Analizziamo l'evoluzione dei poteri di acquisizione informativa del curatore fallimentare e i profili di tutela dei soggetti interessati dalla procedura

La legge fallimentare

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Il punto di partenza per un'approfondita e corretta analisi dell'evoluzione dei poteri di acquisizione informativa del curatore fallimentare è senz'altro il Regio Decreto 267/1942, essendo la legge fallimentare a definire le basi giuridiche sulle quali le diverse modifiche legislative intervenute nel corso degli anni hanno decretato l'assetto attuale della disciplina.

Nell'originaria versione della legge fallimentare, caratterizzata da una visione tendenzialmente pubblicistica della procedura, il curatore era considerato un semplice ausiliario del giudice delegato che, al contrario, rivestiva un ruolo preponderante nell'intera procedura fallimentare. La conferma di tale impostazione era sancita nella versione originaria dell'art. 31 l. f., che riconosceva sì al curatore l'amministrazione del patrimonio fallimentare, ma sempre sotto la direzione del giudice delegato.

L'esigenza di modifica di tale modello e, più nello specifico, della ripartizione dei poteri attribuiti ai diversi organi della procedura, comincia ad emergere negli anni '70: lo schema delineato dalla legge fallimentare

e dettato nell'interesse dell'economia dello Stato dirigista degli anni '40, comincia ad urtare con i principi dello Stato liberale e con l'influenza esercitata dalle legislazioni degli altri Stati europei. Tuttavia, solo con il d. lgs. 9 Gennaio 2006 n. 5, attuativo della legge delega n. 80 del 2005, è stata riformata la legge fallimentare del 1942 ed è stato regolamentato il nuovo impianto della procedura fallimentare, compresi la figura e il ruolo del curatore fallimentare, al quale vengono attribuiti poteri e competenze ben più estesi rispetto alla vecchia disciplina.

L'introduzione delle nuove regole, pur non comportando un'autonomia gestionale assoluta del patrimonio dell'impresa da parte dell'ufficio di curatela, ha prodotto una forte variazione degli equilibri tra i vari organi della procedura, spostandone il centro propulsore dalla figura del giudice delegato a quella del curatore, i cui poteri di indagine vengono ampliati e regolamentati più dettagliatamente al fine di rendere più efficace e veritiero il risultato e lo svolgimento della sua attività.

La conferma di tale impostazione, sicuramente più privatistica, è data dal riformato art. 31 l. f., che riconosce al curatore l'amministrazione del patrimonio fallimentare e il compimento di tutte le operazioni della procedura non più sotto la direzione del giudice delegato, bensì sotto la sua vigilanza (e del comitato dei creditori). Nonostante la riforma del 2006, negli ultimi anni si sono susseguite una serie di modifiche della legge fallimentare per far fronte alle esigenze dettate dal nuovo contesto politico, economico e culturale che, tuttavia, non hanno fatto altro che ampliare il divario tra le nuove disposizioni e quelle rimaste invariate. Questo susseguirsi di modifiche da un lato ha fatto sì che non si consolidassero stabili indirizzi giurisprudenziali in materia e, dall'altro, ha comportato un aumento delle controversie pendenti e un allungamento dei tempi di definizione delle procedure concorsuali.

Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

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Questo ha spinto il legislatore ad intervenire e, in attuazione della legge delega 155/2017, è stato emanato il d. lgs. 12 Gennaio 2019 n. 14, contenente il nuovo "Codice della Crisi d'impresa e dell'Insolvenza" e che, ad eccezione di talune disposizioni, entrerà in vigore il 1 Settembre del 2021 (in seguito al c. d. decreto liquidità). Tra le numerose novità introdotte dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza, compreso il cambiamento, più di forma che di sostanza, della tradizionale definizione di "fallimento" in "liquidazione giudiziale", anche il ruolo del curatore è interessato da importanti modifiche relative all'ampliamento dei suoi poteri di indagine, finalizzate a renderne più efficace la funzione e, nel contempo, a garantire la massima trasparenza ed efficienza dell'attività di gestione da lui svolta. Nei capitoli successivi si procederà dunque all'esame dei poteri di acquisizione informativa del curatore così come delineati dalla legge fallimentare del 1942 e dalla sua riforma del 2006, fino ad arrivare alle novità introdotte dal nuovo Codice della Crisi e dell'Insolvenza, valutandone gli elementi di continuità e di discontinuità e verificando le conseguenze che la disciplina, così ultimata, produce per il curatore e per gli altri soggetti interessati dalla procedura.

Poteri di acquisizione informativa del curatore nella legge fallimentare

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Il ruolo più importante assegnato dalla legge fallimentare al curatore è quello contenuto nel sù citato art. 31 l. f., ovvero la custodia e l'amministrazione del patrimonio fallimentare, attività che inizia con l'apposizione dei sigilli ai beni del fallito (art. 84 l. f.) e si conclude con la chiusura del fallimento. Entro i confini posti dall'osservanza di tali doveri, il curatore esercita i poteri connessi alla sua attività di gestione del patrimonio fallimentare, che si concretizzano nel compimento di tutti gli atti necessari alla ricerca, prima di tutto, e poi alla conservazione, sotto il profilo giuridico e materiale, del patrimonio del fallito, nonché degli atti finalizzati alla ricostruzione o liquidazione del patrimonio stesso. E' il curatore che ha i primi contatti con il fallito, con i creditori e, più in generale, con tutti i soggetti interessati e, in tale contesto, egli deve compiere un'attività di "certosino" nel ricostruire le vicende relative all'impresa, riordinando i singoli tasselli di un unico mosaico. Al fine di garantire una corretta ricostruzione della massa fallimentare e rappresentare al giudice delegato la realtà relativa all'impresa dichiarata fallita, il legislatore ha dunque attribuito al curatore, nell'ambito della legge fallimentare, notevoli poteri di acquisizione informativa di cui si procede all'analisi.

L'audizione del fallito

Tra i poteri di acquisizione informativa attribuiti al curatore dalla legge fallimentare, un ruolo di spicco è rivestito dalla possibilità di procedere all'audizione del fallito. L'art. 49 l. f., rubricato "Obblighi del fallito", al co. 2 dispone che "Se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al primo comma (imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, amministratori e i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento) devono presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori" e, al co. 3, che "in caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo, il giudice può autorizzare l'imprenditore o il legale rappresentante della società o enti soggetti alla procedura di fallimento a comparire per mezzo di mandatario".

Soggetti gravati dall'ordine di presentarsi personalmente, tra gli altri, al curatore, sono dunque il fallito, gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento; se il fallito è incapace, l'obbligo ricade sul legale rappresentante e non invece sull'institore, essendo costui un semplice delegato dell'imprenditore, e neppure sugli eredi o il rappresentante degli stessi, essendo tali soggetti estranei alle trascorse vicende patrimoniali del debitore.

Tali soggetti devono presentarsi dinanzi al curatore ove egli abbia la necessità di acquisire informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura: viene dunque esplicitato, a differenza che nel passato, il motivo della convocazione, e ciò mette in luce lo spirito di collaborazione che deve caratterizzare i rapporti tra il fallito e gli organi della procedura. Manca tuttavia nell'art. 49 co. 2 qualsiasi riferimento ad un obbligo del fallito di far seguire alla comparizione uno specifico comportamento collaborativo ma, ad un'analisi più approfondita, la scelta del legislatore appare la più equilibrata sotto il profilo costituzionale. Essa, da un lato, lascia il fallito libero di dosare la propria collaborazione in funzione del suo interesse a non amplificare la propria responsabilità e, dall'altro, a non fornire al curatore dichiarazioni circa la sua responsabilità che potrebbero essere assunte come prova nel processo penale. Il fallito, infatti, ha tutto l'interesse a fornire ogni informazione utile all'acquisizione dell'attivo da parte del curatore e alla formazione di uno stato passivo che tenga conto delle sue contestazioni.

Trattasi dunque di una scelta del legislatore che esclude qualsiasi posizione subalterna del fallito rispetto al curatore, riconoscendogli il diritto ad un giusto processo e ad una giusta difesa. Circa la possibilità contemplata dall'art. 49 co. 3 di comparire per mezzo di mandatario, tale facoltà era in passato circoscritta al ricorrere di un legittimo impedimento, mentre ora viene estesa ad ogni altro caso di legittimo motivo quale, ad esempio, può essere la presenza di un certificato medico. Per avere senso ed efficacia, ovviamente, è necessario che la sostituzione cada su un soggetto debitamente informato dei fatti, essendo anche tale eventuale inadempimento qualificabile come difetto di cooperazione ai fini della concessione del beneficio dell'esdebitazione.

Per quanto riguarda le modalità della convocazione, questa può essere effettuata verbalmente ma, nella prassi, si usa farla mediante raccomandata A. R. nella quale, oltre all'indicazione di data, luogo e ora, viene informato il fallito delle sanzioni penali cui può incorrere in caso di ingiustificata inottemperanza, della possibilità di farsi assistere da un legale di fiducia e della facoltà, previa autorizzazione del Giudice, di farsi rappresentare da un mandatario. Con la medesima comunicazione si invita il fallito a consegnare i documenti di cui il curatore faccia richiesta. Ove il Curatore ritiene di essere stato informato di quanto richiesto in maniera esauriente, deve chiudere il verbale o eventualmente rinviarlo per aggiornamento, se necessario, fissando anche la data ed il luogo del successivo incontro. Il verbale deve essere sottoscritto dal fallito, dalla persona che ha operato come estensore e dal Curatore, dopo aver letto a voce alta quanto verbalizzato e deve essere conservato dal curatore ed allegato in copia alla relazione ex art. 33 l. f .

Le informazioni e i chiarimenti che può richiedere il curatore

Il cuore dell'art. 49 co. 2 è dunque rappresentato dal potere del curatore di richiedere al fallito, agli amministratori o ai liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento, informazioni e chiarimenti necessari ai fini della gestione della procedura in quanto, l'esame del fascicolo preliminare e della documentazione presentata dal fallito non sono, di per sé, sufficienti ai fini dell'adempimento al dovere previsto dall'art. 33 l. f. di informare l'autorità giudiziaria sulle cause e circostanze del fallimento. Fermo restando che egli gode di ampia autonomia circa le domande da sottoporre al fallito, prendendo come esempio un verbale di audizione, le informazioni la cui acquisizione è privilegiata dal curatore in tale sede sono:

  • Notizie sui luoghi in cui l'impresa operava, sulla tipologia di attività svolta e sul volume di affari medio;
  • Notizie sugli eventuali lavoratori dipendenti della ditta fallita;
  • Notizie in merito alle cause della cessazione dell'attività e del successivo fallimento;
  • Informazioni circa i criteri di gestione dell'azienda e su come si sia giunti al dissesto della stessa;
  • Notizie in merito all'eventuale interessamento o ingerenza di terzi nella gestione dell'impresa;
  • Notizie in merito alla quantità e qualità dei debiti che hanno condotto l'impresa al fallimento e al periodo in cui gli stessi sono stati contratti;
  • Notizie in merito ad eventuali crediti che l'impresa debba riscuotere;
  • Notizie in merito al luogo di conservazione delle scritture contabili e di tutta la documentazione extracontabile e fiscale;
  • Indicazione del consulente fiscale, se esistente, e del suo ruolo eventuale nelle vicende aziendali;
  • Indicazione di beni e altre attività dell'impresa da assoggettare a fallimento e del loro luogo di conservazione;
  • Se il fallito è una persona fisica, rappresentazione della propria situazione reddituale e della propria famiglia, dopo aver dato lettura dell'art. 46 l. f. ;
  • Notizie circa l'eventuale compimento di atti in violazione delle norme che regolano il concorso dei creditori, come per esempio donazioni, transazioni, pagamenti inefficaci ex art. 65 l. f., etc.;
  • Notizie circa l'eventuale compimento di atti di disposizione il giorno della dichiarazione di fallimento, nei giorni successivi o immediatamente precedenti;
  • Presenza di condanne penali a suo carico che prevedano l'inabilitazione;
  • Elenco dei debitori e dei creditori dell'impresa, dei contratti in corso, dei giudizi pendenti o sentenze che possano interessare l'impresa fallita, ove non sia già stata consegnata la relativa documentazione.

La mancata comparizione del fallito

Il previgente testo dell'art. 49 l. f. prevedeva che il fallito dovesse presentarsi, tra gli altri, dinanzi al curatore e che, in caso di inottemperanza, il giudice delegato avrebbe potuto disporre l'accompagnamento coattivo dalla forza pubblica. Si trattava di una disposizione che fondava il suo presupposto sull' art. 16 co. 4 l. f., il quale consentiva al tribunale, con la sentenza dichiarativa di fallimento o con successivo decreto, l'emanazione di un ordine di cattura a carico del fallito.

A contorno di tale disposizione vi era l'art. 220 l. f. che sanzionava (e sanziona) la mancata osservanza degli obblighi di cui all'art. 49 l. f. con la reclusione dai sei ai diciotto mesi . Il d. lgs. 5/2006 ha conservato il dovere del fallito di presentarsi dinanzi al curatore ove convocato, elidendo tuttavia la possibilità, da parte del giudice delegato, di disporne l'accompagnamento se questi, senza apprezzabili ragioni, rifiuti di presentarsi.

L'abrogazione di tale potere del giudice delegato deriva probabilmente dall'equivoco di considerare l'accompagnamento coattivo come una misura sanzionatoria: in realtà così non è, in quanto l'accompagnamento altro non è che il rimedio all'inadempimento dell'obbligo di carattere pubblicistico facente capo al fallito di fornire informazioni e chiarimenti agli organi della procedura. La mancata ed ingiustificata presentazione del fallito (o del suo mandatario autorizzato dal giudice delegato) regolarmente convocato integra, ancora oggi, la fattispecie delittuosa prevista e punita dall'art. 220 l. f. Oltre a questo il fallimento è considerato, anche dalla giurisprudenza comunitaria , una procedura esecutiva alla stregua del processo esecutivo e ad esso si applicano, se non diversamente disposto e se non incompatibili, le norme del rito esecutivo civile: proprio per questo, venuta a mancare la norma di carattere speciale prevista dall'art. 49 l. f., continua ad operare la norma di carattere generale prevista dall'art. 68 co. 3 c. p. c. in base alla quale "il giudice può sempre richiedere l'assistenza della forza pubblica".

Ne deriva dunque che in capo al giudice delegato permane il potere di disporre l'accompagnamento tramite la forza pubblica del fallito inottemperante all'obbligo di comparizione. L'accompagnamento del fallito, ovviamente, non viene disposto perché il soggetto è fallito, ma perché si sottrae ad un obbligo procedimentale stabilito dalla legge alla stessa stregua e per le stesse ragioni per cui viene disposto l'accompagnamento coatto del testimone o del consulente tecnico renitenti ad ottemperare quella che è, nell'interesse pubblico, una servitù di giustizia. L'opinione prevalente ritiene infatti che l'obbligo di comparizione rientri tra le prestazioni personali ex art. 23 Cost. che possono essere imposte dalla legge per tutelare particolari interessi.

In caso di omessa presentazione, dunque, il curatore riconvoca il fallito; perdurando l'inadempimento ingiustificato, il curatore chiede al giudice delegato l'emissione di un provvedimento di convocazione formale da notificarsi a mezzo della forza pubblica e, ove perduri ancora l'inadempimento ingiustificato, provvede a sporgere denuncia alla Procura della Repubblica nei confronti del fallito in ordine al reato previsto e punito dall'art. 220 l. f. Da ultimo, occorre considerare che l'art. 220 l. f., sanzionando la violazione degli obblighi imposti dagli artt. 16 e 49 l. f., prevede due autonomi reati, dei quali solo il primo, integrato dall'omesso deposito delle scritture contabili, è assorbito dal reato di bancarotta fraudolenta documentale mentre, l'inosservanza dell'obbligo di comparizione del fallito davanti agli organi della procedura, concorre con il reato di bancarotta fraudolenta documentale, trattandosi di condotte distinte e lesive di interessi diversi, in quanto l'art. 49 l. f. tutela l'interesse all'acquisizione di conoscenze di carattere generale e non meramente documentale.

