Per il GIP del tribunale di Milano, agli enti esteri va riconosciuto il diritto alla traduzione degli atti nella lingua conosciuta dal legale rappresentante

La questione giuridica

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La Procura di Milano, mediante atto ex art. 59 D. Lgs. 231/2001, contestava ad una società estera (sede legale in Olanda e sede secondaria a Milano), l'illecito amministrativo derivante dal delitto di corruzione.

In sede di udienza preliminare, la difesa della società rilevava la nullità del predetto atto, dolendosi della mancata traduzione del medesimo nella lingua madre del legale rappresentante.

La Procura chiedeva il rigetto dell'eccezione, osservando come l'ente conoscesse la lingua italiana, contrariamente non spiegandosi la partecipazione di esso alla gara pubblica, la redazione del modello di organizzazione e gestione in Italiano e la piena attività nel mercato nazionale.

Le garanzie difensive ex artt. 34 e 35 D. Lgs. 231/2001

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Il decreto legislativo n. 231/2001, disciplinante la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, agli artt. 34 e 35 stabilisce che debbano essere riconosciute alle società le garanzie fondamentali spettanti all'imputato, in ossequio al sacramentale principio costituzionale del giusto processo.

Tra esse, spicca il diritto dell'indagato/imputato di essere messo nelle condizioni di apprendere compiutamente le accuse mossegli, vedendosi tradotti gli atti principali nella propria lingua madre.

In altri termini, la ricezione degli atti da parte dell'ente deve essere in forma tale da consentirgli "l'utile esercizio delle facoltà e dei diritti [...] spettanti nell'ambito del procedimento promosso nei suoi confronti".

Nullità illecito amministrativo per difetto di traduzione

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Fatte le doverose premesse in tema di garanzie processuali, il GIP (G.I.P. Trib. Milano, dott. Fanales, ordinanza, 20-5-22) rileva che, "esclusa ontologicamente la possibilità di attribuire all'ente collettivo una "lingua madre" o "lingua parlata", come d'altronde già affermato dalla giurisprudenza di legittimità", è inevitabile fare riferimento alla lingua conosciuta dal legale rappresentante o comunque dal preposto alla rappresentanza italiana. Ciò lo si deduce anche dal combinato disposto degli artt. 43 D.Lgs. n. 231/2001, 154 c. 3 c.p.p. e 145 c.p.c., sulla messa a conoscenza dell'atto a favore del legale rappresentante che, agendo in nome e per conto della società, deve poter procedere ad una disamina consapevole del contenuto.

Attesa la predetta precisazione, il Giudice non avalla la tesi dell'accusa, chiamata a dimostrare la conoscenza della lingua italiana non da parte dell'ente collettivo, ma da parte del legale rappresentante, che, in quanto straniero, può ben giovarsi di soggetti terzi (collaboratori esterni e interni) al fine di garantire l'operatività della società in Italia.

Il Tribunale accoglie così la tesi difensiva, ritenendo "affetto da nullità l'atto di contestazione dell'illecito amministrativo ex art. 59 D.Lgs. 231/2001 [...] per difetto della traduzione nella lingua madre del legale rappresentante, soggetto preposto alla sede secondaria italiana".


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