Commenti diffamatori su Facebook. Cosa comportano gli eccessi verbali nelle conversazioni telematiche. Per la Corte d'Appello di Cagliari scatta l'aggravante ex art. 595 comma 3 c.p.

Diffamazione a mezzo internet

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Scrivere gli improperi più azzardati su una pagina social pubblica è rischioso, in quanto può costare caro in termini di giustizia penale.

Avere a disposizione una bacheca Facebook e chattare con diverse persone non significa poter utilizzare un vocabolario infarcito di brutte parole o frasi offensive nei confronti di altre persone.

Ciò in quanto toccare i confini della diffamazione, anzi consumarla in concreto, non è poi così difficile se i termini della questione sono quelli sopra indicati.

Comunque, detto questo in termini generali, occorre segnalare che ormai le Corti italiane si trovano di frequente a discutere, valutare e decidere casi di diffamazione a mezzo internet.

Parliamo di diffamazione su internet e, quindi, di commenti diffamatori mediante, ad esempio, la bacheca Facebook, idonei ad integrare l'aggravante prevista dall'art. 595 comma 3 c.p.

Chiaro è che lo strumento internet è tale da permettere al commento di raggiungere un numero indeterminato di persone, vista l'ampia possibilità di circolazione del testo sul mezzo utilizzato.

Art. 595 comma 3 c.p.

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Ricordiamo che l'art. 595 comma 3 c.p. stabilisce che: se l'offesa è recata con mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.

Il caso trattato dalla Corte di Appello di Cagliari

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Dunque, dicevamo del progressivo interessamento dei giudici di vicende relative a casi di diffamazione su internet: ad esempio, la Corte di Appello di Cagliari Sez. 2, si è pronunciata su uno di questi casi, con la sentenza n. 257 del 01 giugno 2020.

Tanto per essere chiari: tra le carte di quel processo si sono lette frasi come miserabile, vigliacco fottuto ed altre espressioni facilmente intuibili.

Alla fine, nel caso specifico la Corte ha stabilito che il commento diffamatorio mediante la bacheca Facebook integra l'aggravante dell'art. 595 comma 3 codice penale, dal momento che può raggiungere un numero indeterminato di persone.

Evidentemente la vicenda specifica trattata e risolta dalla Corte può essere utilizzata come paradigma per i tanti casi analoghi in questa delicata materia.

In pratica

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In buona sostanza: un impiego consapevole di questi potenti strumenti telematici e, soprattutto, rispettoso dell'altrui dignità, migliora il livello di fruizione del mezzo e consente la produzione di contenuti e conversazioni in linea con gli standard voluti dalla piattaforma e, più in generale, dalle disposizioni di legge poste a presidio della persona.


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