(segue) La mancata comparizione e l'esdebitazione

Il mancato rispetto della disposizione contenuta nell'art. 49 l. f. può costituire un inadempimento al fine dell'ottenimento del beneficio dell'esdebitazione. Sebbene la violazione dell'art. 49 l. f. non sia espressamente indicata tra le cause ostative all'esdebitazione previste dall'art. 142 l. f., può comunque ritenersi compresa nei comportamenti tendenti a ritardare lo svolgimento della procedura di cui al co. 2 del sopra citato articolo o tra i comportamenti in contrasto con il modello di fallito di cui al co. 1. Tale considerazione rispecchia anche l'intento del legislatore di spostare l'attenzione dalla meritevolezza dell'imprenditore mostrata nella gestione attiva dell'impresa e nell'amministrazione del patrimonio nel periodo prefallimentare, al comportamento tenuto dal fallito durante lo svolgimento della procedura. E' opportuno comunque evidenziare che, essendo ancorato il funzionamento del meccanismo previsto per l'esdebitazione alla volontà e alla correttezza del fallito, tutti gli autori hanno sottolineato come la mancata concessione del beneficio possa essere disposta solo ove la violazione dell'obbligo di comparizione sia ascrivibile al fallito, e non anche agli amministratori o liquidatori di società o enti soggetti a fallimento.

La possibilità del curatore di interrogare soggetti terzi

Per quel che concerne, invece, la possibilità di procedere all'audizione di soggetti diversi da quelli indicati dall'art 49 l. f. come, ad esempio, soci di società di capitali o lavoratori dipendenti, la legge non riconosce alcun potere formale al curatore. Occorre però a tal proposito fare una precisazione: il curatore non può interrogare soggetti diversi da quelli sopra indicati ma è libero, come chiunque altro, di fare domande alle quali l'interlocutore è libero di rispondere o meno. Il curatore non è infatti investito di poteri di indagine simili a quelli degli organi di polizia e, mentre il fallito o l'amministratore hanno certamente dei doveri nei suoi confronti, altrettanto non può dirsi per i soggetti diversi da questi.

Dunque, fermo restando che il curatore può richiedere informazioni e chiarimenti a chiunque, l'interlocutore non è sanzionabile e non ha alcun obbligo di legge nei confronti del curatore. Nel caso in cui, tuttavia, manchi collaborazione da parte del terzo e il curatore ritenga che siano ipotizzabili fatti di rilevanza che lo riguardano, può investire della questione il Pubblico Ministero, attraverso la comunicazione diretta ed esclusiva di tali fatti o, a seconda dei casi, al giudice delegato, tramite la relazione ex art. 33 l. f. Così facendo il curatore può anche richiedere al Pubblico ministero o al giudice delegato l'intervento della guardia di finanza, ove vi sia fondato motivo di ritenere che vi siano state gravi violazioni di norme tributarie o penali, affinché vengano eseguite indagini su fatti per i quali non vi sono state deposizioni spontanee da parte dei terzi e che egli aveva chiesto.

L'acquisizione documentale

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Tra i poteri di acquisizione informativa riconosciuti dalla legge fallimentare, un ruolo fondamentale è altresì rivestito dal potere di acquisizione documentale, disciplinato dall'art. 86 l. f. L'art. 86 l. f., rubricato "Consegna del denaro, titoli, scritture contabili e di altra documentazione", al co. 1 dispone che "Devono essere consegnate al curatore: a) il denaro contante per essere dal medesimo depositato a norma dell'articolo 34; b) le cambiali e gli altri titoli compresi quelli scaduti; c) le scritture contabili e ogni altra documentazione dal medesimo richiesta o acquisita se non ancora depositate in cancelleria". Come emerge con evidenza da una prima lettura dell'art. 86 l. f., così come novellato dal d. lgs. 5/2006, il legislatore ha operato una distinzione fra le cose oggetto della misura di apposizione dei sigilli ex art. 84 l. f. e beni che devono essere immediatamente consegnati al curatore che ne assume la custodia, ossia denaro, titoli , scritture contabili e altra documentazione.

Il nuovo assetto normativo è stato ottenuto attraverso il trasferimento di una parte del contenuto del vecchio art. 86 l. f., ovvero quella relativa ai beni non sigillabili, all'interno del novellato art. 84 l. f. e con l'integrazione dell'art. 86 l. f. con le disposizioni relative alla consegna diretta di beni al curatore. La riforma così rende più celere e semplice la procedura, poiché l'immediata consegna di tutta la documentazione inerente la compagine sociale fallita, nonché dei titoli e del denaro contante, consente senza dubbio al curatore di avere una immediata percezione della situazione patrimoniale dell'azienda fallita.

E' evidente la ratio dell'intervento di riforma, teso alla semplificazione delle procedure di amministrazione attraverso l'attribuzione al curatore di poteri che in precedenza appartenevano al giudice delegato e l'eliminazione di formalità previste dalla norma previgente come ad esempio la vidimazione e bollatura dei registri contabili. Tutto ciò è diretto ad assicurare, anche attraverso una fattiva collaborazione con l'imprenditore fallito e con i creditori, un più rapido svolgimento dell'attività di individuazione delle passività e di liquidazione dell'attivo, e a garantire al curatore poteri gestori idonei a consentire il miglior sfruttamento delle risorse attive residue della compagine fallita.

Anche nel silenzio della norma, è lecito presumere che dell'attività di consegna il curatore debba, con l'assistenza del cancelliere e nelle stesse modalità previste per la redazione dell'inventario, redigere processo verbale, strumentale alla puntuale descrizione di tutti gli oggetti e di tutti i documenti consegnati allo stesso. La prima parte dell'art. 86 co. 2 l. f. prevede invece che "Il giudice delegato può autorizzarne il deposito in luogo idoneo, anche presso terzi": dunque, le res che l'imprenditore fallito è tenuto a consegnare al curatore, segnatamente le scritture contabili ed i titoli di credito cui alla lettera b) del co. 1, anziché in cancelleria, possono, previa autorizzazione del giudice delegato, essere depositate in altro luogo, cui il curatore può ovviamente sempre accedere, purché idoneo ad assicurarne l'adeguata conservazione e quantunque ricadente nella disponibilità di soggetti terzi.

La consegna delle scritture contabili

Ai sensi dell'art. 86 co. 1 lettera c) l. f., il fallito deve procedere alla consegna delle scritture contabili al curatore qualora non siano già state depositate ai sensi dell'art. 14 l. f. nell'ipotesi di istanza di dichiarazione del proprio fallimento ovvero, in base al disposto dell'art. 16 co. 2 n. 3 l. f., nei tre giorni successivi alla dichiarazione di fallimento. Tale adempimento riveste una notevole importanza, in quanto l'effettiva disponibilità delle scritture contabili consente al curatore di poter procedere a tutti gli adempimenti di legge come, ad esempio, l'annotazione sui registri contabili, la redazione del bilancio previsto dall'art. 89 l. f. , la verifica delle posizioni creditorie e debitorie, anche al fine della previsione di redazione dello stato passivo.

La normativa precedente, così come sopra citato, non parlava di consegna delle scritture contabili, bensì di esclusione dall'apposizione dei sigilli: secondo una parte della dottrina, tale esclusione era giustificata dal fatto che le scritture contabili non potevano considerarsi beni in senso proprio; secondo altri, invece, tale scelta del legislatore si poteva spiegare con l'esigenza di poter assicurare al curatore il tempestivo svolgimento delle sua mansioni.

Il nuovo art. 86 l. f. inoltre non prescrive più la vidimazione delle scritture contabili da parte del giudice delegato e il loro deposito in cancelleria: la ratio della novella è da ricercarsi nella prassi seguita da gran parte dei tribunali che ometteva la vidimazione prescritta, poiché ritenuta un adempimento sostanzialmente inutile per le esigenze di amministrazione della procedura fallimentare, autorizzando il curatore a trattenerle presso di sé anziché depositarle in cancelleria.

Tuttavia, è stato considerato che, nonostante la soppressione dell'obbligo di vidimazione, sia opportuno che il giudice delegato provveda alla vidimazione in parola per precisare ciò che è avvenuto fino alla dichiarazione di fallimento. Altri invece ritengono opportuno che sia il curatore a dover comunque procedere alla sottoscrizione dell'ultima pagina delle scritture contabili, al fine di evitare che in seguito possano essere eseguite delle annotazioni da parte del fallito o di altri interessati, magari nel corso di accesso ai documenti previa richiesta nelle forme stabilite dalla legge.

L'acquisizione delle scritture contabili, quindi, consente al curatore, ove possibile, di esperire tutte quelle attività di accertamento necessarie per comprendere le ragioni del dissesto, nonché di intraprendere tutte le azioni opportune a tutelare il patrimonio dell'impresa e le ragioni dei creditori: egli deve esaminare meticolosamente i bilanci degli ultimi esercizi, confrontandoli tra di loro, al fine di rilevare possibili incongruenze ed individuare l'effettiva epoca di insorgenza dello stato di insolvenza.

(segue) Le scritture contabili da consegnare al curatore

Ai fini dell'identificazione della documentazione contabile che deve essere consegnata al curatore ai sensi dell'art. 86 l. f., soccorre l'indicazione dell'art. 2214 c. c., rubricato "Libri obbligatori e altre scritture contabili". Ai sensi del co. 1 dell'art. 2214, l'imprenditore non piccolo che esercita attività commerciale, deve tenere, innanzitutto, il libro giornale e il libro degli inventari, che devono essere numerati progressivamente e non sono soggetti a bollatura né a vidimazione. Nel libro giornale devono essere indicate, giorno per giorno, le operazioni relative all'esercizio dell'impresa.

Nel libro degli inventari, che deve redigersi all'inizio dell'esercizio dell'impresa e successivamente ogni anno, deve essere invece contenuta l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all'impresa, nonché delle attività e delle passività dell'imprenditore estranee alla medesima; l'inventario, che deve essere sottoscritto dall'imprenditore entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette, si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite.

Ai sensi del co. 2 dell'art. 2214 c. c., l'imprenditore commerciale deve altresì tenere, e dunque consegnare al curatore, le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le scritture contabili correlate alla natura dell'impresa sono quelle previste dall'art. 2421 c. c. per le S. p. a., dall'art. 2478 c. c. per le S. r . l. e dall'art. 2519 c. c. per le società cooperative. L'art. 2421 c. c. prevede che le S. p. a., oltre alle scritture contabili previste dall'art. 2214, debbano obbligatoriamente tenere:

  • il libro dei soci, nel quale devono essere indicati distintamente per ogni categoria il numero delle azioni, il cognome e il nome dei titolari delle azioni nominative, i trasferimenti e i vincoli ad esse relativi e i versamenti eseguiti;
  • il libro delle obbligazioni, il quale deve indicare l'ammontare delle obbligazioni emesse e di quelle estinte, il cognome e il nome dei titolari delle obbligazioni nominative e i trasferimenti e i vincoli ad esse relativi;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, in cui devono essere trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o del consiglio di gestione;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale ovvero del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, se esistente;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti, se sono state emesse obbligazioni;
  • il libro degli strumenti finanziari emessi ai sensi dell'articolo 2447 sexies.
L'art. 2478 c. c. prevede invece che le S. r. l., oltre alle scritture contabili prescritte dall'art. 2214 c. c., debbano tenere:
  • il libro dei soci, nel quale devono essere indicati il nome dei soci, la partecipazione di spettanza di ciascuno, i versamenti fatti sulle partecipazioni, nonché le variazioni nelle persone dei soci;
  • il libro delle decisioni dei soci, nel quale sono trascritti senza indugio sia i verbali delle assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia le decisioni prese ai sensi del primo periodo del terzo comma dell'articolo 2479 c. c..;
  • il libro delle decisioni degli amministratori;
  • il libro delle decisioni del collegio sindacale o del revisore nominati ai sensi dell'art. 2477 c. c. .
Per quanto riguarda le società cooperative, ai sensi dell'art. 2519 c. c., trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni dettate dall'art. 2421 c. c. L'art. 13, co. 36 del d. l. 269/2003, convertito con la legge 326/2003, prevede invece che i consorzi con attività esterna, oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti tra quelli la cui tenuta è obbligatoria, debbano tenere:
  • il libro dei consorziati, nel quale devono essere indicati la ragione o denominazione sociale ovvero il cognome e il nome dei consorziati e le variazioni nelle persone di questi;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea, in cui devono essere trascritti anche i verbali eventualmente redatti per atto pubblico;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'organo amministrativo collegiale, se questo esiste;
  • il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, se questo esiste.
Devono essere infine consegnate al curatore, in quanto la loro tenuta è obbligatoria ai fini fiscali per le imprese commerciali, società e enti equiparati, le scritture contabili previste dall'art. 14 D. P. R. 600/1973, ovvero:
  • il libro giornale e il libro degli inventari previsti dal codice civile;
  • registro IVA acquisti, IVA vendite ed IVA corrispettivi per i commercianti al minuto, prescritti dalle disposizioni ai fini dell'IVA (D. P. R. 633/1972);
  • le scritture ausiliarie, denominate comunemente "conti di mastro", che accolgono per ogni singola posta di bilancio i movimenti intercorsi nell'anno;
  • le scritture ausiliarie di magazzino, obbligatorie solo per le imprese avente un certo volume dimensionale (imprese che per due esercizi successivi presentano ricavi superiori a euro 5.164.568,89 e rimanenze totali superiori a euro 1.032.913,80;
  • il registro dei beni ammortizzabili, contenente le indicazioni relative ai singoli cespiti acquistati e venduti dall'impresa;
  • i libri obbligatori in materia di lavoro (L. U. L.).

(segue) La mancata consegna delle scritture contabili

Nella formulazione normativa previgente era controverso se l'art. 86 l. f. stabilisse un onere, un obbligo o una mera prescrizione formale, e proprio per questo si riteneva che la mancata consegna delle scritture contabili non comportasse l'applicazione di alcuna sanzione. L'attuale formulazione dell'art. 86 l. f., al contrario, prescrive espressamente un obbligo di consegna, la cui violazione è sanzionabile: sono infatti previste conseguenze pregiudizievoli per il fallito in tutte le ipotesi in cui dalla mancata consegna o dalla distruzione della documentazione, possa derivare un pregiudizio per la ricostruzione delle partite contabili della società o al proseguimento dell'esercizio dell'attività d'impresa, ove sia stato autorizzato.

Si ritiene dunque sussistente in capo al curatore un potere di procedere alla diffida del fallito che non consegni la documentazione prescritta; pertanto, persistendo l'inadempimento, il curatore deve riferire al giudice delegato e alla Procura della Repubblica anche al fine della valutazione della configurabilità dei reati previsti dagli artt. 216 e 220 l. f. L'obbligo di procedere alla consegna delle scritture contabili è configurabile anche per l'amministratore in carica al momento della dichiarazione del fallimento, mentre "non è ravvisabile alcun obbligo di consegna al curatore delle scritture contabili in capo all'ex amministratore della società, a meno che non sia contestato e provato che lo stesso fosse anche amministratore di fatto nell'ultima fase di vita della società, o che abbia concorso in qualità di extraneus, nel fatto dell'intraneus (amministratore della società al momento del fallimento) con la consapevolezza di determinare un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori".

Per l'integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale è inoltre richiesto non solo che al tempo della dichiarazione di fallimento il soggetto avesse poteri di rappresentanza e amministrazione, ma altresì il dolo specifico, e cioè l'aver agito con lo specifico intento di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, o di recare un pregiudizio ai creditori.

(segue) L'efficacia probatoria delle scritture contabili

"Ai sensi dell'art. 2709 c. c., i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione costituiscono prova contro l'imprenditore, ma la parte che intenda trarne vantaggio non può scinderne il contenuto, dovendo le scritture stesse, una volta invocate ed esibite, essere valutate nella loro interezza, quale che sia la parte a cui favore o carico depongono. Tale principio di inscindibilità trova applicazione anche nei confronti del curatore fallimentare. Il curatore medesimo non può pretendere di scindere il contenuto delle scritture, né eccepire l'inopponibilità di quelle favorevoli alla controparte perché prive di data certa, mentre il giudice può assegnare alla singola annotazione valore di prova contro l'imprenditore solo se il significato che si intende ad essa attribuire non è smentito da altre scritture contabili".

