Facebook non può chiudere profilo o pagina di un utente senza ragioni valide. L'utente può avere diritto alla riattivazione o al risarcimento del danno

Facebook può chiudere una pagina o un profilo di un utente?

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Può Facebook decidere di disattivare la pagina o il profilo privato di un utente? Cosa può fare il titolare del profilo o della pagina in questi casi? A queste domande sta rispondendo da qualche anno la giurisprudenza. Nelle due vicende che presto andremo ad analizzare i giudici di merito sono giunti pressoché alla stessa conclusione.

Vero infatti che Facebook quando un utente si iscrive al social prevede l'accettazione di determinate condizioni d'uso, vero anche però che nel momento in cui decide di chiudere il profilo o la pagina, per correttezza e buona fede dovrebbe quantomeno comunicare all'utente le ragioni della sua decisione, prima di chiudergli arbitrariamente il profilo.

Fatta questa premessa, vediamo come due dei nostri tribunali hanno risolto il problema.

Chiusura profilo Facebook: danno alla vita di relazione

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Facebook chiude arbitrariamente il profilo di un utente? Allora, la società che gestisce il social deve risarcirlo perché così facendo gli ha creato un danno alla vita di relazione e alla sua libertà di espressione.

Queste in sintesi le conclusioni del Tribunale di Bologna contenute nell'ordinanza del 10 marzo 2021. Come ha precisato il Tribunale infatti Facebook non può essere considerato solo un social in cui gli utenti si svagano e si divertono. Si tratta di un luogo in cui chi si iscrive intrattiene relazione e ne crea di nuove, oltre a manifestare le proprie idee.

Per questo, nel momento in cui la Facebook Ireland limited chiude un profilo, deve risarcire l'utente, soprattutto se, come in questo caso, si tratta di un professionista titolare di una pagina recante come account il proprio nome e cognome, a cui aveva collegato due pagine di collezionismo e storia militare.

La costruzione delle relazioni richiede tempo: il danno è irreparabile

Nel riconoscere il risarcimento il Tribunale ha evidenziato che il lavoro di costruzione delle relazioni effettuato dal professionista sul social durava da molto tempo. La chiusura del profilo da parte di Facebook, con conseguente esclusione dell'utente dal social, ha quindi causato allo stesso un danno grave non solo alla sua vita di relazione e sua libertà di manifestare liberamente il suo pensiero, ma anche alla sua identità personale, che oggi viene costruita e rinforzata anche grazie al supporto dei social network.

Un danno che è stato quantificato in 10.000 euro per la chiusura del profilo e in 2000 euro per ognuna delle due pagine cancellate. Del resto si tratta di un danno che non si può rimediare creando nuove pagine. La rete di relazioni "viene costruita dagli utenti con un'attività di lungo periodo e non semplice."

Scorretta e inutile la distruzione della documentazione contrattuale

Nella sentenza il Tribunale stigmatizza in particolare la condotta scorretta della Facebook Ireland Limited. Dall'oggi al domani la stessa ha infatti chiuso il profilo senza comunicare al suo iscritto le ragioni della decisione. Non solo, la stessa ha distrutto tutta la documentazione contrattuale attribuendone la responsabilità all'utente, perché lo stesso avrebbe temporeggiato 7 mesi prima di avviare il procedimento.Distruzione che il Tribunale Bolognese ha ritenuto scorretta e contraria a buona fede perché in questo modo non è stato possibile verificare l'andamento del rapporto contrattuale.

Una cancellazione inoltre che, nel caso di specie, non era dettata da esigenze oggettive. Del resto si trattava di dati immateriali, che potevano essere conservati almeno per qualche tempo.

Va riattivata immediatamente la pagina oscurata di Casapound

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La chiusura del profilo Facebook purtroppo non è un caso isolato. Il Tribunale di Roma con l'ordinanza n. 59264 del 12 dicembre 2019 è stato adito da Casa Pound, a cui Facebook aveva oscurato la pagina dell'Associazione con contestuale chiusura del profilo dell'amministratore della pagina. Più volte l'Associazione aveva chiesto a Facebook di riattivare tutto, ma senza ottenere alcun riscontro alle sue richieste. Da qui il ricorso in giudizio.

Prima di arrivare alla soluzione finale il Tribunale ricorda che Facebook prevede delle condizioni d'uso del social che l'utente è chiamato ad accettare per poterlo utilizzare. Una delle conseguenze previste in caso di violazione delle suddette condizioni è la disabilitazione dell'account, che può essere temporanea o definitiva.

Facebook motiva la chiusura del profilo perché l'Associazione nelle sue pagine, contravvenendo alle regole del social, avrebbe incitato all'odio e alla violenza "attraverso la promozione, nella pagina di Casapound, degli scopi e delle finalità dell'associazione stessa."

Le colpe degli associati non possono ricadere sull'associazione

Il Tribunale però è in disaccordo con la tesi prospettata dal social. L'Associazione in effetti non ha violato alcuna regola nel promuovere la propria attività e i propri scopi. Del resto essa opera da diversi anni nel panorama politico italiano.

In particolare non si può sostenere che l'Associazione sia responsabile civilmente di eventi rilevanti anche sotto il profilo penale, se commessi dai suoi aderenti. Essa non può farsi carico del modo in cui i suoi membri si esprimono, per cui non le può essere preclusa la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero da una piattaforma così rilevante come Facebook.

L'esclusione dell'Associazione da Facebook viola il diritto al pluralismo ideologico e comprime la sua facoltà di diffondere i suoi messaggi politici. Facebook per questo è stata condannata a procedere alla riattivazione immediata della pagina dell'Associazione e del profilo del suo Amministratore e le è stato inflitto il pagamento di una penale di 800 euro per ogni giorno di ritardo.

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Foto: 123rf.com
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