Per gli Ermellini il diritto al rifiuto è correlato ai principi di autodeterminazione in materia di trattamento sanitario e libertà religiosa. Medici comunque garantiti innanzi a tali determinazioni

Testimoni di Geova: diritto a rifiutare la trasfusione

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Il paziente Testimone di Geova, che fa valere il diritto di autodeterminazione in materia di trattamento sanitario, a tutela della libertà di professare la propria fede religiosa, ha il diritto di rifiutare l'emotrasfusione pur avendo prestato il consenso al diverso trattamento che abbia successivamente richiesto la trasfusione, anche con dichiarazione formulata prima del trattamento medesimo, purché dalla stessa emerga in modo inequivoco la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita.


È questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 29469/2020 (sotto allegata) pronunciata a seguito dell'istanza di una donna, Testimone di Geova, che aveva agito in giudizio per chiedere il risarcimento danni e la restituzione di quanto corrisposto per l'opera professionale dei medici. In particolare, la domanda sorge in quanto, in occasione del parto effettuato con taglio cesareo, a seguito di un'emorragia erano state eseguite trasfusioni di sangue, nonostante la contrarietà manifestata dalla donna.


Ed è proprio sulla mancata considerazione del dissenso manifestato dalla paziente che sono stati chiamati a pronunciarsi gli Ermellini, posto che i giudici di merito avevano ritenuto che non vi fosse stato un espresso, inequivoco e attuale dissenso all'emotrasfusione. In particolare, si riteneva che avendo la paziente accettato l'intervento di laparotomia esplorativa, ciò implicava l'accettazione di tutte le sue fasi, ivi compresa la necessità di trasfusioni in caso di pericolo di vita. Pertanto, per la Corte territoriale sarebbe stato irrilevante accertare l'eventuale effettivo dissenso rispetto alla trasfusione una volta che la paziente non avesse ritenuto di rifiutare l'intervento chirurgico connesso alle trasfusioni.

Il diritto a rifiutare le cure mediche e principi costituzionali

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Gli Ermellini rammentano, in prima battuta, come il paziente abbia sempre diritto di rifiutare le cure mediche che gli vengono somministrate, anche qualora tale rifiuto possa causarne la morte; per essere valido ed esonerare il medico dal potere-dovere di intervenire, tale dissenso deve essere espresso inequivoco ed attuale. Non é sufficiente, dunque, una generica manifestazione di dissenso formulata ex ante ed in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, ma è necessario che il dissenso sia manifestato ex post ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure (cfr. Cass. 23676/2008).


Premesso come la vicenda esaminata risalga a periodo antecedente alla normativa recata dalla Legge n. 219/2017 (recante "Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento"), la Suprema Corte ritiene che a sostegno del diritto di rifiutare l'emotrasfusione allegato dalla ricorrente vi sia "un complesso concorso di principi" rappresentato da quello all'autodeterminazione in materia di trattamento sanitario (art. 32 Cost.), ma anche da quello di libertà religiosa (art. 19 Cost.). Tale osmosi di principi costituzionali, nel caso di specie non incontra principi di segno contrario suscettibili di bilanciamento.

Il dissenso all'emotrasfusione

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Secondo la Cassazione "la circostanza della necessità dell'emotrasfusione è priva di rilievo ai fini del insorgenza di un principio da contrapporre a quello dell'autodeterminazione e della libertà religiosa". In pratica, richiamato il complesso dei principi costituzionali applicabili in materia, il Collegio ritiene che la paziente aveva il diritto di rifiutare l'emotrasfusione anche con dichiarazione formulata prima del trattamento sanitario e che l'accettazione dell'intervento di laparotomia esplorativa non abbia implicato anche l'accettazione dell'emotrasfusione.

Dunque, la dichiarazione anticipata di dissenso all'emotrasfusione, che possa essere richiesta da un'eventuale emorragia causata dal trattamento sanitario, non dunque essere neutralizzata dal consenso prestato a quest'ultimo.

Restano naturalmente, per il dissenso espresso prima del trattamento sanitario, le condizioni fissate dalla giurisprudenza (cfr. Cass. n. 23676/2008), cioè un'articolata, puntuale, espressa e attuale dichiarazione dalla quale inequivocabilmente emerga la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita.

Le garanzie nei confronti dei medici

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Enunciato il principio che riconosce il diritto del paziente Testimone di Geova a rifiutare l'emotrasfusione, anche qualora abbia prestato consenso al diverso trattamento che abbia successivamente richiesto la trasfusione, la Suprema Corte rimanda al giudice di merito l'accertamento in relazione all'intervento di un informato, inequivoco, autentico e attuale dissenso della paziente.

Quanto alla responsabilità dei sanitari, dato uno sguardo a quanto stabilito dalla Legge n. 219/2017, la sentenza chiarisce che "la posizione del medico non è esente da garanzie in circostanze come quella del caso di specie".

In pratica, "prestare il consenso a un intervento chirurgico, al quale è consustanziale il rischio emorragico, con l'inequivoca manifestazione di dissenso all'esecuzione di trasfusione di sangue ove il detto rischio si avveri, significa esigere dal medico un trattamento sanitario contrario, oltre che alle buone pratiche clinico-assistenziali, anche alla deontologica professionale". Dunque, spiega la Cassazione, a fronte di tale determinazione del paziente, il medico non ha obblighi professionali.


Scarica pdf Cassazione Civile, sentenza n. 29469/2020

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