Il fondamento dell'art. 2709 c. c. viene ricercato nella regola d'esperienza in base alla quale, normalmente, nessuno predispone in una documentazione dati a proprio carico non corrispondenti al vero. La norma presenta dunque un fondamento analogo a quello della confessione, posto che, in entrambi i casi, il mezzo di prova si basa su dichiarazioni provenienti dalla parte contro la quale possono essere utilizzate e, per entrambe, vale la regola dell'inscindibilità. L'art. 2709 c. c. deve essere letto in stretta connessione con l'art. 2710 c. c., il quale dispone invece che "i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa".

precetto dell'art. 2710 c. c., dunque, in via di specialità rispetto alla regola fissata dall'art. 2709 c. c., che limita l'efficacia processuale delle scritture contabili quale mezzo di prova contro il medesimo imprenditore che le ha redatte, detta specifici presupposti affinché le stesse siano eventualmente utilizzabili anche a favore del soggetto che le ha tenute. In particolare, è necessario che si tratti di scritture regolarmente tenute, che la controparte sia anch'essa un imprenditore obbligato a tenere le scritture contabili e che la controversia attenga a rapporti relativi all'esercizio dell'impresa. Gli artt. 2709 e 2710 c. c., contemplando ipotesi di rilevanza esterna delle scritture contabili, costituiscono dunque una deroga al principio generale secondo il quale le scritture contabili dell'imprenditore non sono destinate ad assolvere le esigenze conoscitive e informative dei terzi, riguardando infatti l'ambito dei procedimenti interni di rilevazione dei fenomeni aziendali.

La corrispondenza diretta al fallito

Tra i poteri di acquisizione documentale riconosciuti al curatore, l'art. 48 l. f. annovera quelli relativi alla corrispondenza diretta al fallito. L'art. 48 l. f., rubricato "Corrispondenza diretta al fallito", dispone che "Il fallito persona fisica è tenuto a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, compresa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento. La corrispondenza diretta al fallito che non sia persona fisica è consegnata al curatore". La norma previgente, modificata nell'attuale versione dal D. lgs. 5/2006 e successivamente dal D. lgs. 169/2007, prevedeva che l'obbligo di consegna dovesse riguardare tutta la corrispondenza diretta al fallito, e l'amministrazione postale aveva l'obbligo di consegnarla direttamente nelle mani del curatore.

Come facilmente immaginabile, nel corso degli anni e con il crescere di una maggiore sensibilità giuridica, sono stati sollevati da più autori dubbi sulla legittimità costituzionale di tale articolo, ritenuto lesivo dell'art. 15 Cost. che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza: il legislatore è così intervenuto limitando l'obbligo alla corrispondenza relativa ai rapporti compresi nel fallimento. Il fondamento della disposizione sta nella necessità di assicurare al curatore, al fine di conoscere e ricostruire la situazione dell'impresa in stato di insolvenza, non solo la documentazione acquisita al momento del fallimento, ma anche quella successiva e quella relativa ai rapporti giuridici pregressi, pendenti e futuri, nonché i loro sviluppi, in modo tale da possedere uno strumento di controllo che gli permetta di acquisire ogni elemento utile sui rapporti patrimoniali compresi nel fallimento e su eventuali ed ulteriori interessi economici . Per quanto riguarda i soggetti gravati dall'obbligo di consegna, a differenza che nel passato, dove questo veniva esteso anche agli amministratori e liquidatori di società o enti soggetti al fallimento, la novella del 2006 lo ha limitato al solo fallito persona fisica, in quanto "è solo nei confronti del fallito persona fisica che ha senso salvaguardare il diritto alla riservatezza nella corrispondenza".

La corrispondenza indirizzata ad una persona fisica in qualità di legale rappresentante di una società (fallito persona giuridica), invece, non può avere carattere personale, e per questo il co. 2 dell'art. 48 l. f. dispone che debba essere consegnata direttamente al curatore da parte degli uffici postali, così come accadeva in passato, senza alcuna limitazione relativa al contenuto. Per quanto riguarda il concetto di corrispondenza, questo è stato inteso in maniera piuttosto estensiva, ricomprendendovi ogni missiva od oggetto (pacchi postali, telegrammi, biglietti, manoscritti, stampe, circolari) inviato a mezzo posta o corriere, compresa la posta elettronica; resta invece dubbio se in tali forme di comunicazioni debbano comprendersi anche sms e altre forme di corrispondenza via web. In ogni caso, spetta al fallito persona fisica il compito di selezionare la corrispondenza e di trasmettere al curatore solo quella relativa ai rapporti patrimoniali coinvolti nel fallimento. Al fallito viene quindi data fiducia e viene chiesta la sua fattiva collaborazione al fine di ricostruire le vicende aziendali.

(segue) La mancata consegna della corrispondenza

La legge non prevede sanzioni o conseguenze dirette per il caso di mancato adempimento del fallito all'obbligo di consegnare al curatore la corrispondenza avente natura patrimoniale, né un termine per l'assolvimento di tale obbligo, né specifiche forme e modalità di controllo da parte degli organi della procedura, con conseguente pericolo di una sua facile elusione. Tuttavia, della violazione dell'obbligo può tenersi conto in sede di decisione sull'istanza di esdebitazione in quanto, tra le condizioni ostative alla stessa, l'art. 142 co. 3 l. f. cita espressamente la violazione degli obblighi contemplati dall'art. 48 l. f.

Anche sotto il profilo penale, l'obbligo non assume rilevanza. Sulla scorta della facilità di elusione dell'obbligo di consegna, dunque, alcuni autori hanno suggerito una diversa interpretazione applicativa dell'art. 48 l. f. sostenendo che, in caso di violazione, il curatore debba comunicare l'accaduto al giudice delegato e questi, dopo aver svolto gli opportuni accertamenti, possa ordinare ex art. 25 l. f. all'ente postale di consegnare direttamente al curatore la corrispondenza destinata al fallito, disponendo eventualmente anche l'acquisizione alla procedura della corrispondenza già ricevuta dal fallito e non consegnata al curatore.

Quanto alla corrispondenza telematica, ancor più difficilmente assoggettabile a controlli da parte del curatore, si sostiene che il giudice delegato possa chiedere al tribunale un provvedimento per ottenere dal server di posta certificata copia della corrispondenza diretta al fallito.

L'acquisizione della documentazione bancaria del fallito

Uno degli aspetti più delicati che riguarda la conduzione della procedura fallimentare è quello relativo alla possibilità per il curatore di disporre, nello svolgimento delle sue funzioni, di tutta la documentazione inerente i rapporti giuridici intercorrenti tra il fallito e gli istituti di credito, al fine di poter intraprendere tempestivamente le iniziative legali nell'interesse dei creditori. In questo contesto, un ruolo centrale è senz'altro rivestito dai rapporti di conto corrente, in quanto il conto corrente bancario costituisce lo strumento centrale di regolazione economica di molteplici operazioni e affari che intercorrono non solo tra la banca ed il cliente, ma anche, attraverso l'intermediazione della banca, tra il cliente ed i terzi. Il diritto del curatore fallimentare di richiedere ed ottenere dall'istituto di credito la documentazione inerente i rapporti di conto corrente bancario con il cliente fallito trova fondamento nell'art. 119 d. lgs. 385/1993 (Testo Unico Bancario), rubricato "Comunicazioni periodiche alla clientela", che prevede espressamente al co. 4, così come modificato dall'art. 24 co. 2 d. lgs. 342/1999, che "il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto ad ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni". Tale disposizione normativa, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, attribuisce anche al curatore fallimentare la legittimazione all'esercizio del suddetto diritto. Con una prima pronuncia (Cassazione, 22 Maggio 1997 n. 4594), la suprema Corte ha infatti affermato che la pretesa alla documentazione è un diritto che nasce dall'obbligo di buona fede, regola di condotta cui debbono attenersi i soggetti del rapporto obbligatorio, alla stregua di quanto dispone l'art' 1375 c. c. e, più in particolare, dal dovere di reciproca solidarietà tra i contraenti, dal quale deriva l'obbligo di ciascuna parte di favorire la realizzazione dell'utilità che l'altra parte possa trarre dal contratto, qualora ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse proprio; ciò dopo aver sottolineato come la buona fede operi non solo in sede d'interpretazione e di esecuzione del contratto, ma anche come fonte d'integrazione della stessa regolamentazione contrattuale.

Con una successiva decisione (Cassazione, 19 Ottobre 1999, n. 11733), la suprema Corte ha richiamato il suddetto art. 119 co. 4 T. U. B. stabilendo come il diritto all'acquisizione di copie della documentazione inerente singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni si trasmette al curatore sulla base del disposto dell'art. 31 l. f., secondo il quale il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la vigilanza del giudice delegato Dunque, ove il curatore non abbia avuto la possibilità di procurarsela direttamente dal fallito e sia necessaria ai fini della ricostruzione delle vicende del patrimonio fallimentare, la banca ha l'obbligo di trasmettere la documentazione richiesta, sebbene a spese del richiedente, senza poter replicare di averla già in precedenza trasmessa al fallito. Nel formulare la richiesta, il curatore non ha l'obbligo di indicare in dettaglio gli estremi dei documenti bancari dei quali vuole ottenere la consegna, dovendo tuttavia fornire almeno quegli elementi minimi indispensabili per consentire l'individuazione degli stessi e, nel caso in cui la banca neghi l'esistenza dei documenti in questione, è il curatore a dover dimostrare, anche a mezzo di presunzioni, che quei documenti esistono e che, perciò, la banca è obbligata a consegnarli. Ai fini dell'esercizio di tale diritto del curatore, inoltre, non rileva che il rapporto tra la banca ed il cliente si sia sciolto, poiché l'obbligo di correttezza e solidarietà non si estingue sino a quando permane l'interesse all'informazione, così come affermato anche dalla suprema Corte.

(segue) Il ricorso alla procedura d'urgenza ex art. 700 c. p. c.

Accertato il diritto del curatore fallimentare di ottenere dalla banca la documentazione relativa ai rapporti di conto corrente bancario del fallito, occorre individuare lo strumento giudiziale più idoneo al fine di attuarlo coattivamente nell'ipotesi in cui la banca non adempia spontaneamente alla richiesta di documentazione. Tra le diverse alternative, quella che ha riscontrato maggiore successo è senz'altro la procedura d'urgenza di cui all'art. 700 c. p. c. , in quanto il procedimento cautelare è lo strumento più efficace per offrire una reale tutela ad un diritto che, qualora dovessero attendersi i tempi richiesti dal giudizio ordinario, verrebbe irreparabilmente pregiudicato. Il ricorso alla procedura ex art. 700 c. p. c. è consentito al curatore laddove, coerentemente al carattere residuale e sussidiario di tale misura d'urgenza, nessun'altra misura cautelare è in grado di garantire l'interesse del curatore. Al pari di ogni altra misura cautelare, anche il ricorso alla procedura d'urgenza presuppone la presenza dei due consueti requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris: il primo è ravvisabile alla luce del comportamento omissivo della banca che, disattendendo le legittime richieste della curatela fallimentare, accentua il rischio di grave ed irreparabile pregiudizio per il buon esito della procedura fallimentare, ritardandone la definizione e impedendo una esatta ricostruzione del patrimonio del fallito ; il secondo invece sussiste ove il curatore non può procedere in mancanza della documentazione bancaria che gli spetta.

(segue) Il ricorso al procedimento d'ingiunzione

Accanto alla procedura d'urgenza ex art. 700 c. p. c., un altro mezzo utilizzabile da parte delle curatele fallimentari per ottenere dalla banca copia degli estratti relativi al conto corrente intrattenuto dal soggetto fallito, ove questa non adempia spontaneamente alla richiesta, è il procedimento d'ingiunzione, disciplinato dagli artt. 633 ss. c. p. c. Il vantaggio di tale procedimento è senz'altro insito nell'ottenimento di copia della documentazione inaudita altera parte, e cioè senza la consueta opposizione degli istituti di credito; il rischio è invece insito nella difficoltà di conseguire l'ingiunzione alla consegna senza dilazione, in quanto la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo può essere disposta dal giudice solo ove sia dimostrato, seppur sommariamente, il pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, così come stabilito dall'art. 642 c. p. c.

Ai sensi dell'art. 633 c. p. c., affinché il procedimento d'ingiunzione possa essere attivato, è necessario che la domanda fatta al giudice abbia ad oggetto una cosa determinata, ed è dunque onere del curatore fornire gli elementi minimi indispensabili per consentire l'individuazione dei documenti oggetto della richiesta monitoria sicché, ove la banca neghi l'esistenza degli stessi, è pur sempre il curatore a dover dimostrare, anche attraverso presunzioni, che viceversa esistono e che sussiste il suo diritto alla consegna. Sempre ai sensi dell'art. 633 c. p. c., è necessario che del diritto che si intende far valere attraverso il procedimento d'ingiunzione si dia prova scritta: nel caso concreto, tale prova scritta può essere costituita o dal contratto di conto corrente, da stipularsi per iscritto ai sensi dell'art. 117 T. U. B., o dai singoli estratti conto trasmessi dalla banca al cliente e venuti in possesso del curatore.

Nella prassi, il procedimento d'ingiunzione risulta spesso assai difficoltoso per le curatele fallimentari non solo per i motivi elencati, ma anche e soprattutto per il comportamento non collaborativo delle banche che, secondo un'autorevole opinione, sarebbero così chiamate a svolgere un'attività formativa da compiersi, dovendo infatti effettuare una ricerca diretta alla ricostruzione delle diverse operazioni effettuate dal cliente fallito e, successivamente, un riepilogo delle stesse. Si tratterebbe dunque di un facere infungibile che non potrebbe ottenersi con la domanda di ingiunzione.

Tale orientamento, tuttavia, non appare condivisibile, in virtù del fatto che il curatore, quando richiede la consegna della documentazione bancaria, non propone affatto una domanda di rendiconto, bensì la semplice consegna di copie di documenti già formati e, nella maggior parte dei casi, già trasmessi al cliente. Dunque, seppur in contrasto con l'opinione diffusa, il procedimento d'ingiunzione dovrebbe risolversi in una domanda d'informazione documentale che trova fondamento non nelle regole codificate in tema di rendiconto, ma nel principio di buona fede e, il ricorso al procedimento monitorio, non dovrebbe essere ostacolato dalle opposizioni che si rinvengono nella prassi poiché, lungi dal potersi configurare un obbligo di fare da parte della banca, è ravvisabile una prestazione di dare in capo alla stessa, dunque perseguibile ex art. 633 c. p. c.

L'accesso al fascicolo fallimentare

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L'art 90 l. f., rubricato "Fascicolo della procedura", disciplina la formazione e l'accesso relativi al fascicolo fallimentare, la cui istituzione risponde all'esigenza di ordinata ricostruzione cronologica degli eventi nonché di raccolta sistematica della documentazione relativa alle diverse fasi della procedura, soddisfacendo al contempo anche l'esigenza di trasparenza delle attività fallimentari nei confronti del fallito, del comitato dei creditori, dei singoli creditori e dei terzi.

Il fascicolo fallimentare è formato dal cancelliere immediatamente dopo la pubblicazione della sentenza di fallimento e può essere istituito, ai sensi dell'art. 12 D. P. R. 123/2001, anche in modalità informatica, fermo restando che il fascicolo informatico non elimina quello cartaceo e che, ad entrambi, deve essere attribuita la stessa numerazione. Nel fascicolo fallimentare deve dunque essere contenuta tutta la documentazione giudiziale e stragiudiziale, compresa quella prodottasi in sede di istruttoria prefallimentare, afferente alla procedura soggettivamente individuata sulla base dell'imprenditore dichiarato fallito.

