La proposizione di domande diverse relative allo stesso rapporto giuridico viola i doveri di correttezza e buona fede ed è condotta processualmente abusiva

Vietato parcellizzare una domanda unitaria

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Già da tempo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere vietata la condotta dell'attore che avvii più azioni per far valere un diritto che, in realtà, ha una fonte unitaria.

Particolarmente significativa, in proposito, è una sentenza di qualche anno fa, che ha chiaramente affermato che "Ove la parcellizzazione dell'unitaria azione configuri una condotta processualmente abusiva, è evidente che l'azione avviata per seconda non può essere proposta (e se proposta va dichiarata improcedibile), non già per effetto di un inesistente giudicato, bensì perché essa non è data dall'ordinamento" (Cass. Civ., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17019, in Diritto e giustizia 2018).

Si tratta, a ben vedere, di un argomento di fondamentale importanza e strettamente connesso al corretto funzionamento della macchina processuale, se solo si considera che la proposizione di diverse domande giudiziali aventi la stessa fonte e che dovrebbero essere proposte congiuntamente costituisce una violazione dei doveri di correttezza e buona fede che dovrebbero regolare ogni processo e, conseguentemente, una condotta processualmente abusiva.

Il frazionamento viola la buona fede e il giusto processo

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La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza

del 2018, ha in realtà dato continuità all'orientamento giurisprudenziale "inaugurato" con la sentenza n. 23726 del 15 novembre 2007 delle Sezioni Unite e che, con riferimento al frazionamento di una pretesa creditoria, aveva sancito che "non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale".

Il rapporto di identità o differenza tra domande

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Il tema del frazionamento delle domande giudiziali, insomma, deve essere risolto alla luce "del rapporto di identità o di differenza, fra le domande proposte nei due giudizi: se, tenuto conto non solo del dedotto, ma anche del deducibile, si tratta delle stesse domande, la proposizione della seconda deve considerarsi inammissibile perché espressione di un abuso processuale" (Corte App. Perugia, Sez. lav. 5 novembre 2013, n. 210).

Rischio di giudicati contraddittori

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Seppur riferito ad una fattispecie diversa da quella del caso di specie, l'orientamento giurisprudenziale configuratosi con la sentenza del 2007 e successivamente confermato, tra le altre, con la suddetta sentenza n. 17019/18, si fonda sulla convinzione che il problema del frazionamento della domanda giudiziale e il conseguente abuso debba essere risolto alla luce della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza.

Infatti, oltre a determinare un evidente abuso dello strumento processuale, "la pluralità di iniziative giudiziarie collegate allo stesso rapporto potrebbe in effetti anche dar luogo alla formazione di giudicati (praticamente) contraddittori. Secondo le Sezioni Unite, conclusivamente, l'effetto inflattivo riconducibile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazione di giudizi evoca poi ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto all'obiettivo, costituzionalizzato nello stesso art. 113, della ragionevole durata del processo, per l'evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata" (nota a Cass. Civ., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726).

Frazionamento abusivo e condanna alle spese

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A conferma di tale impostazione, atta ad impedire il frazionamento di una domanda giudiziale, è inoltre da citare anche la giurisprudenza relativa alla sorte delle spese processuali: infatti, "all'abuso del processo per illecito frazionamento della domanda deve conseguire la condanna alle spese, indipendentemente dall'esito del giudizio, in quanto l'improponibilità, se pronunciata avverso la prima domanda parcellizzata, causa l'estinzione del diritto sostanziale sotteso e inibisce definitivamente il diritto di azione" (Trib di Arezzo, 18 settembre 2019, Foro it. 2020, 7-8, I, 2526).


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