Per la Cassazione, può scattare l'accertamento fiscale per il giovane professionista se i costi superano i ricavi, non rileva la conformità agli studi di settore

Scatta l'accertamento fiscale per il giovane professionista

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Il giovane professionista che rispetto ai colleghi della stessa zona emette parcelle troppo basse può essere sottoposto ad accertamento fiscale da parte dell'Agenzia. Non rileva che lo studio sia ancora in fase di avviamento. I costi risultano decisamente troppo alti rispetto alla media di quelli dei colleghi della zona, non importa che i ricavi siano conformi agli studi di settore. Questo quanto chiarito dalla Cassazione con l'ordinanza n. 17596/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Un giovane odontoiatra, con studio ancora in fase di avviamento, viene sottoposto a un controllo fiscale che si conclude con la notifica di un atto di accertamento ai fini Irpef, Irap, addizionali regionali e comunali, interessi e sanzioni relativamente all'anno d'imposta 2005.

L'ufficio ricalcola il reddito del contribuente ricorrendo al metodo induttivo di cui all'art. 39 comma 1 lett. d) dle Drp n. 600/1973. Per il fisco i costi, pari a 36.671,00 sono troppo alti rispetto a una remuneratività di 11.209,00 euro. Dati che il Fisco ricava raffrontando la situazione del giovane professionista con quella di altri 331 colleghi della stessa area geografica, dai quali si ricava che i costi hanno un'incidenza media sui compensi compresa tra il 16 e il 53% e non del 76,59% come per il giovane odontoiatra.

Il contribuente ricorre contro il provvedimento e il Giudice accoglie le sue istanze. L'amministrazione tributaria però ricorre alla C.T.R, che riforma la sentenza in favore dell'appellante, richiamando la pronuncia della Cassazione n. 417/2008, la quale ha sancito che: "anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, è ammesso l'accertamento analitico-induttivo che consente la rideterminazione del reddito del contribuente, ove esso sia contrario a criteri di ragionevolezza ed economicità, e con onere a carico di quest'ultimo di fornire la prova contraria."

Omessa valutazione della congruità agli studi di settore

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Il contribuente nel ricorrere in Cassazione per contestare le conclusioni della C.T.R solleva ben sette motivi, tra i quali rilevano in particolare i seguenti.

  • Con il primo denuncia la mancanza dei presupposti in grado di legittimare l'accertamento svolto, visto che nel caso di specie non sussistono presunzioni gravi, precise e concordanti tali da indurre validamente a ritenere esistenti ricavi non dichiarati o inesistenti passività dichiarate "tali non potendo essere i costi medi dichiarati dagli altri professionisti di categoria e facenti parte del medesimo comprensorio."
  • Con il quinto invece contesta l'omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito, con particolare riferimento agli studi di settore, visto che lo stesso era risultato congruo rispetto a questi parametri.

Non rileva la congruità dei ricavi agli studi di settore

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La Cassazione rigetta il ricorso e in relazione ai motivi che interessa analizzare in questa sede così dispone.

Il primo motivo per la Suprema Corte non può essere accolto, in quanto si è già avuto modo di chiarire al riguardo che: "l'Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633/1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente. A tal fine può utilizzare le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni."

Nel respingere questo motivo la Corte rileva inoltre che il ricorrente "non contesta la correttezza delle percentuali di scostamento accertate dall'Ufficio né i valori dei costi e dei redditi accertati, sì da rimanere di fatto incontestata la condotta antieconomica del contribuente."

Infondato poi anche il quinto motivo. La Cassazione ribadisce che gli studi di settore sono solo uno degli strumenti a cui l'amministrazione finanziaria può ricorrere per accertare induttivamente il reddito reale del contribuente in presenza di una contabilità formalmente corretta, ma inattendibile.

Un altro tipo di accertamento induttivo infatti è quello che può essere compiuto basandosi su gravi incongruenze rilevate tra compensi, corrispettivi e ricavi dichiarati rispetto a quelli che si desumono dalle caratteristiche e dalle modalità di svolgimento dell'attività, senza che rilevino i risultati degli studi di settore e la conformità dei ricavi agli stessi. Contestazione che non può essere accolta, in ogni caso, non solo perché del tutto infondata, ma anche perché la congruità addotta dal ricorrente non è supportata da prova alcuna.

Come se non bastasse gli Ermellini ricordano che la C.T.R, in sentenza, ha esaustivamente evidenziato che: "la giovane età del professionista e la nuova apertura dello studio odontoiatrico non possono infatti da sole giustificare onorari inferiori a quelli di un infermiere, soprattutto se si considera che il dott. (...) già all'epoca poteva vantare l'esperienza e il prestigio di importanti collaborazioni a livello universitario" e che "pure l'asserita attività odontoiatrica part-time appare davvero poco credibile, essendo notoria la conciliabilità della docenza universitaria con la libera professione."

Scarica pdf Cassazione n. 17596/2021

Foto: 123rf.com
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