Alla formula aperta che determina l'ingresso nel fascicolo del fallimento di tutta la produzione documentale si oppone tuttavia una sorta di filtro che esclude dal fascicolo gli atti, i provvedimenti e i ricorsi attinenti al procedimento che, per ragioni di riservatezza, debbono essere custoditi separatamente. E' chiaro, per le funzioni da essi svolti, che gli organi fallimentari, tra cui il curatore, abbiano un libero ed incondizionato accesso al fascicolo della procedura, a differenza di quanto può invece affermarsi con riferimento agli altri soggetti interessati. Il diritto di accesso al fascicolo della procedura da parte degli organi fallimentari è dunque un diritto pieno e che a differenza, ad esempio, di quanto può affermarsi per il comitato dei creditori, riguarda indistintamente tutta la documentazione depositata in cancelleria, senza che rilevi la segretazione per motivi di riservatezza disposta dal giudice delegato e che comporta la custodia di alcuni atti, provvedimenti e ricorsi, separatamente rispetto al fascicolo

L'accesso alle banche dati

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Tra i poteri di acquisizione informativa riconosciuti al curatore fallimentare, rilevante importanza è senz'altro rivestita dal diritto di avere accesso alle banche dati al fine di procedere alla ricostruzione dell'attivo e del passivo fallimentare. L'art. 155 sexies disp. att. c. p c., introdotto dall'art. 19, co. 2, lett. a) d. l. 132/14, convertito con modificazioni dalla l. 162/2014, dispone infatti che la disciplina in materia di ricerca con modalità telematica dei beni da pignorare si applica anche per la ricostruzione dell'attivo e del passivo nell'ambito delle procedure concorsuali, previa autorizzazione del giudice del procedimento.

Per poter analizzare tale potere riconosciuto al curatore, occorre coordinare l'art. 155 sexies disp. att. c. p. c. innanzitutto con l'art. 492 bis c. p. c., in forza del quale l'ufficiale giudiziario, al fine di procedere all'individuazione dei beni da pignorare può, previa autorizzazione del presidente del tribunale, "accedere mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti".

L'articolo in commento deve essere inoltre coordinato con gli artt. 155 quater e 155 quinquies disp. att. c. p. c.: il primo stabilisce che le pubbliche amministrazioni che gestiscono banche dati contenenti informazioni utili ai fini della ricerca ex art. 492 bis c. p. c. debbano mettere a disposizione degli ufficiali giudiziari gli accessi su richiesta del Ministro della giustizia; il secondo che quando le strutture tecnologiche necessarie a consentire l'accesso alle banche dati di cui all'articolo 492 bis non sono funzionanti è possibile, previa autorizzazione del presidente del tribunale, ottenere dai gestori delle banche dati le informazioni nelle stesse contenute. La richiesta di autorizzazione ex art 155 sexies disp. att. c. p. c. può essere effettuata ovviamente solo dal curatore, in qualità di rappresentante della massa dei creditori, e deve essere indirizzata direttamente alla sezione fallimentare del Tribunale che ha dichiarato il fallimento, sempre che tale autorizzazione non sia stata concessa direttamente nella sentenza di fallimento; ove l'autorizzazione sia rilasciata, l'accesso alle banche dati è gratuito per il curatore.

(segue) Anagrafe tributaria e banche dati di enti previdenziali

Per quanto concerne le banche dati comprese nell'anagrafica tributaria e nell'archivio dei rapporti finanziari, la richiesta di accesso va inoltrata dal curatore alla Direzione Regionale dell'Agenzia delle Entrate dove ha sede il Tribunale che ha concesso l'autorizzazione. L'Agenzia delle Entrate, salvo espressa diversa richiesta, effettua la ricerca sull'ultimo quinquennio e comunica i risultati della visura dell'Anagrafe dei rapporti finanziari anche in caso di esito negativo. Le informazioni che possono essere fornite dall'Agenzia delle Entrate a seguito di specifica richiesta di accesso sono:

  • ultima dichiarazione dei redditi presentata dal debitore ad esclusione dei quadri contenenti dati sensibili, compresi eventuali quadri Iva;
  • certificazione dei redditi percepiti dal debitore come risultanti dalle dichiarazioni presentate dai sostituti d'imposta;
  • elenco degli atti del registro registrati nell'ultimo quinquennio, salvo espressa richiesta di un periodo più ampio e comunque non oltre il 1986;
  • elenco (ultima annualità disponibile alla data dell'accesso) degli istituti di credito e degli altri intermediari finanziari con i quali il debitore intrattiene rapporti finanziari e natura dei rapporti finanziari intrattenuti. Su quest'ultimo punto, l'Agenzia delle Entrate ha già tenuto a precisare che nell'archivio dei rapporti finanziari non sono presenti dati relativi a saldi, giacenza media o singoli movimenti.

L'Agenzia delle Entrate non fornisce invece le informazioni relative alla proprietà di auto o natanti del soggetto debitore, da acquisire mediante visura al Pubblico Registro Automobilistico e informazioni ipotecarie e catastali relative agli immobili, da acquisire mediante consultazione dei registri degli Uffici Provinciali. Per quanto riguarda invece l'accesso alle banche dati di enti previdenziali, la richiesta di accesso, sempre previa autorizzazione, deve essere inoltrata all'ente in possesso delle informazioni necessarie ed è diretta ad acquisire conoscenza circa eventuali posizioni pensionistiche riguardanti il fallito e all'esistenza di rapporti di lavoro dipendente con datori di lavoro pubblici o privati.

Informazioni da richiedere ai vari enti pubblici

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Al fine di effettuare una completa ricognizione di tutte le situazioni giuridiche attive e passive facenti capo al fallito e procedere ad una esatta ricostruzione della massa fallimentare, il curatore, entro trenta giorni dalla dichiarazione di fallimento, deve richiedere:
- al Centro per l'impiego territorialmente competente le informazioni sulla identità dell'attuale datore di lavoro degli eventuali (ex) dipendenti della società fallita, fornendo tutti i dati relativi agli stessi;
- le informazioni relative al fallito ai seguenti enti pubblici: Agenzia delle Entrate, INPS, Agente concessionario per la Riscossione dei Tributi, INAIL, ACI e altri enti pubblici a giudizio del curatore;
- alla Banca d'Italia le informazioni desumibili dall'archivio informatizzato degli assegni bancari, postali e delle carte di pagamento, nonché la posizione globale dei rischi creditizi relativa ai due anni precedenti alla data della sentenza dichiarativa di fallimento.

I poteri di acquisizione informativa del curatore nella nuova disciplina della crisi d'impresa

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Dopo un lunghissimo iter che lo ha visto protagonista, è finalmente approdato sulla Gazzetta Ufficiale il D. lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 con cui il Governo in carica ha dato esecuzione alla legge delega n. 155 del 2017 per la riforma delle procedure concorsuali, dando vita al "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza".

Tale intervento legislativo può considerarsi una vera e propria "rivoluzione copernicana" per il nostro ordinamento, in quanto rappresenta un vistoso punto di rottura rispetto all'esperienza normativa precedente, caratterizzata da un elevato grado di frammentarietà ed incertezza. La scelta del legislatore è stata infatti orientata alla riunione delle nuove disposizioni all'interno di un unico codice in virtù dell'importanza e della vastità delle materie trattate. Non si tratta, quindi, come detto, di una mera rivisitazione della legge fallimentare, ma di un intervento organico che va ben aldilà di quanto il legislatore fino ad oggi aveva fatto o aveva cercato di fare per aggiornare e tenere al passo con la realtà dei mercati e del mondo imprenditoriale la vecchia legge fallimentare la quale, peraltro, continuerà a trovare piena applicazione fino all'entrata in vigore della nuova normativa, prevista per il 15 agosto 2020.

Le origini della riforma in parola sono rappresentate dalla costituzione, nella scorsa legislatura, di una commissione nominata dal Ministro della Giustizia e presieduta da Renato Rordorf, alla quale venne attribuito il compito di analizzare organicamente il complesso delle normative in tema di procedure concorsuali e di crisi d'impresa, per monitorarne gli effetti e valutare la necessità di ulteriori eventuali interventi di riordino, tenuto conto di tutte le proposte e dei disegni di legge all'esame del Parlamento, oltre che dei contributi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

La nuova disciplina, almeno negli intenti, si pone come obiettivo quello di rendere residuale, in linea con le esperienze legislative degli altri Paesi europei, la liquidazione dell'impresa, per lasciare spazio a strumenti più efficienti ed efficaci di emersione della crisi, più idonei a semplificare le procedure esistenti e che, allo stesso tempo, siano più funzionali a consentire la continuità dell'impresa nell'ottica di una rafforzata tutela dei creditori. Inoltre, la nuova legge porta con sé una modifica lessicale destinata al superamento dei termini "fallito" e "fallimento", sostituiti rispettivamente con le espressioni "debitore" e "liquidazione giudiziale", in conformità di quanto avviene in altri Paesi europei, quali la Francia e la Spagna. In questo contesto, il ruolo e i poteri del curatore sono interessati da alcune importanti modifiche, finalizzate a renderne più efficace le funzioni e, nel contempo, a garantire la massima trasparenza ed efficienza nella sua attività di gestione. Occorrerà verificare come tali modifiche incideranno sui poteri gestionali del curatore e l'entità dell'impatto che queste potranno avere nel contesto della nuova liquidazione giudiziale.

Il nuovo ruolo del curatore

Prima di procedere all'esposizione dei poteri riconosciuti dal CCII al curatore, è necessario procedere alla sua esatta collocazione all'interno della nuova procedura di liquidazione giudiziale, ed in particolare soffermarsi sul rapporto tra lo stesso e il giudice delegato. A tal proposito si rileva come gli artt. 123 e 128 CCII riproducano letteralmente gli artt. 25 e 31 l. f., così come novellati dalla riforma del 2006. Ad una prima lettura, dunque, parrebbe che nulla sia mutato rispetto al passato e che sia definitivamente tramontata la visione gerarchica del rapporto tra giudice delegato e curatore, con tale prospettiva che appare confermata anche dalla Relazione governativa. Tuttavia, così come si può notare, tra le altre, dall'analisi della nuova disciplina sulla liquidazione dei beni, il CCII, in alcuni settori, ha ridotto l'autonomia del curatore in favore di una riconquistata centralità nella procedura del giudice delegato, i cui poteri vengono ad assomigliare a quelli che egli aveva prima della riforma del 2006.

In questi termini si esprime la stessa Relazione governativa, osservando che "il giudice delegato, nella prospettiva della riforma, è destinato a riacquistare, dunque, un ruolo centrale poiché a lui è affidata la determinazione delle modalità di liquidazione dei beni, attualmente rimessa alle scelte del curatore". Parte della dottrina, proprio in virtù dell'impostazione del CCII, ritiene infatti che la ratio della nuova disciplina sia quella di attribuire nuovamente al giudice delegato un pieno controllo della crisi d'impresa. Non si può tuttavia negare come, i nuovi poteri di cui è investito il curatore, specie in materia di acquisizione informativa, siano di notevole spessore, soprattutto per le conseguenze che ne derivano. Di seguito, si procede all'analisi di tali poteri riconosciuti al curatore, con un occhio di riguardo agli elementi di continuità e discontinuità rispetto alla legge fallimentare.

L'audizione del debitore

Tra i poteri di acquisizione informativa riconosciuti al curatore, il CCII annovera il potere di procedere all'audizione del debitore, degli amministratori e dei liquidatori della società o dell'ente nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale. L'art 149 co. 2 CCII, rubricato "Obblighi del debitore", stabilisce infatti che "se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al comma 1 devono presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori". L'art. 149 CCII riprende testualmente l'art 49 l. f., con l'unica modifica data dalla sostituzione del termine "fallito" con "debitore". Come si può agevolmente notare, le modifiche apportate sono davvero marginali e, in fondo, così doveva essere, dato che nella legge delega non vi erano precise indicazioni per fare altrimenti. In sostanza, all'art. 49 l. f., così come agli altri articoli che disciplinano gli effetti del fallimento (oggi liquidazione giudiziale) per il fallito (oggi debitore), non sono state apportate regole nuove ed è stata data attuazione all'unico principio direttivo utilizzabile e contenuto nell'art. 2, lett. m), ossia quello di "riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i principi stabiliti dalla presente legge". Se, infatti, si scorrono in simmetria gli artt. 42 - 49 l. f. e gli artt. 142-149 CCII, ci si avvede che le varianti sono solo di rilievo semantico, con la sostituzione, non nel solo art. 149 CCII, della liquidazione giudiziale al fallimento e del debitore al fallito.

Dunque, anche nel nuovo impianto normativo, in seguito all'apertura della procedura di liquidazione giudiziale, il curatore dovrà procedere al più presto alla convocazione del debitore (nel caso di impresa individuale), di tutti i soci debitori (nel caso di società di persone) o dei legali rappresentanti (nel caso di società di capitali), potendovi richiedere qualsiasi informazione o chiarimento utile ai fini della gestione della procedura, senza particolari limiti al contenuto delle richieste da effettuare.

Anche per quanto riguarda le modalità da utilizzare per la convocazione, nonché per lo svolgimento dell'audizione, non si scorgono nella nuova disciplina delle novità rispetto a quelle già viste nel precedente capitolo. Inoltre, così come previsto dall'art. 49 l. f., anche l'art. 149 CCII, al co. 3, attribuisce al giudice la possibilità di autorizzare il debitore, gli amministratori o i liquidatori della società o dell'ente nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale, di comparire per mezzo di un procuratore in caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo. Nell'art. 149 CCII non è prevista la possibilità di accompagnamento coattivo ma, così come previsto dalla legge fallimentare, la violazione dell'obbligo di comparizione trova la sua sanzione nella valutazione di tale condotta ai fini dell'esdebitazione , la cui disciplina, precedentemente contenuta nell'art. 142 l. f., è contemplata nel nuovo impianto normativo dagli artt. 278 - 283 CCII che, oltre a prevedere nuove ipotesi in cui può essere accordata, amplia anche la categoria dei soggetti legittimati che potranno beneficiarne, ricomprendendovi anche le persone giuridiche.

L'acquisizione documentale

Il potere di acquisizione documentale, già riconosciuto dall'art. 86 l. f., è previsto ed attribuito al curatore anche nel nuovo CCII. L'art. 194 CCII, rubricato "Consegna del denaro, titoli, scritture contabili e di altra documentazione", riprendendo quasi testualmente l'art. 86 l. f., dispone infatti che "Devono essere consegnati al curatore: a) il denaro contante; b) le cambiali e gli altri titoli, compresi quelli scaduti; c) le scritture contabili e ogni altra documentazione dal medesimo richiesta, se non ancora depositate in cancelleria. Il denaro è dal curatore depositato sul conto corrente della procedura. I titoli e gli altri documenti sono custoditi personalmente dal curatore o, con autorizzazione del giudice delegato, affidati in custodia a terzi. Ogni interessato, se autorizzato dal curatore, può, a sue spese, esaminare le scritture contabili e gli altri documenti acquisiti dallo stesso curatore, ed estrarne copia". Tale potere riconosciuto al curatore riveste anche nella nuova disciplina un'importanza fondamentale, in quanto è proprio sulla base di tale documentazione acquisita che il curatore dovrà compilare, ai sensi dell'art. 198 CCII, l'elenco dei creditori e di coloro i quali siano titolari di diritti sui beni del debitore. Così come previsto dalla legge fallimentare, anche il CCII prescrive che i documenti di cui all'art. 194 co. 1 dovranno essere consegnati dal debitore al curatore solo ove questo non vi abbia già provveduto mediante precedente deposito in cancelleria.

La disciplina precedente, di cui all'art. 14 l. f., imponeva al debitore che richiedesse il proprio fallimento di depositare in cancelleria un'articolata documentazione, tale da consentire al curatore un'esatta ricostruzione della massa patrimoniale oggetto della procedura concorsuale. La disposizione dell'art. 14 l. f. viene nella nuova disciplina trasposta ed ampliata nell'art. 39 CCII, che non circoscrive tale obbligo al solo debitore che richieda l'apertura della liquidazione giudiziale, ma lo estende al debitore che richieda l'accesso ad una qualsiasi procedura regolatrice della crisi o dell'insolvenza.

Tale previsione risponde infatti all'intento del legislatore di introdurre un procedimento unitario per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza, prodromico alla stipulazione di un accordo di ristrutturazione, alla formulazione di una proposta di concordato preventivo o all'apertura di una procedura di liquidazione giudiziale. Scopo annunciato del legislatore, attraverso tale uniformazione, è infatti quello di rendere omogenee le regole procedurali finalizzate all'accertamento giudiziale della crisi o dell'insolvenza ed evitare il sovrapporsi e la duplicazione delle diverse procedure, fermo restando la necessità di un coordinamento tra le norme generali e quelle specifiche per ciascuna tipologia di procedura.

