significativi" solo se sono "spontanei". In questo modo la Suprema Corte dà all'aggettivo "significativo" una valenza che non è più quantitativa, non riguarda più il dosaggio - come finora si è sempre fatto ponendogli accanto gli aggettivi "equilibrato e continuativo" che caratterizzano il rapporto con i genitori secondo legge - ma qualitativa. Il che introduce una spericolata rivoluzione nella consistenza stessa del diritto faticosamente conquistato e riconosciuto, a tutto danno dei suoi titolari.

Comunque, proseguendo nel ragionamento, si afferma che nessun rapporto, nessuna frequentazione, possono essere imposti contro la sua volontà a un soggetto che abbia compiuto gli anni 12 o anche di età inferiore se dotato di sufficiente discernimento. Un'affermazione che ha tutta l'aria di confermare altre precedenti prese di posizione della Suprema Corte, che tendevano ad affermare la facoltà del figlio minorenne di frequentare o meno un genitore in funzione di una propria insindacabile scelta, anche senza motivazioni che fossero conseguenza di comportamenti inadeguati del genitore rifiutato (v. Cass. 6471/2020, ex pluris). Una tesi alla quale sono state già mosse numerose obiezioni, chiedendosi i suoi contestatori se ciò dovesse valere solo nei confronti del genitore non collocatario o anche del collocatario; se potesse valere verso entrambi i genitori contemporaneamente; se dovesse valere sia per figli di genitori separati come all'interno delle famiglie unite; se questo non desse al parere del figlio minorenne una valenza decisionale che andrebbe a scavalcare quel mero diritto a una consultazione che sembrava essergli attribuito dalle convenzioni e dalle normative che lo trattano.

Dubbi di carattere applicativo

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Per dare subito un'idea più concreta di quello che potrebbe essere un modo ragionevole di utilizzare il parametro dell'interesse del minore, per evitare che attraverso considerazioni teoriche del tutto condivisibili si possa in un certo senso occultare o mascherare discutibili conclusioni operative, che pure sembrano sottintese, può essere opportuno fare qualche esempio concreto. Certamente si dovrà tenere conto, in negativo, di comportamenti violenti, o trasgressivi, o situazioni di abuso, o condotte morali riprovevoli, o patologie pericolose per i nipoti. Completamente diverso non può che essere il giudizio sulla censura che arriva alla privazione di un diritto soggettivo, della personalità, come quello della frequentazione tra ascendenti e nipoti, quando a sua giustificazione si porta una "disarmonia" tra genitori e nonni; ovvero, banalmente, litigi fra suocera e nuora. Nella fattispecie, è certamente condivisibile la raccomandazione di cercare in ogni modo di conciliare le due fazioni. Ma non si può fare a meno di notare che la Suprema Corte stessa ammette che si tratta di tentativi che possono fallire. Dopo di che, cosa accade? Quale aspetto verrà fatto prevalere? La conclusione è neppure troppo adombrata: non si può esercitare alcuna coercizione, i rapporti devono essere liberi e spontanei. Tesi, ancora una volta, accattivante; che suona bene. Solo che dà per scontato che i nipoti siano d'accordo con i propri genitori nel rifiutare i nonni. Il che, invece, è tutto da dimostrare. In qualche caso può essere vero, in altri no. Vale anche la pena di sottolineare, di passaggio, la frequentissima insistenza delle corti di giustizia - come nella fattispecie - sulla contrapposizione tra aspirazioni degli adulti e interesse di soggetti minorenni appartenenti alla stessa famiglia, quando in realtà non solo esiste una prevalente coincidenza, ma anche la pressoché costante incompatibilità del benessere di un figlio subordinato al malessere di uno dei genitori o di entrambi. In una situazione fisiologica, naturale, nessun figlio sta bene a spese di pesanti sacrifici dei genitori. Le soluzioni autentiche e stabili sono sempre globali.

Ulteriori motivi di perplessità

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D'altra parte, ripercorrendo le considerazioni comuni a cassazione 2018 e 2023, nascono ulteriori motivi di perplessità. In entrambi i casi si parte, come già osservato, sottolineando che il diritto degli ascendenti di frequentare i nipoti, di cui all'articolo 317 bis c.c., è stato rinvigorito dall'intervento del decreto legislativo 154/2013, in forza del quale non è più conseguenza di un diritto in capo ai minori, ma viene direttamente attribuito ad essi. Dopo di che si rammenta che non si tratta di un diritto assoluto e illimitato, dovendosi confrontare con l' "interesse del minore". Il che, ovviamente, non sminuisce più di tanto l'affermazione, trovando il diritto di famiglia in ogni sua norma un costante limite in tale concetto. Analogamente, vengono ripetuti i principi ai quali si appellano tipicamente i ricorrenti, ovvero che a livello europeo costantemente si richiamano gli Stati a non essere invasivi nei confronti della vita privata dei cittadini.

