La responsabilità del medico di pronto soccorso per l'omicidio del paziente è riconducibile all'omessa ricoagulazione del paziente anziano e in TAO e al ritardo della TAC per monitorare l'emorragia

Responsabilità del medico del pronto soccorso

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Responsabile per il reato di omicidio colposo il medico del Pronto Soccorso che, trascurando le problematiche della coagulazione del sangue del paziente, non lo ricoagula e non esegue in tempi più rapidi la Tac per monitorare la situazione. La Cassazione in questo modo, con la sentenza n. 32870/2022 (sotto allegata), conferma la decisione della Corte di Appello, che ha ribaltato la decisione di assoluzione di primo grado. Vediamo per quali ragioni.

La vicenda processuale

Un medico di Pronto Soccorso, imputato per il reato di omicidio colposo di un paziente, viene assolto in primo grado, insieme a un collega, "perché il fatto non sussiste".

Per quanto riguarda in particolare il medico in servizio presso il Pronto Soccorso viene imputato del reato ascritto a causa di una condotta improntata a grave imperizia e imprudenza in quanto "di fronte a un paziente in età avanzata, in TAO, giunto in osservazione in pronto soccorso in quanto vittima di un recente trauma cranico causato dalla precipitazione da una scala, mancando di valorizzare questi dati, predisponeva in tempi rapidi una valutazione tomodensitometrica cerebrale (il primo esame TAC veniva effettuato circa tre ore dopo rispetto all'ingresso del paziente in pronto soccorso) e, successivamente, non procedeva con una terapia di ricoagulazione dello stesso, operazioni che avrebbero potuto evitare con alta probabilità l'evento emorragico secondario causa della morte."

La decisione di assoluzione del Tribunale si fonda sulla impossibilità di stabilire con certezza il nesso di causa tra la condotta del medico e la morte del paziente, stante l'assenza, nella letteratura medica di evidenze solide sull'efficacia delle terapie illustrate e non poste in essere dal medico imputato.

Detta decisione però viene ribaltata in sede di Appello. La Corte infatti, condividendo le conclusioni dei consulenti della parte civile, afferma che la somministrazione immediata della corretta terapia farmacologica e una rapida TAC per monitorare l'emorragia, avrebbero potuto impedire la morte del paziente.

Trauma con esito potenzialmente fatale

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L'imputato, nel ricorrere in Cassazione, contesta l'addebito della responsabilità perché a suo dire la Corte di Appello avrebbe travisato le prove, omesso di considerare le condizioni di base del paziente (un ultrasettantenne affetto da problematiche della coagulazione) e valutato in maniera errata la gravità delle lesioni riportate in seguito alla caduta.

Con il secondo contesta invece la mancata concessione delle attenuanti generiche. La Corte ha trascurato nel giudizio l'attenzione e lo scrupolo dell'attività svolta dal medico, la correttezza dell'inquadramento e degli esami prescritti, il fatto che, trattatosi di un medico di Pronto Soccorso lo stesso doveva dedicarsi anche ad altri pazienti e il riconoscimento, da parte della stessa Procura, della potenzialità letale del trauma riportato dal paziente.

Responsabile il medico per condotta omissiva

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La Cassazione respinge il ricorso dell'imputato perché infondato. Dopo una articolata motivazione in cui viene analizzata la posizione di garanzia del medico, lo svolgimento del giudizio contro fattuale e la responsabilità omissiva, in relazione al primo motivo del ricorso con il quale il medico contesta l'addebito della responsabilità, gli Ermellini affermano infatti che la Corte d'Appello, nel rispetto dei consolidati orientamenti giurisprudenziali sopra riportati:

  • ha dato correttamente rilievo ai dati anamnestici e clinici del paziente riscontrati dai consulenti di parte civile nella cartella clinica e negli esami strumentali "dimostrando come dai piccoli focolai causati dal trauma, presenti nella prima Tac alle ore 11,28, si era sviluppata un'emorragia inarrestabile nelle cinque ore, nelle quali non risultava impostata nessuna terapia";
  • ha messo in evidenza la divergenza tra le percentuali esposte dagli altri esperti sulla probabilità di sopravvivenza, precisando nella sentenza che "il dato statistico percentuale di sopravvivenza era stato illustrato in termini assolutamente generici e comunque non unanimemente accettati dalla comunità scientifica";
  • ha censurato a ragione la sentenza di primo grado che ha trascurato la giurisprudenza sul sapere scientifico;
  • ha svolto correttamente il giudizio contro fattuale "dando atto che la condotta doverosa aveva inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell'intensità della sintomatologia dolorosa e che la somministrazione del farmaco coagulante (cura omessa) avrebbe ridotto in misura significativa la possibilità dell'espandersi dell'emorragia (decesso del paziente dovuto a emorragia cerebrale). In particolare, la Corte territoriale ha esaurientemente spiegato che l'esecuzione della TAC avrebbe consentito di rilevare il sanguinamento e di adottare immediatamente le cure necessarie per arrestare l'emorragia.

Manifestamente infondato anche il secondo motivo stante la discrezionalità decisionale del giudice, e l'obiettiva gravità della condotta, stante il mancato rispetto delle linee guida, il ritardo della prestazione e l'omesso approccio terapeutico.

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