L'art. 39 CCII, rubricato "Obblighi del debitore che chiede l'accesso a una procedura regolatrice della crisi o dell'insolvenza", stabilisce che "Il debitore che chiede l'accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza deposita presso il tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l'intera esistenza dell'impresa o dell'attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi. Deve inoltre depositare, anche in formato digitale, una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività, l'elenco nominativo dei creditori e l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, l'elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l'indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto, un'idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi. Il debitore deve depositare una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore.

Quando la domanda ha ad oggetto l'assegnazione dei termini di cui all'articolo 44, comma 1, lettera a), il debitore deposita unitamente alla domanda unicamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi o, per le imprese non soggette all'obbligo di redazione del bilancio, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi precedenti, l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione. L'ulteriore documentazione prevista dai commi 1 e 2 deve essere depositata nel termine assegnato dal tribunale ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera a) ". Rispetto al passato viene dunque notevolmente ampliato il novero dei documenti che dovranno essere consegnati dal debitore, coerentemente all'intenzione del legislatore di mirare all'interscambiabilità degli esiti del procedimento in base a quella che sarà l'effettiva situazione debitoria. Come si legge nella Relazione governativa, infatti, il procedimento sarà suscettibile di diversi possibili esiti, a seconda del tipo di provvedimento richiesto al giudice e dell'accertamento positivo o negativo della sussistenza delle relative condizioni. Appare coerente con questa logica il prevedere che un iniziale percorso concordatario, ove rivelatosi impraticabile, possa convertirsi automaticamente in un esito liquidatorio senza necessità di una nuova domanda, e dunque con un risparmio di tempi e di costi, poiché l'iniziale domanda di regolazione della crisi sussume in sé tutti i prevedibili esiti del percorso giudiziale.

La mancata consegna della documentazione e la segnalazione al Pubblico Ministero

Una delle novità più importanti introdotte dal CCII è l'espressa previsione dell'obbligo, in capo al curatore, di informare il Pubblico Ministero nel caso, tra gli altri, di mancata consegna delle scritture contabili. L'art. 130 co. 2 CCII prevede infatti che "Se il debitore o gli amministratori non ottemperano agli obblighi di deposito di cui all'articolo 49, comma 3, lettera c), il curatore informa senza indugio il pubblico ministero. In tal caso o quando le scritture contabili sono incomplete o comunque risultano inattendibili, il curatore, con riguardo alle operazioni compiute dal debitore nei cinque anni anteriori alla presentazione della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, oltre alle ricerche effettuate ai sensi dell'articolo 49, comma 3, lettera f), può chiedere al giudice delegato di essere autorizzato ad accedere a banche dati, ulteriori rispetto a quelle di cui all'articolo 49 e specificamente indicate nell'istanza di autorizzazione". Rimandando la dettagliata analisi della nuova disciplina in materia di accesso alle banche dati da parte del curatore, in questa sede è necessario osservare come l'art. 49 co. 3 lettera c) CCII prevede che, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, il tribunale "ordina al debitore il deposito entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale nei casi in cui la documentazione è tenuta a norma dell'articolo 2215 -bis del codice civile, nonché dell'elenco dei creditori, se già non eseguito a norma dell'articolo 39".

L'art. 49 co. 3 lettera c) CCII deve dunque essere coordinato con l'art. 194 CCII, fissando il termine per il deposito dei bilanci, delle scritture contabili e fiscali obbligatori e dell'elenco dei creditori entro tre giorni, decorrenti dalla pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. L'art. 130 co. 2 consolida dunque una prassi consolidata, analizzata nel precedente capitolo, volta a garantire la collaborazione tra curatore e Pubblico Ministero ove, nel corso della procedura, emergano elementi da cui possa desumersi la presenza di reati.

Dunque, in caso di mancata consegna, il curatore dovrà segnalare l'omissione al Pubblico Ministero, nonché le attività svolte per rintracciarle, le ricerche che sono state esperite e le risposte che sono state fornite dall'imprenditore, dai suoi dipendenti o dai suoi professionisti. Qualora la documentazione manchi perché non è stato trovato nessuno in grado di fornirla, il curatore dovrà invece riferire gli eventuali dati raccolti, nonché le informazioni relative a coloro i quali potrebbero essere in possesso di informazioni relative al rintracciamento dell'imprenditore e della documentazione.

In caso di scritture contabili incomplete, occorrerà predisporre un elenco dettagliato degli elementi che fanno difetto, in quanto l'importanza degli stessi varia a seconda del tipo di attività svolta dal debitore. In caso di contabilità inattendibile, occorrerà invece segnalare tutte le anomalie riscontate, concentrandosi su quelle sostanziali, ossia quelle che, a prescindere se rispettino o meno la normativa specifica e i principi contabili, inducano il sospetto di una tenuta fraudolenta della contabilità. Quindi, in presenza di una delle ipotesi contemplate dall'art. 130 co. 2 CCII, oltre alle ricerche effettuate ai sensi dell'art. 49 co. 3 lettera f) , di cui si parlerà successivamente, il curatore potrà richiedere al giudice delegato di essere autorizzato ad accedere ad ulteriori banche dati, al fine di reperire la documentazione idonea a ricostruire la situazione economica e finanziaria dell'impresa acquisendo tutti le informazioni, i dati ed i documenti indicati nella norma.

(segue) Le relazioni al Pubblico Ministero

L'obbligo di segnalazione del curatore nei confronti del Pubblico Ministero previsto nel caso di consegna mancante, incompleta o inattendibile delle scritture contabili, si inserisce all'interno di un nuovo panorama caratterizzato da un maggiore scambio di informazioni tra gli stessi e delineato dall'art. 130 CCII. Oltre alla previsione di cui al secondo comma, infatti, l'art. 130 CCII prevede che il curatore dovrà predisporre al giudice delegato e trasmettere al Pubblico Ministero non più una relazione, bensì due, distanziate nel tempo, al fine di favorire il più possibile le indagini penali e riportare le notizie acquisite in relazione agli accertamenti compiuti, agli elementi informativi acquisiti circa le cause dell'insolvenza e le relative responsabilità del debitore, ovvero, degli organi amministrativi e di controllo della società insolvente.

Tali relazioni, ai sensi dell'art. 130 co. 7 CCII, dovranno essere trasmesse al Pubblico Ministero, in copia integrale, entro i cinque giorni successivi al deposito in cancelleria. Più nello specifico, l'art. 130 CCII al comma 1 dispone che "Il curatore, entro trenta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, presenta al giudice delegato un'informativa sugli accertamenti compiuti e sugli elementi informativi acquisiti relativi alle cause dell'insolvenza e alla responsabilità del debitore ovvero degli amministratori e degli organi di controllo della società"; al comma 4 che "Il curatore, entro sessanta giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, presenta al giudice delegato una relazione particolareggiata in ordine al tempo e alle cause dell'insorgere della crisi e del manifestarsi dell'insolvenza del debitore, sulla diligenza spiegata dal debitore nell'esercizio dell'impresa, sulla responsabilità del debitore o di altri e su quanto può interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale"; al comma 5 che "Se il debitore insolvente è una società o altro ente, la relazione espone i fatti accertati e le informazioni raccolte sulla responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo, dei soci e, eventualmente, di estranei alla società. Se la società o l'ente fa parte di un gruppo, il curatore deve altresì riferire sulla natura dei rapporti con le altre società o enti e allegare le informazioni raccolte sulle rispettive responsabilità, avuto riguardo agli effetti dei rapporti economici e contrattuali con le altre imprese del gruppo".

A chiusura di tali disposizioni vi è il sopra citato art. 130 co. 7, secondo il quale "Le relazioni di cui ai commi 1, 4 e 5 sono trasmesse in copia integrale entro cinque giorni dal deposito al pubblico ministero". In realtà, l'obbligo di una doppia relazione rappresenta la regolamentazione di una prassi consolidata da lungo tempo tra i curatori, i quali, al termine delle operazioni d'inventario e della verifica del passivo, laddove la complessità della procedura lo richieda, depositano una seconda relazione ex art. 33 l. f., più dettagliata ed integrativa della prima, sia in conseguenza delle indagini svolte ex artt. 155 quater, quinquies e sexies disp. att. c.p.c., sia in forza dell'acquisizione di notizie e/o documenti allegati alle istanze di ammissione al passivo ovvero reperiti in fase di inventario.

(segue) La c. d. informativa

La prima relazione che, ai sensi dell'art. 130 co. 1 CCII dovrà essere trasmessa dal curatore al giudice delegato e al Pubblico Ministero è la cosiddetta "informativa", ovvero una relazione contenente tutte le informazioni circa gli accertamenti compiuti, di quanto è stato accertato sulle cause dell'insolvenza nonché sull'eventuale responsabilità del debitore, degli amministratori o degli organi di controllo. Tale informativa dovrà essere presentata al giudice delegato entro i trenta giorni successivi all'apertura della procedura e trasmessa al Pubblico Ministero entro i cinque giorni successivi al deposito. Come può agevolmente intuirsi, funzione dell'informativa, in linea di continuità con l'art. 33 co. 2 l. f., che attribuisce al giudice delegato la possibilità di richiedere al curatore una relazione sommaria anche prima della scadenza dei termini previsti, sarà quello di individuare sin da subito, seppur in maniera sommaria, le cause dell'insolvenza, nonché i soggetti responsabili di averla causata.

A differenza del passato, tuttavia, il novero di informazioni cui avrà accesso il curatore per predisporre tale relazione sarà sicuramente più ampio, grazie alla possibilità di accedere alle risultanze dell'istruttoria ex art. 42 CCII, di cui si tratterà successivamente.

L'obbligo di redigere l'informativa rischia però di tradursi in un adempimento meramente formale, di scarsa utilità anche per il Pubblico Ministero, in quanto anche la stessa Relazione governativa qualifica tale documento come necessariamente parziale: i trenta giorni previsti dall'art. 130 co. 1 CCII, infatti, sono del tutto insufficienti per assumere informazioni di rilievo e a ricostruire, sia pure in via preliminare, le cause dell'insolvenza, nonché ad individuare profili di responsabilità penale e civile; i tempi tecnici per accedere alle banche dati ex art. 49 CCII, per procedere all'audizione del debitore ex art. 149 CCII, per esaminare la documentazione contabile e sociale reperita e per ricostruire le vicende che hanno generato lo stato di crisi sono certamente superiori a trenta giorni.

In ogni caso, il curatore avrà comunque l'obbligo di segnalare immediatamente al Pubblico ministero eventuali notizie di rilevanza penale, anche prima dei trenta giorni previsti dall'art. 130 co.1 CCII.

(segue) La relazione particolareggiata

L'ulteriore relazione, già prevista dall'art. 33 co. 1 l. f. e che il curatore dovrà presentare al giudice delegato e trasmettere, ai sensi dell'art. 130 co. 7, al Pubblico Ministero, entro i cinque giorni successivi al deposito, è la relazione particolareggiata di cui all'art. 130 co. 4 e 5 CCII. 4. L'art. 130 CCII al co. 4 dispone infatti che "Il curatore, entro sessanta giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, presenta al giudice delegato una relazione particolareggiata in ordine al tempo e alle cause dell'insorgere della crisi e del manifestarsi dell'insolvenza del debitore, sulla diligenza spiegata dal debitore nell'esercizio dell'impresa, sulla responsabilità del debitore o di altri e su quanto può interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale", al co. 5 che "Se il debitore insolvente è una società o altro ente, la relazione espone i fatti accertati e le informazioni raccolte sulla responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo, dei soci e, eventualmente, di estranei alla società.

Se la società o l'ente fa parte di un gruppo, il curatore deve altresì riferire sulla natura dei rapporti con le altre società o enti e allegare le informazioni raccolte sulle rispettive responsabilità, avuto riguardo agli effetti dei rapporti economici e contrattuali con le altre imprese del gruppo". Tale relazione particolareggiata dovrà dunque essere presentata al giudice delegato e successivamente trasmessa al Pubblico Ministero, entro sessanta giorni decorrenti non più dalla dichiarazione di fallimento, bensì dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo; nel caso in cui, invece, non si faccia luogo all'accertamento del passivo, ai sensi dell'art. 130 co. 6 CCII, il termine per la presentazione della stessa sarà di centottanta giorni, decorrenti dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.

In questa relazione dunque il curatore dovrà riferire in modo dettagliato in ordine alla sussistenza della responsabilità del debitore o di terzi, evidenziando tutti gli elementi informativi acquisiti e rilevanti ai fini delle indagini preliminari in sede penale e, laddove il debitore sia costituito in forma societaria, il curatore dovrà altresì riferire di eventuali profili di responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo; inoltre se l'impresa fallita appartiene ad un gruppo, il curatore dovrà prendere in esame la natura dei rapporti infragruppo e la sussistenza di eventuali responsabilità di società del gruppo in relazione alla natura dei rapporti economici e contrattuali con le altre imprese del gruppo . La relazione particolareggiata, che sarà trasmessa in copia integrale al Pubblico Ministero, sarà indispensabile per lo stesso al fine di svolgere le indagini di sua competenza verificando, ad esempio, se siano state poste in essere operazioni tali da alterare il patrimonio aziendale o societario, se gli organi sociali abbiano esposto in relazioni o in altre comunicazioni dati non corrispondenti al vero, se siano stati distribuiti utili non conseguiti o riserve e se siano state poste in essere operazioni sospette tra società appartenenti allo stesso gruppo.

(segue) L'estensione della liquidazione giudiziale ai soci illimitatamente responsabili

Una delle altre novità introdotte dal CCII riguarda la possibilità per il Pubblico Ministero di richiedere l'estensione della liquidazione giudiziale con riferimento ad altri soci illimitatamente responsabili individuati successivamente. Tale possibilità, preclusa dall'art. 147 co. 4 l. f., è invece prevista dalla nuova disciplina ove, in seguito alle relazioni depositate dal curatore o alle indagini svolte, il Pubblico Ministero individui dei soci occulti, rimasti inizialmente estranei alla procedura. Ai sensi dell'art. 256 co. 4 CCII infatti "Se dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio nei confronti del quale la procedura è già stata aperta o del pubblico ministero, dispone l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti dei medesimi. L'istanza può essere proposta anche dai soci e dai loro creditori personali". Tale possibilità, che dovrà maneggiarsi con cura e nel rispetto dei diritti dei terzi, apre scenari completamente nuovi, valorizzando i poteri investigativi del curatore e i profili penali da questi derivanti, la valenza del contenuto delle relazioni ex art. 130 CCII e, soprattutto, la previsione di trasmissione al Pubblico Ministero, la cui collaborazione con il curatore, nella nuova disciplina, risulta in definitiva rafforzata.

La corrispondenza diretta al debitore

Per quel che concerne la consegna della corrispondenza al fallito, all'interno del CCII non si notano particolari differenze rispetto alla disciplina contenuta nella legge fallimentare. Tale obbligo del debitore è contemplato dall'art. 148 CCII, rubricato "Corrispondenza diretta al debitore", il quale stabilisce che "Il debitore persona fisica, è tenuto a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nella liquidazione giudiziale. La corrispondenza diretta al debitore che non è una persona fisica è consegnata al curatore". Confrontando tale enunciato con quello dell'art. 48 l. f., il quale dispone che "Il fallito persona fisica è tenuto a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, compresa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento. La corrispondenza diretta al fallito che non sia persona fisica è consegnata al curatore", possiamo notare che, così come osservato con riferimento all'audizione del debitore, le uniche novità riguardano la sostituzione dei termini "fallimento" e "fallito", rispettivamente, con "liquidazione giudiziale" e "debitore".

Anche nella nuova disciplina, dunque, l'obiettivo del legislatore è quello di contemperare il diritto alla riservatezza del debitore con le esigenze del curatore di avere cognizione di tutto ciò che attiene all'attività economica svolta. Viene quindi riproposta la distinzione tra il debitore persona fisica, il quale conserva il diritto di essere destinatario della corrispondenza che lo riguarda, salvo l'obbligo di consegnare al curatore tutto ciò che concerne i rapporti compresi nella liquidazione (e quindi tutta la corrispondenza commerciale), e il debitore diverso dalla persona fisica, la cui corrispondenza deve essere recapitata direttamente al curatore o comunque a lui consegnata, non potendo infatti questo essere destinatario di corrispondenza di natura personale. Anche nel nuovo impianto normativo, la mancata consegna della corrispondenza da parte del debitore, così come la sua mancata audizione, potrà essere valutata ai fini della concessione dell'esdebitazione, menzionando infatti l'art. 280 co. 3 CCII, tra le condizioni ostative alla stessa, l'aver ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura e il non aver fornito agli organi ad essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento.

