L'art. 343 c.p. sanziona chi arrechi offesa all'onore o al decoro di un magistrato nel corso di un'udienza o adoperi nei suoi confronti violenza o minaccia

Il testo dell'art. 343 c.p.

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L'art. 343 del codice penale dispone:

"Chiunque offende l'onore o il prestigio di un magistrato in udienza è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La pena è della reclusione da due a cinque anni, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate se il fatto è commesso con violenza o minaccia".

La ratio dell'art. 343 c.p. e il bene giuridico tutelato

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L'art. 343 c.p. è un reato comune, quindi non qualificato (o proprio) dacchè può essere commesso da chiunque. Bene giuridico meritevole di tutela è non soltanto il buon andamento della pubblica amministrazione, ma anche l'onore ed il decoro di coloro i quali sono chiamati ad amministrare la Giustizia. Si tratta di un reato di evento procedibile ex officio e di natura plurioffensiva, risultando leso sia il decoro e l'onore dello Stato che quello del magistrato esercente le sue funzioni.

La condotta sanzionata dall'art. 343 c.p.

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L'art. 343 c.p. sanziona qualunque condotta di tipo oltraggioso, per tale intendendosi ogni comportamento atto a ledere l'onore o il decoro di un magistrato nel corso di un'udienza.

Per udienza deve intendersi qualunque evento nel corso del quale il magistrato sia chiamato ad amministrare la Giustizia, esercitando il suo compito di applicare la Legge nella piena indipendenza. Ovviamente vanno tenute distinte le espressioni ingiuriose (rilevanti ai sensi del comma 1) da quelle volte ad attribuire al magistrato un fatto determinato, dacchè in tale ultima ipotesi, essendo maggiormente pervasiva l'offensività della condotta, la pena è aumentata. Rappresenta altresì una circostanza aggravante l'impiego della minaccia (prospettazione di un male ingiusto per sé o per i prossimi congiunti) rivolta ad un magistrato, nonché l'aver adoperato violenza. Il concetto di violenza rilevante, secondo la dottrina maggioritaria, è quello della c.d. violenza propria, ovvero fisica. La mera coartazione morale (o violenza impropria) sembrerebbe esclusa dall'ambito di applicabilità della fattispecie in esame, poiché si ritiene che non possa essere coartata la volontà di un organo di Giustizia.

La pena

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La pena prevista per il delitto di cui all'art. 343 c.p. è della reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è invece della reclusione da due a cinque anni, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso con violenza o minaccia, quindi ai sensi dell'art. 64 c.p. quando ricorre una circostanza aggravante, e l'aumento di pena non è determinato dalla legge, essa è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso.

Elemento soggettivo

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Elemento soggettivo indefettibile ai fini della configurabilità del delitto in esame è il dolo generico, ovvero la premeditazione coscienziosa di commettere il fatto.

Daniele PaolantiDaniele Paolanti - profilo e articoli
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Vincitore del concorso di ammissione al Dottorato di Ricerca svolge attività di assistenza alla didattica.

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