Separazione e divorzio: quali sono i tempi di frequentazione del genitore non collocatario

Affidamento condiviso e collocamento figli

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Nell'affidamento condiviso, il collocamento fisico dei minori viene per prassi disposto presso uno dei genitori, quindi tale modalità di affidamento non implica tempi paritari di permanenza presso ciascun genitore, fermo restando che ogni scelta per l'educazione e la crescita dei figli deve essere oggetto di accordo tra i genitori stessi. Infatti, il minore ha il diritto di avere il proprio principale punto di riferimento abitativo.

Per residenza abituale deve intendersi il luogo dove il minore riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della vita di relazione. In altri termini la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare.

Anche l'assegnazione della casa familiare risponde a questa ratio ovvero di garantire la conservazione dell'habitat domestico.

L'affidamento condiviso non implica aritmetica necessità di determinazione di identiche modalità di gestione del minore da parte di entrambi i genitori ben potendo di fatto prevedersi il collocamento del figlio, in via prevalente, presso uno dei genitori; ma esprime la più evidente rappresentazione della correttezza di un principio che già sotto il profilo nominale vede posti sullo stesso piano i due genitori, pur potendo sotto l'aspetto pratico la gestione della vita quotidiana avvenire con diverse cadenze temporali per il padre e per la madre.

Tempi di permanenza

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Nella prassi l'affidamento condiviso del figlio minore a entrambi i genitori implica che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di frequentazione per l'altro genitore.

La determinazione dei tempi di permanenza dei figli è un tema centrale della crisi familiare ed implica l'assunzione di importanti responsabilità da parte dei genitori.

La Suprema Corte di Cassazione ha più volte evidenziato come il principio di bigenitorialità si traduca nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio, ma che questo non comporti l'applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore con l'uno con l'altro genitore.

I tempi di permanenza devono essere armonizzati in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio, posto che "la bigenitorialità non comporta l'applicazione di una proporzione matematica paritaria dei tempi di frequentazione del minore, ma richiama il diritto di ciascun genitore - e del figlio - ad essere presente in maniera significativa nella sua vita.

Rilevano il modo in cui i genitori hanno in precedenza svolto i propri compiti, le capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un costante rapporto, le abitudini di vita di ciascun genitore e l'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore".

La giurisprudenza sui tempi di permanenza

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Sui tempi di frequentazione la giurisprudenza si è espressa nel senso di prevedere un minimo di tempo da trascorrere con i figli che deve essere garantito al genitore non collocatario, per permettergli di esercitare quello che viene riconosciuto come il suo diritto-dovere ad avere un rapporto continuativo con la prole.

I parametri in base ai quali possono essere determinati i tempi di permanenza sono principalmente:

- l'età dei figli

- gli impegni scolastici ed extrascolastici

- la permanenza di genitori e figli nella stessa città o in diverse città o paesi

- i desideri dei figli

- la distanza tra le abitazioni dei genitori

- il tipo di lavoro del genitore e gli impegni lavorativi di questo

In caso di affidamento condiviso relativo a minori di età superiore agli anni tre (salvo casi peculiari e diverse prassi da parte di alcuni tribunali) i tempi di frequentazione del genitore non collocatario disposti dai tribunali sono:

- fine settimana alternati, dal venerdì all'uscita della scuola al lunedì al rientro;

- due pomeriggi entrambi con pernotto quando il fine settimana viene trascorso con il genitore collocatario;

- due pomeriggi di cui uno con pernotto quando il fine settimana non viene trascorso con il genitore collocatario.

Tale turnazione e' indicativa ma rappresenta un valido punto di riferimento nella determinazione dei tempi di permanenza della prole presso ciascun genitore.

Con il rispetto di tale turnazione si tende a garantire al minore e al genitore collacatario una frequentazione assidua che consenta una media di 12 pernottamenti mensili presso il genitore non collocatario.

Si ritiene che tale media sia assolutamente ragionevole ed in sintonia con l'intenzione del legislatore di attuare, per quanto possibile, il principio della bi-genitorialità.

E' evidente che tale suddivisione non possa essere normativamente codificata posto che, esistono molteplici variabili da considerare (distanza tra le abitazioni dei genitori, età dei figli, particolari condizioni di salute dei figli, volontà dei figli, ecc). Ad ogni modo, chi scrive ritiene che al fine di poter garantire al minore un rapporto significativo anche con il genitore non collocatario sia necessaria una frequentazione (con pernottamento) di un minimo di 10 giorni mensili.

La suddetta valutazione peraltro e' valida solo in caso di affidamento condiviso. Una eventuale pronunzia di affidamento esclusivo può incidere anche sui tempi e sulle modalità di frequentazione.

Inoltre, le parti in attuazione del principio di autonomia negoziale esistente nel diritto di famiglia potranno di comune accordo concordare le modalità di visita e frequentazione dei figli da parte del genitore non collocatario. Va però chiarito che trattandosi comunque di diritti che incidono sulla sfera personale di persone minori di età vi dovrà comunque essere un controllo da parte dell'autorità giudiziaria al fine di escludere che, nel caso specifico, quella determinata forma di frequentazione possa essere nociva e contraria agli interessi del minore.

Tale controllo da parte del tribunale (che nelle separazioni consensuali si traduce nella cosiddetta omologa) è il giusto compromesso tra l'autonomia negoziale dei genitori e la necessità che un soggetto esterno possa valutare anche da un punto di vista tecnico la rispondenza degli accordi all'interesse del minore che rimane pur sempre il soggetto principale del Processo di famiglia.

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