L'accesso al fascicolo della liquidazione giudiziale

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Seppur con l'introduzione di alcune novità, l'impianto di fondo della disciplina introdotta dal CCII in materia di accesso al fascicolo della procedura è simile a quella delineata dall'art. 90 l. f. L'art. 199 CCII, rubricato "Fascicolo della procedura", stabilisce infatti che "Con la pubblicazione della sentenza di liquidazione giudiziale viene assegnato il domicilio digitale e viene formato il fascicolo informatico della procedura, nel quale devono essere contenuti tutti gli atti, i provvedimenti e i ricorsi attinenti al procedimento, opportunamente suddivisi in sezioni, esclusi quelli che, per ragioni di riservatezza, debbono essere custoditi nel fascicolo riservato. I componenti del comitato dei creditori e il debitore possono prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti inseriti nel fascicolo, fatta eccezione per quelli di cui il giudice delegato ha ordinato la secretazione. Gli altri creditori ed i terzi hanno diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti e dei documenti per i quali sussiste un loro specifico ed attuale interesse, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il curatore.

I creditori possono prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, degli atti, dei documenti e dei provvedimenti del procedimento di accertamento del passivo e dei diritti dei terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale". Nulla cambia per quanto riguarda la possibilità del curatore di accedere al fascicolo della procedura, che resta così impregiudicato; tuttavia dal confronto con l'art. 90 l. f. si coglie immediatamente come la riforma, oltre a sostituire l'obsoleto riferimento al fallimento con quello alla liquidazione giudiziale, abbia adattato l'enunciato all'applicazione dell'informatica alla procedura.

Innanzitutto viene soppressa la previsione del fascicolo nei due formati, cartaceo e digitale, conservando solo il secondo e modificando fortemente le prassi applicative, considerando che il formato del fascicolo incide sulle concrete modalità di gestione dell'accesso agli atti che, dunque, potrà avvenire solo per via telematica. In secondo luogo, strettamente legata alla circostanza che la conservazione dei documenti avverrà soltanto in formato informatico, è la previsione in forza della quale gli atti e i documenti secretati saranno custoditi sempre separatamente, ma non più in un altro luogo fisico, bensì nel fascicolo informatico riservato, a conferma del fatto che questi appartengono comunque al fascicolo della procedura. Ulteriori novità riguardano l'equiparazione del debitore al comitato dei creditori in materia di accesso al fascicolo, la precisazione che i costi relativi allo stesso saranno a carico dei richiedenti nonché la mancanza della necessita di autorizzazione per i creditori.

L'accesso alle banche dati

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Senza ombra di dubbio, la novità più importante introdotta dal CCII in materia di poteri di acquisizione informativa del curatore riguarda la modifica della disciplina concernente l'accesso alle banche dati. L'art. 49 CCII, rubricato "Dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale", al comma 3 lettera f) prevede infatti che, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, il tribunale autorizzerà il curatore ad accedere a titolo gratuito, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c. p. c. alle banche dati dell'anagrafe tributaria e degli atti sottoposti ad imposta di registro, all'archivio dei rapporti finanziari, ad acquisire l'elenco dei clienti e dei fornitori trasmessi periodicamente al fisco, nonché ad acquisire la documentazione contabile, bancaria e finanziaria inerenti i rapporti con l'impresa insolvente.

Il potere accertativo sancito dall'art. 49 co. 3 lettera f) CCII, come visto precedentemente, è già previsto dall'art. 155 sexies disp. att. c. p. c. e da tempo utilizzato dai curatori; attualmente, tuttavia, i curatori per ogni singolo accesso e/o accertamento da svolgere, devono ottenere specifica ed espressa autorizzazione del giudice delegato, nonché anticiparne i relativi costi in caso di assenza di fondi, salvo essere rimborsati dall'Erario in caso di liquidazione del compenso ex art. 146 d. p. r. 115/2002 .

La portata innovativa dell'art. 49 co. 3 lettera f) CCII è dunque da ravvisarsi nella particolare configurazione dell'autorizzazione la quale, ad eccezione di talune ipotesi, verrà conferita non più nel corso della procedura dal giudice delegato su apposita istanza del curatore, bensì in via generale ed astratta dal collegio del Tribunale, contestualmente all'apertura della liquidazione giudiziale e alla nomina del curatore. In tal modo sarà dunque facilitata l'attività accertativa del curatore, il quale potrà immediatamente accedere alle banche dati citate trasmettendo agli uffici competenti una semplice richiesta con allegata copia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale.

Attraverso questa scelta il legislatore ha attribuito al curatore poteri non solo inediti rispetto alla precedente figura del curatore fallimentare, ma addirittura superiori a quelli di cui dispone il consulente tecnico del Pubblico Ministero il quale, nel caso in cui ritenga di dover intraprendere tale attività investigativa, deve essere prima autorizzato all'accesso in sede di conferimento dell'incarico o successivamente a fronte di specifica istanza e, in caso di diniego degli uffici destinatari della richiesta, deve avvalersi dell'ausilio della polizia giudiziaria che, a sua volta, deve munirsi di un ordine di esibizione di documenti rilasciato dal Pubblico Ministero . Allo stesso tempo, però, l'autorizzazione ex art. 49 co. 3 lettera f) CCII circoscriverà e puntualizzerà l'attività del curatore, poiché tale potere investigativo non sarà più il frutto di una sua scelta discrezionale e diligente, ma costituirà il preciso adempimento di un obbligo stabilito dalla legge e previsto al fine di garantire la miglior ricostruzione possibile del patrimonio del debitore, di elaborare la relazione particolareggiata ex art. 130 CCII e di ricostruire gli elementi e le vicende del passato potenzialmente strumentali all'esercizio di azioni di responsabilità penali e civili nei confronti del debitore e/o degli organi amministrativi di controllo delle società insolventi.

Art. 49 comma 3 lettera f) n. 1

Ai sensi dell'art. 49 co. 3 lettera f) n. 1 CCII il tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale autorizza il curatore, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c. p. c. "ad accedere alla banche dati dell'anagrafe tributaria e dell'archivio dei rapporti finanziari". Tale previsione attribuirà al curatore la possibilità di accedere all'anagrafe tributaria ovvero alla banca dati contenente tutti gli elementi utili al fisco per monitorare i contribuenti italiani. L'anagrafe tributaria possiede oggi la maggior parte delle informazioni relativi a prestiti, mutui, finanziamenti, bonifici bancari, assegni ecc. L'obbligo, per gli operatori finanziari, di comunicare all'anagrafe tributaria le informazioni relative ai saldi e alle movimentazioni dei rapporti attivi dei contribuenti italiani è stato introdotto dal d. l. 201/2011 e, la comunicazione al fisco di tali dati, avviene attraverso il SID (Sistema Interscambio Dati). Banche, Poste Italiane ed altri operatori finanziari (tra cui consorzi, cooperative di garanzia collettiva dei fidi, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio, società di gestione del risparmio, società fiduciarie, società ed enti di assicurazione) inviano periodicamente e telematicamente all'Anagrafe tributaria i dati di natura qualitativa e quantitativa dei loro clienti italiani, i dati relativi ai rapporti finanziari e quelli relativi alle operazioni effettuate direttamente allo sportello bancario attraverso assegni circolari o contanti.

Con periodicità annuale, invece, gli operatori finanziari comunicano i dati relativi ai saldi dei rapporti con distinta indicazione delle movimentazioni in dare e avere, nonché la giacenza media annua. Per particolari tipologie di rapporti bancari o finanziari è invece previsto l'obbligo di comunicare ulteriori dati aggiuntivi: ad esempio, per le cassette di sicurezza, la banca deve comunicare il numero totale degli accessi effettuati nell'anno dal contribuente; anche le cosiddette carte di credito o di debito ricaricabili sono oggetto di trasmissione da parte degli operatori finanziari. Tali flussi informativi, la cui disciplina attuale presenta una serie di problemi applicativi, così come regolamentati dal nuovo impianto normativo, saranno dunque di fondamentale importanza per il curatore, il quale più agevolmente potrà individuare i creditori, i loro crediti, gli altri interessati, nonché i titolari di diritti reali o personali su beni mobili e immobili del debitore.

Art. 49 comma 3 lettera f) n. 2

Ai sensi dell'art. 49 co. 3 lettera f) n. 2 CCII il tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale autorizza il curatore, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c. p. c., "ad accedere alla banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro e ad estrarre copia degli stessi". Attraverso tale previsione, il curatore potrà liberamente accedere agli atti contenuti nell'ufficio del registro, ossia quell'ufficio facente parte dell'amministrazione finanziaria dello Stato che si occupa dell'accertamento, liquidazione e riscossione di alcune tasse ed imposte indirette, quali l'imposta di registro e l'imposta di bollo, nonché della registrazione e della conservazione di tutti gli atti sottoposti a tali tributi. Tale possibilità non costituisce un'assoluta novità per il curatore il quale, nell'attuale disciplina, può effettuare tale tipologia di indagine attraverso la consultazione del cassetto fiscale e dell'archivio camerale . L'attribuzione di tale potere di acquisizione informativa costituisce un importante strumento per il curatore, soprattutto per quanto riguarda l'ottenimento di informazioni relative a contratti di locazione di immobili e relative cessioni, risoluzioni e proroghe, a contratti di trasferimento ed affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e alla costituzione e trasferimenti di diritti reali di godimento sulle stesse.

Art. 49 comma 3 lettera f) n. 3

Ai sensi dell'art. 49 co. 3 lettera f) n. 2 CCII il tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale autorizza il curatore, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c. p. c., "ad acquisire l'elenco dei clienti e l'elenco dei fornitori di cui all'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni". Tale disposizione attribuirà al curatore la possibilità di acquisire l'oramai soppresso elenco anagrafico di clienti e fornitori, ovvero l'elenco di tutti i soggetti passivi ai fini dell'Imposta sul Valore Aggiunto che hanno effettuano operazioni, rilevanti ai fini di tale imposta, con il soggetto nei cui confronti è stata aperta la procedura di liquidazione giudiziale. Dal 1 Gennaio 2019, infatti, l'obbligo di procedere alla compilazione dell'elenco dei clienti e dei fornitori è stato sostituito dall'obbligo, sicuramente più funzionale, di fatturazione elettronica. L'elenco dei clienti e dei fornitori era il documento all'interno del quale il titolare di una partita IVA annotava i clienti e i fornitori con i quali aveva effettuato operazioni imponibili nell'anno di riferimento. All'interno di tale elenco, che doveva essere trasmesso all'Agenzia delle Entrate ogni trimestre o, su opzione, ogni semestre, non dovevano essere annotate tutte le operazioni, bensì le sole transazioni per le quali fosse previsto l'obbligo di emissione di fattura a fronte di una cessione di beni o prestazione di servizi professionali, nonché le operazioni senza fattura a fronte, purché superiori ad una determinata soglia. Per ogni operazione, all'interno dell'elenco, dovevano essere indicati il numero e la data di registrazione del documento, il numero di partita IVA della controparte, la base imponibile, l'aliquota IVA applicata e l'imposta ovvero, in caso di operazione non soggetta ad annotazione dell'imposta nel documento, la tipologia dell'operazione.

Come detto, l'elenco dei clienti e dei fornitori è stato sostituito dall'obbligo di fatturazione elettronica: il curatore, così, potrà avere accesso alle informazioni prima contenute nell'elenco accedendo al cassetto fiscale dell'Agenzia delle Entrate del contribuente, potendo avere a disposizione non solo i dati che venivano precedentemente annotati nell'elenco, ma l'intera fattura, potendo prendere visione di tutti gli elementi dell'operazione economica compiuta dal debitore. I soggetti titolari di partita IVA devono invece adempiere alla compilazione e trasmissione del c. d. "esterometro", ossia l'elenco delle fatture emesse e ricevute in seguito alle operazioni intrattenute con operatori economici non stabiliti in Italia e che, in quanto tali, sono esenti dal nuovo obbligo di fatturazione elettronica. Tale potere di acquisizione informativa sarà di fondamentale importanza per il curatore, poiché solo attraverso tali informazioni sarà possibile ricostruire esattamente quelle che sono le operazioni compiute dal debitore e i soggetti con cui questo ha intrattenuto rapporti economici, al fine di ricostruire l'esatta situazione patrimoniale dello stesso.

Art. 49 comma 3 lettera f) n. 4

Ai sensi dell'art. 49 co. 3 lettera f) n. 2 CCII il tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale autorizza il curatore, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c. p. c., "ad acquisire la documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l'impresa debitrice, anche se estinti". Tale disposizione conferma quanto già di prassi acquisibile dal curatore presso banche ed altri intermediari finanziari relativamente ai rapporti con l'impresa debitrice, anche se estinti, pur tacendo sulla possibilità di acquisire le copie fronte/retro degli assegni bancari che, dal tenore letterale della norma (documentazione contabile) risulterebbero esclusi. Viene così espressamente prevista la possibilità per il curatore di accedere alla documentazione bancaria relativa al debitore, ad oggi legittimata, come visto in precedenza, dall'art. 119 co. 4 TUB. La nuova disciplina ricalca quindi la prassi corrente, con il curatore che potrà quindi richiedere a banche ed altri intermediari finanziari la documentazione contabile del debitore, ove non abbia avuto la possibilità di procurarsela direttamente dallo stesso. Banche ed altri intermediari finanziari, a loro volta, avranno l'obbligo di trasmettere la documentazione richiesta, senza poter replicare di averla già in precedenza trasmessa al fallito, ed indipendentemente dal fatto che il rapporto sia corrente o meno, in virtù del principio secondo il quale l'obbligo di correttezza e solidarietà non si estingue sino a quando permane l'interesse all'informazione.

Art. 49 comma 3 lettera f) n. 5

Ai sensi dell'art. 49 co. 3 lettera f) n. 2 CCII il tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale autorizza il curatore, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c. p. c., "ad acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l'impresa debitrice". Tale previsione attribuirà al curatore la possibilità di acquisire, sia dai fornitori che dai clienti, quei documenti in cui sono riepilogate, divise per oggetto e valorizzate in moneta di conto, tutte le operazioni, attive e passive, intrattenute con il debitore. Questa potere riservato al curatore costituisce uno degli strumenti più invasivi verso i terzi privati in materia di acquisizione informativa introdotti dalla riforma: il curatore, così facendo, infatti, potrà acquisire la documentazione direttamente dai privati che intratterranno rapporti economici con il debitore, avendo a disposizione uno strumento assai penetrante. Per ovvie ragioni, il CCII limita tale possibilità alle sole schede contabili, quindi mastrini e partitari, per cui è inibita la richiesta di altra documentazione quali fatture o mezzi di pagamento. Attraverso le schede contabili di clienti e fornitori il curatore potrà analizzare l'andamento di costi e ricavi nel corso degli anni, evidenziando le anomalie precedenti all'apertura della liquidazione giudiziale, soprattutto nel caso in cui le scritture contabili acquisite risulteranno inattendibili, nonché verificare esattamente l'entità delle forniture effettuate e ricevute negli ultimi anni, al fine di una corretta ricostruzione della situazione patrimoniale del debitore.

Accesso ad ulteriori banche dati e richiesta di informazioni alla P. A.

Altre importanti previsione del CCII in materia di accesso a banche dati sono contemplate, come precedentemente anticipato, dai co. 2 e 3 dell'art. 130. E' infatti previsto che il curatore, in caso di mancata consegna delle scritture contabili, nonché di incompletezza o inattendibilità delle stesse, con riferimento alle operazioni compiute negli ultimi cinque anni, ai sensi dell'art. 130 co. 2 CCII "… oltre alle ricerche effettuate ai sensi dell'articolo 49, comma 3, lettera f), può chiedere al giudice delegato di essere autorizzato ad accedere a banche dati, ulteriori rispetto a quelle di cui all'articolo 49 e specificamente indicate nell'istanza di autorizzazione" e ai sensi del co. 3 può essere autorizzato dal giudice delegato "a richiedere alle pubbliche amministrazioni le informazioni e i documenti in loro possesso".

