Quando si sequestrano documenti in uno studio legale occorre vincolare solo quelli pertinenti al reato per il quale si sta procedendo

Sequestro documenti studio legale

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La Cassazione con la sentenza n. 27988/2020 (sotto allegata) accoglie il ricorso di un avvocato proposto nei confronti di un'ordinanza del Tribunale del riesame, che ha accolto solo in parte le sue doglianze, precisando che gli inquirenti non possono sequestrare tutte le pratiche di uno studio legale, ma solo quelle che risultano collegate al reato contestato. Per comprendere le ragioni di questa enunciazione facciamo un passo indietro per capire cosa è successo.

Il Tribunale del riesame respinge parzialmente la richiesta di riesame presentata dall'indagato (per il reato di cui all'art. 481 c.p.), sottoposto a perquisizione locale e sequestro di documenti. L'indagato, esercente la professione legale, è stato ritenuto responsabile di aver falsificato la firma di un cliente nell'istanza che deve essere presentata per l'ammissione al gratuito patrocinio.

Il P.m ha richiesto che nel corso della perquisizione fossero ricercati e sottoposti a sequestro:

  • i documenti relativi alla pratica di gratuito patrocinio per la quale l'avvocato è stato indagato;
  • quelli collegati e pertinenti al fatto reato;
  • quelli da cui risulta la percezione di denaro in relazione a pratiche di gratuito patrocinio comprese tra il primo gennaio 2018 e dicembre 2019.

In sede di perquisizione sono stati asportati anche dati telematici presenti su supporti fissi e mobili e due hard disk.

Il Tribunale, nell'accogliere solo in parte la richiesta dell'avvocato, annulla il provvedimento impugnato in relazione alle pratiche di gratuito patrocinio diverse da quelle per cui il legale è stato indagato, stante l'assenza del vincolo di pertinenzialità.

Non costituiscono corpo del reato documenti non collegati al procedimento

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Ricorrono in Cassazione il Pm e il difensore dell'indagato sollevando un motivo ciascuno.

Il Pm contesta che il Tribunale abbia annullato il provvedimento in relazione alle pratiche di gratuito patrocinio diverse da quella per la quale si procede, perché il sequestro probatorio ha proprio la funzione di raccogliere prove, stante il sospetto di ulteriori falsificazioni messe in atto dall'avvocato per richieste di ammissione al gratuito patrocinio.

Il difensore dell'indagato invece considera mere congetture quelle avanzate dal P.m relativamente alla presenza di documenti all'interno delle cartelline sequestrate che facessero riferimento al procedimento per cui il suo assistito è stato indagato, perché non individuati con precisione. L'immobile in cui è avvenuta la perquisizione inoltre non era adibito ad archivio, trattandosi di un ufficio preso in affitto dall'indagato e in cui stava per trasferirsi. Costui fa inoltre presente che il corpo del reato, ossia l'istanza di ammissione al patrocinio, è stata depositata in originale presso l'ufficio competente e che i documenti presenti nei fascicoli sequestrati potevano essere acquisiti anche presso il Tribunale. Il difensore infine contesta che detti documenti costituiscano corpo del reato visto che si tratta di atti difensivi dei coimputati del soggetto ammesso al patrocinio gratuito.

In uno studio legale si possono sequestrare solo i documenti collegati al reato

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La Corte di Cassazione dichiara fondato il ricorso dell'indagato, inammissibile quello presentato dal Pubblico Ministero.

La Corte prima di tutto ricorda che l'art. 103, comma 2 c.p.p vieta di sequestrare presso i difensori "carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato", dovendosi intendere per corpo del reato, come precisa l'art. 253 comma 2 c.p.p "le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo." Se il sequestro non rispetta detti limiti non può essere utilizzato.

Non è consentito altresì "il sequestro delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti" in quanto non basta a superare il divieto "la mera utilità probatoria dell'oggetto del sequestro, perché la legge non esige un quid pluris che giustifichi l'interferenza nel rapporto professionale cliente/difensore e cioè che l'atto o il documento appreso costituisca, esso stesso corpo del reato."

Alla luce di queste valutazioni di diritto e di fatto che fanno riferimenbto al caso di specie la Corte afferma quanto segue:

  • "per corpo del reato, in relazione alla fattispecie ex art. 481 c.p. così come contestata, debba intendersi esclusivamente l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato apparentemente sottoscritta (dal cliente)."
  • "Quando alla documentazione che concerne i coimputati del (cliente), infatti l'estraneità rispetto alla nozione di corso del reato come sopra individuata è del tutto evidente" per cui il sequestro della stessa è ingiustificato.

Per quanto riguarda infine la documentazione informatica e cartacea che si riferisce al cliente contenuta nella cartellina a lui intestata, nelle cartelline dei coimputati e che è stata ritenuta "pertinente" al reato, il sequestro sarebbe vietato, visto che non concerne il corpo del reato.

Al Giudice del rinvio il compito di riesaminare la questione in base ai suddetti principi, per decidere quali documenti possono essere vincolati e quali restituiti.

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