- Avvocato oltraggia magistrato in udienza
- Condotta scriminata art. 598 c.p.
- Non c'è scriminante se l'attacco è personale
Avvocato oltraggia magistrato in udienza
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Va condannato per il reato di oltraggio a un magistrato in udienza l'avvocato che pronuncia frasi offensive che si traducono in un attacco personale. La scriminante non può essere invocata nel caso di specie perché le dichiarazioni offensive pronunciate dall'imputato sono del tutto scollegate dall'oggetto del giudizio. Precisazioni che la Cassazione ha indicato nella sentenza n. 22376/2022 (sotto allegata).
La vicenda processuale
Un avvocato viene ritenuto responsabile, sia in primo grado che in appello del reato di oltraggio a un magistrato in udienza, perché, come prevede l'art. 343 c.p ha offeso l'onore e il prestigio dell'autorità giudicante durante un'udienza tenutasi nell'ottobre del 2015.
L'avvocato avrebbe infatti utilizzato nei confronti del magistrato termini assai offensivi, accusandolo di condotte vessatorie, ignoranza delle regole del processo e professionalità carente.
La difesa dell'imputato, in sede di merito, invoca l'applicazione dell'esimente di cui all'art. 598 c.p, che esclude la punibilità delle offese contenute anche nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori davanti all'autorità giudiziaria quando "le offese concernono l'oggetto della causa".
Per il difensore infatti l'imputato non sarebbe punibile perché le frasi pronunciati hanno a che fare con il giudizio. Con le stesse l'imputato ha solo evidenziato la scarsa conoscenza da parte del magistrato, degli atti di causa, del capo di imputazione e delle condotte tenute dal giudicante, del tutto contrarie al codice e alla logica. Tesi che però viene respinta dalla corte di appello perché l'esimente opera solo se le frasi riguardano strettamente l'oggetto del processo.
Le espressioni utilizzate dall'Avvocato invece sono andate ben oltre il diritto di critica, non solo nel contenuto, ma anche nelle modalità con le quali sono state pronunciate. Il tono sprezzante e denigratorio, finalizzato a mortificare e infamare il magistrato, si sono tradotte in vere e proprie aggressioni lesive dell'onore, della professionalità e del decoro della persona offesa.
Condotta scriminata art. 598 c.p.
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L'imputato nel ricorrere in Cassazione lamenta:
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la violazione di legge sia in relazione al reato contestato che alla mancata applicazione della non punibilità di cui all'art. 598;
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la violazione delle norme, sancite anche a livello europeo, a tutela delle libertà di espressione verso organi giudicanti al fine di garantire il diritto di difesa.
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L'avvocato fa presente inoltre che la condotta del magistrato e le decisioni assunte nei suoi confronti sono talmente abnormi che lo stesso aveva presentato un formale atto di ricusazione, senza dimenticare che il giudice stesso aveva chiesto di potersi astenere dal giudizio.
Non c'è scriminante se l'attacco è personale
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La Cassazione tuttavia ritiene il ricorso inammissibile perché la tesi della difesa è del tutto infondata per diverse ragioni.
La scriminante di cui all'art. 598 c.p. può essere infatti invocata solo se le frasi ingiuriose riguardano "in modo diretto ed immediato l'oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della testi prospettata o per l'accoglimento della domanda proposta, quand'anche non necessarie o decisive."
Le espressioni ingiuriose quindi non devono essere gratuite, ma avere un collegamento con la difesa. Non si può in sostanza, come più volte affermato dalla Cassazione stessa, abusare del diritto della difesa, essa infatti non può sfociare in condotte che risultano manifestamente contrarie alla sua finalità tipica.
Gli Ermellini rilevano inoltre che l'imputato non ha provato di avere presentato una formale atto di ricusazione, come richiesto, per cui le dichiarazione resa in udienza in tal senso finisce per perdere valore e rappresentare "il volano di gratuite ed impunite offese prive di un aggancio a reali e effettive esigenze difensive."
In ogni caso le offese che l'imputato ha rivolto al giudicante non giustificano la proposizione di un atto di ricusazione, stante anche l'assenza di concretezza e serietà delle dichiarazioni e delle denunce alla base dello stesso.
Deve quindi concludersi che le dichiarazioni e le denunce dell'imputate, del tutto scollegate all'oggetto del processo, risultano essere il mero pretesto per rivolgere al giudice un attacco personale.
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Scarica pdf Cassazione n. 22376-2022• Foto: 123rf.com