La previsione dell'art. 130 co. 2 CCII è sicuramente di ampia portata innovativa, in quanto attribuirà al curatore la possibilità di accedere ad ulteriori banche dati rispetto a quelle per cui l'autorizzazione all'accesso sarà contenuta nella sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. A differenza di quella ex art. 49 co. 3 lettera c), tuttavia, per tale tipologia di accesso sarà necessaria un'apposita autorizzazione del giudice delegato, diversa da quella generale ed astratta contenuta nella sentenza, e potrà anche essere a titolo oneroso. Tale previsione sembra attribuire al giudice delegato un potere quasi illimitato a fronte della richiesta del curatore, potendo infatti incidere sia su soggetti pubblici sia, soprattutto, su soggetti privati.

Attraverso la previsione ex art. 130 co. 2 CCII, infatti, il curatore potrebbe anche, con argomentazioni persuasive, richiedere al giudice delegato l'autorizzazione ad accedere ai documenti e alla contabilità di una società terza completamente estranea alla procedura, semplicemente ipotizzando nell'istanza che la società sottoposta a liquidazione giudiziale abbia avuto rapporti occulti con tale società terza pur privi di riflesso nella contabilità della prima. Circa la possibilità di avere accesso a documenti e informazioni posseduti dalla Pubblica Amministrazione, invece, questa è già attualmente riconosciuta al curatore previa autorizzazione del giudice delegato, ma con la nuova disciplina sarà sicuramente più semplificata ed avrà un raggio d'azione prevedibilmente molto più ampio.

Le risultanze dell'istruttoria pre - liquidatoria

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Tra le novità introdotte dal CCII circa i poteri di acquisizione informativa del curatore non può non citarsi la possibilità di prendere visione dei documenti e delle informazioni acquisite d'ufficio dalla cancelleria nella fase precedente all'apertura della liquidazione giudiziale. Tale possibilità è ricavabile dal combinato degli artt. 42 e 367 CCII, rubricati "Istruttoria sui debiti risultanti dai pubblici registri nei procedimenti per l'apertura della liquidazione giudiziale o del concordato preventivo" e "Modalità di accesso alle informazioni sui debiti risultanti da banche dati pubbliche", i quali rispettivamente stabiliscono che "Fermo quanto disposto dall'articolo 39 , a seguito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o del concordato preventivo, la cancelleria acquisisce, mediante collegamento telematico diretto alle banche dati dell'Agenzia delle entrate, dell'Istituto nazionale di previdenza sociale e del Registro delle imprese, i dati e i documenti relativi al debitore individuati all'articolo 367 e con le modalità prescritte nel medesimo articolo.

Fino al momento in cui l'articolo 367 acquista efficacia, la cancelleria provvede all'acquisizione dei dati e documenti indicati al comma 1 mediante richiesta inoltrata tramite posta elettronica certificata" e che "Nei procedimenti di cui all'articolo 42, comma 1, le pubbliche amministrazioni che gestiscono le banche dati del Registro delle imprese, dell'Anagrafe tributaria e dell'Istituto nazionale di previdenza sociale trasmettono direttamente e automaticamente alla cancelleria […] i dati e i documenti di cui ai commi 2, 3 e 4. Il Registro delle imprese trasmette alla cancelleria i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, la visura storica, gli atti con cui sono state compiute le operazioni straordinarie e in particolare aumento e riduzione di capitale, fusione e scissione, trasferimenti di azienda o di rami di azienda […].

L'Agenzia delle entrate trasmette alla cancelleria le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti, l'elenco degli atti sottoposti a imposta di registro e i debiti fiscali, indicando partitamente per questi ultimi interessi, sanzioni e gli anni in cui i debiti sono sorti […]. L'Istituto nazionale di previdenza sociale trasmette alla cancelleria le informazioni relative ai debiti contributivi […]". Il curatore avrà dunque la possibilità di accedere, mediante una semplice istanza, alla mole di informazioni che le pubbliche amministrazioni che gestiscono le banche dati del registro delle imprese, dell'anagrafe tributaria e dell'INPS, dovranno trasmettere alla cancelleria. Alcuni dei documenti citati sono già oggi acquisiti al fascicolo prefallimentare, ma la nuova legge pone un automatismo nella trasmissione, che consente di approntare un corredo documentale amplissimo, senza oneri per le parti, debitori o istanti, con la previsione di un collegamento telematico diretto tra i soggetti interessati.

Tale quantità di informazioni acquisite d'ufficio dalla cancelleria impatterà notevolmente sull'attività del curatore in quanto, quando sarà dichiarata aperta la procedura di liquidazione giudiziale, egli avrà già a disposizione gli atti confluiti nell'istruttoria pre - liquidatoria, agevolando non di poco la sua attività di acquisizione informativa.

La crisi o insolvenza di gruppo

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Tra le novità introdotte dal CCII non può non annoverarsi la predisposizione di una disciplina unitaria in materia di crisi o insolvenza dei gruppi di imprese. Tale regolamentazione, assente nel precedente impianto normativo, attribuisce, tra gli altri, al curatore, importanti poteri di acquisizione informativa, seppur limitati a tale settore e, più in particolare, alla liquidazione giudiziale di gruppo. L'introduzione di norme volte a fronteggiare la crisi di gruppo è di fondamentale importanza in quanto, prima della disciplina in commento, dunque ancora tutt'oggi, la mancanza di una simile previsione ha portato molto spesso la crisi di una società del gruppo ad estendersi anche alle altre quale conseguenza del venir meno degli equilibri economico-finanziari tra le stesse.

La nuova disciplina, contenuta nel titolo VI del CCII, attribuirà dunque la possibilità alle società che si trovino in uno stato di insolvenza, appartenenti al medesimo gruppo ed aventi ciascuna il centro degli interessi principali in Italia, di presentare un unico ricorso, dinanzi ad un unico tribunale, chiedendo di essere assoggettate, tra le altre, ad una procedura di liquidazione unitaria. Le gestione unitaria della procedura sarà agevolata dalla presenza di un unico giudice delegato e di un unico curatore, anche al fine garantire un criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole imprese del gruppo, nell'ottica della distinzione tra le masse patrimoniali. In tale contesto, notevoli sono i poteri di acquisizione informativa attribuiti al curatore, soprattutto per le maggiori difficoltà insite nell'accertamento della situazione patrimoniale di un gruppo di imprese rispetto a quello di una singola impresa.

L'art. 289 CCII dispone che "La domanda di accesso a procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza presentata da un'impresa appartenente ad un gruppo deve contenere informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali esistenti tra le società e imprese e indicare il registro delle imprese o i registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità ai sensi dell'articolo 2497 - bis del codice civile. L'impresa deve, inoltre, depositare il bilancio consolidato di gruppo, ove redatto. In ogni caso il tribunale ovvero, successivamente, il curatore o il commissario giudiziale possono, al fine di accertare l'esistenza di collegamenti di gruppo, richiedere alla CONSOB o a qualsiasi altra pubblica autorità e alle società fiduciarie le generalità degli effettivi titolari di diritti sulle azioni o sulle quote ad esse intestate. Le informazioni sono fornite entro quindici giorni dalla richiesta". Il curatore potrà dunque prendere visione del bilancio consolidato e di tutti i documenti da cui emerge la struttura del gruppo, potendo inoltre richiedere una serie di informazioni alla CONSOB, alle società fiduciarie e ad altre pubbliche autorità. L'unità della procedura, insieme alle informazioni cui potrà avere accesso, attribuiranno al curatore la possibilità di avere una visione d'insieme, di ricostruire più agevolmente il patrimonio del gruppo e di individuare le reali cause della crisi e lo sviluppo delle stesse, tenendo conto degli elementi contenuti nell'art. 287 CCII. Allo stesso tempo, il curatore dovrà adeguare la sua attività alla complessità della procedura, moltiplicando di fatto i suoi adempimenti in relazione al numero delle società insolventi del gruppo, rispettando il principio dell'autonomia della rispettive masse attive e passive. Egli dovrà dunque procedere alla redazione di un unico programma di liquidazione, un unico progetto di riparto e un unico rapporto riepilogativo, tenendovi distinti gli adempimenti fiscali e le relative masse patrimoniali.

Efficacia nuove disposizioni rispetto alla tutela degli interessati dalla procedura

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Comparando i poteri di acquisizione informativa attribuiti al curatore prima e dopo il D. lgs. 12 Gennaio 2019 n. 14, non può non ravvedersi come l'intenzione del legislatore sia quella di favorirne un importante ampliamento e di attribuire a tale figura un ruolo ancor più centrale all'interno della procedura. Indubbiamente l'ampliamento di tali poteri corrisponde ad un aumento delle capacità e delle responsabilità, ma in definitiva può affermarsi che la figura del curatore risulti ancor più di fondamentale importanza all'interno del contesto normativo introdotto dalla nuova disciplina. L'ampliamento dei poteri di acquisizione informativa, tuttavia, non interessa solamente l'attività del curatore, ma anche e soprattutto i profili di tutela relativi ai soggetti interessati dalla procedura. In attesa di poter verificare i riscontri pratici della nuova disciplina, è certamente idoneo procedere ad una valutazione. Il potenziamento dei poteri di acquisizione informativa del curatore corrisponde ad una maggiore tutela degli interessi del debitore, in linea con il favor generalmente espresso dal legislatore nei suoi confronti all'interno del CCII.

Se, infatti, nella legge fallimentare del 1942 la preoccupazione principale del legislatore era quella di eliminare dal mercato le imprese insolventi, arrecando il minor danno possibile ai creditori e prevedendo solo in via marginale la possibilità di ricorrere a soluzioni alternative e comunque subordinate alla meritevolezza del debitore, oggi si tende a favorire, finché possibile, forme di ristrutturazione o di risanamento dell'impresa in crisi prima che divenga irreversibilmente insolvente. Nella nuova disciplina prevale dunque l'idea che si debba cercare di salvaguardare il valore residuo dell'azienda, anziché disperderlo in prospettiva liquidatoria, consentendo al tempo stesso al debitore di rimettersi in gioco e di cogliere nuove chances. La prospettiva di favorire la continuità aziendale e la posizione del debitore comincia ad intravedersi a livello nazionale con le riforme della legge fallimentare del 2005 - 2006 e, a livello europeo, con la raccomandazione 2014/135 UE confluita successivamente nel Regolamento 2015/848 UE in materia di insolvenza transfrontaliera. Prodromica alla realizzazione di tale obiettivo è l'introduzione da parte del CCII di strumenti di allerta e di composizione assistita della crisi, dal cui buon funzionamento dipenderà l'efficacia dell'intera riforma. Affinché ciò possa realizzarsi, sarà da un lato necessario che il debitore si attrezzi per non reagire ai sintomi della crisi negandola o mascherandola e, dall'altro, che gli organi della procedura si adoperino per aiutarli a trovare la migliore soluzione. Se la figura del debitore è quella oggetto di maggiore attenzione dalla nuova disciplina, lo stesso non può affermarsi, invece, per i creditori, soprattutto quelli bancari, ai quali si richiede maggiore oculatezza nell'erogazione del credito e maggiore spirito di collaborazione nella leale ricerca delle soluzioni più idonee a favorire il superamento della crisi del loro debitore.

La tutela dei creditori

Nonostante la maggior considerazione rivolta dal CCII al debitore, l'obiettivo principale delle procedure concorsuali rimane sempre la tutela del credito. Nel diritto della crisi d'impresa, infatti, verificatasi l'insolvenza del debitore, oggetto della tutela è il credito, nel senso che tutti gli altri interessi coinvolti nell'attività non trovano protezione autonoma, ma sempre condizionata alla tutela dell'interesse dei creditori. Questo assetto si deduce dal potere determinativo riconosciuto al comitato dei creditori che, in quanto titolare dell'interesse da prediligere rispetto agli altri, adotta le principali decisioni sulla gestione della crisi. Tale impostazione di fondo, presente nella legge fallimentare del 1942, è valevole nell'attuale fallimento e continuerà ad esserlo anche nella futura procedura di liquidazione giudiziale. Ciò significa che anche i nuovi poteri di acquisizione informativa del curatore dovranno prima di tutto essere funzionali alla tutela dei creditori, dovendo dunque avere come obiettivo principale quello di ricostruire il più fedelmente possibile l'insieme dei rapporti patrimoniali facenti capo al debitore al fine di garantire la tutela del maggior numero di crediti e creditori possibile.

Il dovere di lealtà dei creditori

L'erosione dell'esclusiva centralità del ruolo dei creditori nella nuova disciplina della crisi d'impresa cui si accennava precedentemente può ravvisarsi nell'attribuzione agli stessi di doveri lealtà che, precedentemente, trovavano un'applicazione particolarmente marginale. L'art. 4 co. 1 CCII richiama infatti sia per i creditori sia per il debitore il principio di buona fede e correttezza, contenuto nella disciplina generale delle obbligazioni nell'art. 1175 c. c. In particolare, i creditori, fino alla novella attuale soggetti passivi delle procedure concorsuali in grado di vantare sole pretese, vengono apparentemente responsabilizzati, venendo posti in capo ad essi un dovere di lealtà ed un obbligo di trasparenza nei rapporti non solo con la parte debitrice, ma anche con gli altri creditori e con gli organi della procedura. L'art. 4 co. 3 CCII prevede nello specifico che "I creditori hanno il dovere, in particolare, di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, con gli organi nominati dall'autorità giudiziaria nelle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza e di rispettare l'obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite".

Questo significa, tra l'altro, che i creditori, attraverso la loro collaborazione, dovranno fornire al curatore le informazioni rilevanti ai fini della procedura e di cui siano in possesso affinché i poteri di acquisizione informativa della curatela possano essere esercitati nella maniera più funzionale al soddisfacimento degli interessi delle parti. I nuovi obblighi sono quindi da collocare all'interno di un processo non conflittuale di composizione degli interessi di creditori e debitore, che si allontana dal tradizionale modello di preferenza degli interessi dei primi rispetto al secondo. L'intervento di riforma si prefigge, infatti, di favorire l'emersione anticipata della crisi, quando ancora non sia irreversibile. La logica della prevenzione ha inoltre lo scopo di limitare il pregiudizio derivante per il debitore, sollecitando così l'attività degli organi della procedura e dei creditori stessi, verso il superamento tempestivo della situazione di difficoltà, mediante soluzioni di ristrutturazione idonee. Il legislatore, in questo modo, pone un freno all'abuso della procedura di concordato preventivo, spesso strumentalizzata al fine di evitare la dichiarazione di fallimento, con frequenti esiti negativi. Nella stessa ottica, l'obbligo di riservatezza si erge a presidio del capitale reputazionale dell'impresa stessa, minimizzando il rischio di pregiudicarla ulteriormente a stare sul mercato. Circa il contenuto di tale dovere di lealtà, è stato declinato dalla Corte di Cassazione come un impegno o obbligo di solidarietà che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, pur prescindendo da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi anche dell'altra parte, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a carico della parte tenuta al rispetto di tale impegno. Non sono previste delle disposizioni sanzionatorie in caso di violazione di tale dovere, tuttavia il suo mancato adempimento potrebbe essere controproducente per lo stesso creditore, in quanto potrebbe compromettere il corretto esercizio delle attività degli organi della procedura e, conseguentemente, il regolare svolgimento della procedura e l'esatta ricostruzione della situazione patrimoniale del debitore.