Tuttavia, queste sottolineature vengono poi fatte seguire dalle conclusioni opposte, privative e negazioniste. Il che lascia decisamente sconcertati. Il tutto grazie al concetto di "interesse del minore", come nel diritto di famiglia sistematicamente avviene. L'argomento meriterebbe sicuramente in un ambito sociale o politico uno sviluppo ben più ampio di quello che può essergli dato in sede giuridica. Molto brevemente, pertanto, si può qui osservare che le prescrizioni di legge sono lo strumento fondamentale di cui dispone il cittadino per avere la certezza dei propri diritti. Pertanto, nel momento in cui con l'articolo 317 bis c.c. agli ascendenti viene riconosciuto il diritto a una relazione significativa con i propri nipoti, rimettere l'esercizio di tale diritto a una valutazione opinabile di ciò che costituisce l'interesse del minore, fornita da un funzionario dello Stato, significa esattamente che lo Stato non intende rinunciare a interferire con la vita privata delle famiglie. Una interferenza gratuita, poiché sostenuta da interpretazioni del tutto soggettive, come appare chiaro riflettendo sul fatto che le due corti di merito, ugualmente tenute a realizzare l'interesse del minore, erano pervenute a conclusioni esattamente opposte, altrettanto se non maggiormente plausibili. Può, infatti, validamente sostenersi che la frequentazione degli ascendenti, ove non sia intrinsecamente per i nipoti fonte di pregiudizio, non può che giovare loro. Anche se da essi vengano forniti spunti e suggerimenti non in linea con quelli dei genitori. Esattamente come avviene nella scuola, per la quale si ritiene generalmente che la pluralità degli orientamenti degli insegnanti sia motivo di arricchimento per gli allievi. In definitiva, mentre effettivamente i supposti disturbi psichici della nonna potevano costituire plausibile motivo di esclusione dei rapporti, la disarmonia tra genitori e ascendenti - si ripete, in assenza di diretti motivi di pregiudizio - può essere vista come motivo di negazione di un diritto affermato dalla legislazione solo in conformità con la pur denegata invadenza dello Stato nella vita privata.

Altrettanto preoccupante la tesi, ugualmente opinabile, che il termine "significativi" dato ai rapporti tra ascendenti e nipoti abbia il significato di "spontanei". Una tesi che evidentemente dimentica quanto pesantemente dei soggetti minorenni siano esposti a pressioni e manipolazioni da parte dell'intorno familiare con il quale convivono e dal quale direttamente dipendono. Non a caso, la citata ordinanza 15238/2018 suggeriva nella narrativa che il rifiuto dei nipoti fosse stato motivato da accuse di violenza a carico del ricorrente: accuse dalle quali poi il medesimo era uscito completamente assolto.

In definitiva, esiste sicuramente una difficoltà nel trovare un punto di equilibrio tra il potere discrezionale del magistrato che nasce dall'interpretazione e la garanzia dei diritti data al cittadino dalla formulazione delle norme. Al momento, tuttavia, si ha l'impressione che nel diritto di famiglia si stia utilizzando un contenitore che nasce vuoto, come l'interesse del minore, come una sorta di lasciapassare che rende legittima qualsiasi decisione.

Genesi del problema e sue ragionevoli soluzioni

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D'altra parte, può essere utile anche rammentare la genesi degli interventi a favore degli ascendenti. Fu la legge 54/2006 all'articolo allora numerato come 155 novellato c.c. comma I ad inserire la tutela di quel diritto, sia pure veicolandolo l'attraverso il diritto dei nipoti al rapporto con i nonni. Dunque il legislatore prese in considerazione anzitutto situazioni di crisi familiare con rottura dei rapporti di coppia tra i genitori, inserendo quel passaggio all'interno di una normativa sull'affidamento dei figli. In concreto, ciò nasceva a seguito di un intervento dell'Associazione Nazionale Nonni, che segnalava alcune situazioni tipiche: quella in cui il genitore di un certo ramo parentale non va d'accordo con i propri genitori (ovvero i nonni), per cui non provvede ad assicurare loro il contatto con i nipoti quando li ha con sé; ovvero quello in cui è deceduto, e il genitore superstite, coniuge separato, tipicamente non ha alcun desiderio di darsi da fare affinché gli affini coltivino il rapporto con i propri nipoti. Tutte situazioni in cui evidentemente la raccomandazione di scuola, moraleggiante, di Cassazione 2881/2023, secondo la quale il giudicante dovrebbe in generale - e avrebbe dovuto nel caso specifico - sforzarsi di mettere d'accordo genitori e nonni ai fini di una loro armoniosa collaborazione, appare puramente velleitaria.

In concreto, la norma nasce per risolvere con la forza della legge situazioni in cui è dimostrato a priori che la collaborazione non esiste e non è possibile. Situazioni nelle quali non ha senso chiedersi se quel contatto fa bene o no ai nipoti e quale sia il loro atteggiamento: soggetti minorenni che fatalmente non possono che "stare agli ordini". Non resta, quindi, che valutare le motivazioni addotte per negare tale elementare diritto e accogliere le richieste di negazione dei rapporti solo in presenza del rischio di seri pregiudizi.

Più o meno quello che aveva detto la Corte d'appello di Milano; a prescindere dalle questioni riguardanti la salute della nonna, che avrebbero potuto costituire ragion sufficiente ove dimostrate gravi, ma che la Cassazione evita di mettere al centro della propria decisione.

Scarica pdf Cass. n. 2881/2023

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