La tutela del debitore

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Come precedentemente affermato, il soggetto nei cui confronti sono adottate la maggior parte delle modifiche introdotte dal CCII è il debitore. La scelta del legislatore non è casuale ed è prevalentemente mirata ad evitare una funzione meramente liquidatoria delle procedure concorsuali, favorendo ove possibile la ripresa del debitore o perlomeno la continuità dell'attività d'impresa, soprattutto in uno scenario, come quello italiano, caratterizzato dalla presenza di imprese di medio - piccole dimensioni intorno alle quali fluttuano una serie di interessi meritevoli di un'adeguata tutela quali, ad esempio, quelli dei lavoratori. Anche la sostituzione dei termini "fallito" e "fallimento" con "debitore" e "liquidazione giudiziale", pur costituendo novità di rilievo puramente semantico, esprimono quella che è l'idea di fondo del legislatore. C'è chi, proprio in virtù della maggior tutela riservata al debitore e per l'importanza della fase precedente all'apertura della procedura, preferisce parlare di Codice anti - crisi, piuttosto che di Codice della crisi. Di tale impostazione risentiranno anche le modalità con cui gli organi della procedura svolgeranno le proprie funzioni e, quindi, anche l'attività del curatore, i cui poteri di acquisizione informativa dovranno essere preordinati, tra gli altri, a tale obiettivo.

La strumentalità della tutela del debitore rispetto alla tutela del credito

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Detto del favor accordato dal legislatore al debitore nella nuova disciplina della crisi d'impresa e di come anche l'attività del curatore dovrà plasmarsi a questa nuova visione di insieme, la riforma ha dimostrato come possa assicurarsi tutela a interessi diversi dal credito pur preservando il primato della tutela di quest'ultimo, confermando la relazione di compatibilità tra procedure concorsuali e conservazione dell'impresa. Nel CCII vengono ancor di più in rilievo altri interessi, anch'essi coinvolti nell'impresa ma diversi da quelli dei creditori. Come risulta dall'esame del diritto positivo, l'attenzione a interessi diversi da quelli dei creditori è sempre funzionale all'affermazione di questi ultimi. Tale impostazione è confermata dalla possibilità, prevista per la liquidazione giudiziale negli artt. 211 ss. CCII, di procedere all'esercizio dell'impresa e di provvedere dunque alla sua conservazione garantendo, allo stesso tempo, la salvaguardia di tutti gli altri interessi coinvolti nell'attività e non soltanto quelli dei creditori. L'istituto è dunque funzionale alla conservazione dell'impresa ma a condizione che questa sia compatibile con l'interesse dei creditori, così come emerge chiaramente dai co. 2 e 3 dell'art. 211 CCII, i quali rispettivamente stabiliscono che "con la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale, il tribunale autorizza il curatore a proseguire l'esercizio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, se dall'interruzione può derivare un grave danno, purché la prosecuzione non arrechi pregiudizio ai creditori" e che "successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, l'esercizio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, fissandone la durata". Dunque se l'organizzazione d'impresa esprime un valore la cui salvaguardia è funzionale alla migliore affermazione dell'interesse dei creditori e se conservare l'organizzazione implica la tutela di tutti gli interessi che in essa normalmente si realizzano, allora la tutela di interessi diversi da quelli dei creditori ma implicati nell'organizzazione d'impresa si rivela funzionale all'obiettivo finale, che è dato appunto dalla tutela dei creditori .

L'esercizio dell'impresa del debitore

Come sopra affermato, la possibilità prevista dall'art. 211 CCII costituisce espressione del favor accordato dal legislatore al debitore nella prospettiva di tutela dei creditori. Nella nuova disciplina, infatti, l'apertura della liquidazione giudiziale non determinerà più l'automatica cessazione dell'attività d'impresa bensì, ove saranno presenti i requisiti di cui ai co. 2 e 3 art. 211 CCII, il passaggio della gestione al curatore, spezzando così il nesso di cui all'art. 104 l. f. intercorrente tra dichiarazione di fallimento e chiusura dell'impresa. In linea di continuità con l'art. 104 l. f., la prima ipotesi di prosecuzione dell'impresa dissestata, di cui all'art. 211 CCII co. 2, continuerà ad imperniarsi su una decisione del tribunale assunta nella sentenza di accertamento dell'insolvenza, laddove il collegio decidente colga la necessità, senza pregiudizio per i creditori concorsuali, di evitare il "danno grave" che discenderebbe dall'interruzione drastica dell'attività d'impresa. La seconda ipotesi di utilizzazione dell'esercizio dell'impresa del debitore, contemplata invece dall'art. 211 co. 3 CCII, continuerà a far fulcro su un decreto motivato emesso dal giudice delegato, su proposta del curatore, corroborata dal parere obbligatorio e vincolante del comitato dei creditori. In tale ipotesi sarà ovviamente necessario che il curatore, sulla base di tutte le informazioni raccolte, somministri agli altri organi concorsuali gli elementi necessari sui quali questi potranno fondare le proprie valutazioni. Ove l'esercizio dell'impresa sarà autorizzato, il curatore dovrà dar corso all'attività economica del debitore non a fini di risanamento, ma di tutela dell'organizzazione di beni e persone e, in definitiva, dell'interesse dei creditori. La prospettiva d'esercizio non potrà volgere alla ristrutturazione dell'impresa, essendo infatti mirata a governare la situazione di irrecuperabilità finanziaria in cui si risolve l'insolvenza. Tuttavia, nel silenzio del CCII, nulla esclude che la gestione provvisoria potrà contemplare anche un ventaglio, più o meno esteso, di interventi di tipo innovativo, qualora strettamente funzionali a rinvigorire l'impresa, a implementarne la vitalità strutturale, a farle riguadagnare quote in quel mercato in cui, in ultima analisi, essa ambirà a conseguire una ricollocazione.

Le misure premiali

Sempre nell'ottica del favor accordato dal legislatore al debitore nel CCII va menzionata la previsione di misure premiali a favore del debitore che proporrà tempestivamente domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi. L'introduzione di queste misure riflette lo scopo che anima la riforma, cioè far emergere tempestivamente la crisi d'impresa per consentire alle aziende ancora sane di evitare l'insolvenza, agevolando lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori. Tali misure premiali sono previste dagli artt. 24 e 25 CCII e il loro presupposto di applicazione sarà la tempestività, la cui definizione viene ricavata a contrario dall'art. 24 CCII, chiarendo così ipotesi di intervento tardivo. Qualora sarà accertato il presupposto della tempestività e quindi l'imprenditore avrà rispettato i termini di cui all'art. 24 CCII per accedere alle procedure di composizione e regolazione della crisi, per godere delle misure premiali previste dall'art. 25 CCI sarà inoltre necessario che l'imprenditore avrà seguito in buona fede le indicazioni dell'OCRI e che l'istanza di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi non verrà dichiarata inammissibile. Presenti tali requisiti, le misure premiali che potranno essere accordate al debitore consistono in benefici di natura concorsuale, aventi finalità di tutela nel percorso intrapreso per raggiungere le soluzioni concordate; di natura fiscale, al fine di ridurre sanzioni ed interessi a suo carico e, soprattutto, di natura penale, configurando una causa di non punibilità, qualora il danno sia di speciale tenuità, ovvero un'attenuante ad effetto speciale, qualora il danno non sia di speciale tenuità .

Obblighi del debitore

Affinché i profili di tutela prospettati per il debitore potranno concretizzarsi, è necessario che egli adempia una serie di obblighi, tra cui quello di predisporre adeguati assetti amministrativi, organizzativi e contabili, previsto dal nuovo art. 2086 co. 2 c. c. introdotto dall'art. 375 CCII. Anche l'imprenditore individuale, che pur non è a capo di una organizzazione, dovrà adottare misure (non assetti) idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere le iniziative necessarie per farvi fronte, così come previsto dall'art. 3 co. 1 CCII. Gli assetti organizzativi attengono all'articolazione e alla definizione di poteri, deleghe di firma, funzioni, competenze e responsabilità; gli assetti amministrativi riguardano le procedure, le direttive e le prassi operative dirette a garantire il regolare svolgimento dell'attività aziendale, nelle sue diverse fasi; all'interno degli assetti amministrativi, gli assetti contabili riguardano il sistema di rilevazione dei fatti di gestione. Le novità più significative introdotte sul punto dalla riforma attengono dunque l'estensione di tali dovere a realtà imprenditoriali diverse dalle S. p. a. ed il rapporto di funzionalità che intercorre tra gli stessi e la rilevazione anticipata della crisi e della perdita di continuità aziendale, al fine di consentire l'adozione degli interventi necessari per il superamento della crisi e per il recupero della continuità aziendale. Per la prima volta dunque il legislatore assegna esplicitamente delle finalità agli assetti aziendali, e ciò contribuisce a fissarne i parametri tecnici di adeguatezza e a tracciare il contenuto minimo di tale dovere. In particolare gli assetti sono adeguati se idonei ex ante a intercettare tempestivamente gli indicatori di crisi e di perdita di continuità aziendale e consentire l'adozione degli interventi necessari per il relativo superamento e recupero.

La tutela dei terzi

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Uno dei maggiori problemi posti dalla nuova disciplina e particolarmente dall'ampliamento dei poteri di acquisizione informativa del curatore riguarda sicuramente la tutela dei terzi, dunque la compatibilità del nuovo assetto normativo con la loro legittima esigenza di tutela. Il dubbio sorge prevalentemente in materia di accesso alle banche dati riservato al curatore dagli artt. 49 e 130 CCII: come precedentemente affermato, in base alle nuove disposizioni il curatore potrebbe teoricamente richiedere al giudice delegato, con argomentazioni persuasive, documenti e contabilità ad esempio di una società terza, completamente estranea alla procedura, semplicemente ipotizzando nell'istanza che la società sottoposta a liquidazione giudiziale abbia avuto rapporti occulti con tale società terza pur privi di riflesso nella contabilità della prima . Il riconoscimento di tale possibilità comporta da un lato la necessità di regolamentare minuziosamente la disciplina in materia di accesso per evitare che questa sconfini in un arbitro assoluto e, dall'altro, la necessità di stabilire quali sono i principi e le modalità con cui dovrà avvenire il trattamento dei dati così raccolti. Nell'ipotesi in cui i dati raccolti non venissero trattati conformemente alle finalità per cui è esercitato il diritto di accesso o dove questo venisse esercitato oltrepassando i limiti stabiliti dalla legge, si aprirebbero infatti degli scenari ipoteticamente ferali in cui i soggetti le cui informazioni sono state raccolte potrebbero lamentare la violazione del loro diritto di riservatezza. Occorrerà dunque che il curatore maneggi con cura i nuovi poteri di acquisizione informativa attribuiti dal CCII.

Il curatore come soggetto titolare del trattamento dei dati raccolti

Il curatore, quale titolare del trattamento dei dati raccolti, dovrà procedere alla loro raccolta, utilizzazione e tenuta nel rispetto della disciplina contenuta nel Codice della privacy, in modo tale che possa essere conciliata la sua necessità di accesso ai dati richiesti con l'esigenza di tutela dei terzi. Ciò impone innanzitutto di procedere ad una selezione dei dati oggetto di accesso, in modo tale che le informazioni richieste corrispondano a quelle strettamente funzionali all'esercizio delle sue funzioni istituzionali e che possano essere rispettati i principi di pertinenza e non eccedenza. Il curatore dovrà dunque utilizzare i dati raccolti per le finalità dichiarate e nel rispetto, inoltre, del principio di indispensabilità, garantendo che non si verifichino divulgazioni, comunicazioni, cessioni a terzi, né in alcun modo riproduzioni dei dati nei casi diversi da quelli previsti dalla legge, stabilendo le condizioni per escludere il rischio di duplicazione delle basi dati realizzata anche attraverso l'utilizzo di strumenti automatizzati di interrogazione. Egli dunque dovrà utilizzare i sistemi di accesso ai dati in consultazione esclusivamente secondo le modalità con cui sono resi disponibili e, di conseguenza, non estrarre i dati per via automatica e massiva allo scopo, ad esempio, di velocizzare le attività e creare autonome banche dati non conformi alle finalità per le quali è autorizzato all'accesso. Il curatore dovrà inoltre garantire che l'accesso ai dati verrà consentito esclusivamente a personale o assimilati ovvero a soggetti che siano da lui designati quali incaricati o responsabili del trattamento dei dati, impartendo, ai sensi degli artt. 29 e 30 del Codice della privacy, precise e dettagliate istruzioni, richiamando la loro attenzione sulle responsabilità connesse all'uso illegittimo dei dati, nonché al corretto utilizzo delle funzionalità dei collegamenti.

Conclusioni

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In attesa di poter verificare nella prassi i riscontri applicativi delle novità introdotte dal CCII, è possibile effettuare delle valutazioni. Sulla base delle prospettazioni effettuate, non può che affermarsi come la figura del curatore sia oggetto di una peculiare attenzione da parte del legislatore e di come la concezione del suo ruolo all'interno della procedura abbia subito una notevole implementazione. Nella nuova procedura di liquidazione giudiziale, infatti, i poteri di acquisizione informativa del curatore risultano sicuramente più ampi rispetto a quelli previsti nel "vecchio" fallimento, così come più ampia è la platea dei soggetti con cui, nell'esercizio delle proprie funzioni, il curatore può procedere ad uno scambio di informazioni. Si è disquisito circa l'importantissima possibilità di accesso alle banche dati, circa i rapporti con il Pubblico Ministero: tutte novità che, nella nuova visione di insieme della procedura di liquidazione giudiziale, portano a considerare il curatore come il vero dominus della procedura, motore della stessa, ossia il soggetto a cui è attribuito, ancor più che nel passato, il compito di tutelare gli interessi coinvolti nella procedura e favorire, ove possibile, una conciliazione tra gli stessi. Rispetto alla disciplina contenuta nella legge fallimentare si può scorgere innanzitutto una maggiore autonomia riconosciuta al curatore nell'accesso alle informazioni di cui egli necessita per procedere ad un'esatta ricostruzione dei rapporti attivi e passivi facenti capo al debitore e, soprattutto, una maggiore efficienza ed efficacia, al fine di ridurre al minimo le probabilità di insuccesso della procedura.

Allo stesso tempo, insieme a quelli innovativi e previsti dal CCII, restano attribuiti al curatore i poteri di acquisizione informativa ad esso riservati già dalla legge fallimentare che, in alcuni casi, sono oggetto di specificazione e raffinamento delle modalità applicative, a conferma del fatto che, in maniera univoca, la nuova disciplina procede ad un rafforzamento della sua posizione nella procedura. Come già anticipato precedentemente, un ampliamento dei poteri riconosciuti al curatore non può che corrispondere ad un generale aumento delle proprie responsabilità e, soprattutto, delle sue competenze. Viene quindi prevista per la prima volta l'istituzione di un apposito albo, per innalzare e omogeneizzare generalmente le competenze di cui egli deve essere in possesso: vengono previsti, infatti, specifici obblighi di formazione e determinati requisiti di onorabilità, al fine di garantire, in virtù della spiccata importanza che il curatore è destinata ad avere nella nuova disciplina, che il conferimento degli incarichi avvenga a favore di soggetti di comprovata professionalità e di specchiata onestà. Nel contesto della valorizzazione della figura del curatore, oltre all'ampliamento dei poteri di acquisizione informativa, non possono non essere citati ulteriori poteri ad esso attribuiti dal CCII e che sottolineano la spiccata centralità della sua figura: basti pensare, ad esempio, alla possibilità di esercitare sia in sede civile sia in sede penale l'azione di responsabilità contro gli amministratori di qualsiasi società, nonché alla possibilità di procedere egli stesso alla ripartizione dell'attivo, salvo l'opposizione dei creditori.

Tutto ciò, si può concludere, è pienamente coerente con la ratio di tutta la riforma della crisi d'impresa, ossia quella di accelerare la conclusione delle procedure concorsuali e di garantire il miglior soddisfacimento possibile degli interessi dei creditori, nonché quella di garantire alti livelli di trasparenza, efficienza ed efficacia delle procedure. Da ultimo, l'entrata in vigore del CCII, prevista originariamente per il 15 Agosto 2020, a causa dell'emergenza legata alla diffusione del SARS-CoV-2 nel nostro Paese, è stata rinviata dall'art. 6 d. l. 8 Aprile 2020 n. 23 (c. d. decreto liquidità) al 1 Settembre 2021, coerentemente al differimento al 15 Febbraio 2021 dell'entrata in vigore delle misure di allerta volte a provocare l'emersione anticipata della crisi delle imprese già effettuato dall'art. 11 d. l. 2 Marzo 2020 n. 9. Superato questo difficile periodo, si spera che la tanto auspicata riforma possa cominciare a produrre i propri effetti.


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