La durata del matrimonio osta alla nullità solo se eccepita. La recente pronuncia della Cassazione sulla nullità del matrimonio dopo 20 anni di convivenza
di Silvia Cermaria - Con sentenza n. 7925/20, depositata il 20 aprile 2020, la Prima sezione Civile della Corte di Cassazione si è espressa in tema di riconoscimento della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, tenuto conto, da un lato, dello stato di incapacità a prestare il proprio consenso al matrimonio da parte di uno dei coniugi e, dall'altro lato, della lunga durata della convivenza.

Il consenso e la convivenza

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La controversia giunta sino al vaglio della Corte di Cassazione trae origine dalla pronuncia del Tribunale Ecclesiastico Regionale con la quale quest'ultimo dichiarava la nullità del matrimonio concordatario contratto dai due coniugi parti del giudizio e dalla domanda di riconoscimento dell'efficacia della sentenza ecclesiastica promossa dal marito dinanzi alla Corte d'Appello.

La nullità veniva dichiarata dal Tribunale ecclesiastico e, successivamente, resa esecutiva con decreto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in ragione dell'incapacità del marito a prestare il proprio consenso al matrimonio.

La Corte d'Appello nell'accogliere la domanda di riconoscimento proposta dal marito si soffermava a valutare la ricorrenza di tutti i presupposti per poter giungere a siffatta conclusione ed, in particolare, evidenziava il passaggio in giudicato della sentenza ecclesiastica secondo le norme del diritto canonico, che la sentenza non contenesse disposizioni contrarie all'ordine pubblico e nel merito che lo stato di incapacità consensiva del marito fosse conosciuta alla moglie stante la natura e la gravità della patologia diagnosticata.

La durata ultratriennale del matrimonio

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Avverso la decisione di delibazione della sentenza ecclesiastica, proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione. Quest'ultimo deduceva l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte d'Appello nel non aver rilevato d'ufficio una circostanza fondamentale ai fini del giudizio quale è la durata ultratriennale del matrimonio, invero nella specie ventennale, che è causa ostativa al riconoscimento della sentenza ecclesiastica. Il Procuratore evidenzia infatti il carattere privilegiato che un rilievo di tal fatta deve assumere nei procedimenti come quello in oggetto, stante la tutela del diritto alla vita privata e familiare che ne è sotteso, anche parte integrante dei principi costituenti l'ordine pubblico interno.

Rileva ancora il Procuratore l'assenza nella sentenza impugnata di qualsivoglia ragionamento giuridico sulla posizione della moglie e sulla tutela ad essa spettante rispetto ad un rapporto coniugale che ne ha costituito la storia personale e familiare tenuto conto della sua durata.

Sulla scorta di tali ragioni, il Procuratore giunge a contestare l'orientamento giurisprudenziale, evidentemente fatto proprio dalla Corte di merito, ed ormai consolidato, secondo cui l'eccezione avente ad oggetto la durata ultratriennale della convivenza coniugale deve intendersi in senso stretto, ossia rilevabile solo su istanza di parte. Al contrario, prosegue il Procuratore, la natura dell'eccezione deve essere definita in virtù dei diritti che la proposizione della stessa mira a tutelare, così dovendosi schiudere alla rilevabilità d'ufficio dal giudice.

A riprova della fondatezza di siffatto contegno interpretativo, viene posto in luce l'esito del giudizio di delibazione per cui è causa ove la contumacia della moglie ha prodotto una compressione della tutela ad essa spettante, seppur connessa a diritti fondamentali quali quelli citati.

Si tratta in altre parole della valutazione da svolgere circa l'opportunità di lasciare alla disponibilità delle parti la tutela e la garanzia di taluni diritti ed interessi, che assurgono a principi di ordine pubblico e di cui l'ordinamento rende le stesse titolari.

Il Procuratore svolge poi una riflessione di carattere generale che pone l'attenzione sul rapporto intercorrente tra il nostro ordinamento statale e quello canonico ed invita a «interrogarsi sulla giustizia dell'indirizzo che vuole che uno stato laico si conformi alla decisione del giudice canonico, ancorché essa sacrifichi status, diritti e aspettative della parte spesso svantaggiata del rapporto e cozzi, tra l'altro, con il sentire comune che stigmatizzi questo genere di "scorciatone" per annullare obblighi di solidarietà coniugale e/o posto coniugale».

Il Procuratore denuncia, inoltre, la violazione perpetrata dai giudici di merito del diritto al giusto processo di cui è titolare la moglie, seppur contumace. La censura in parola viene mossa in considerazione della circostanza per cui la delibazione della sentenza ecclesiastica sia avvenuta nonostante la dichiarazione di nullità fosse contraria ai principi di ordine pubblico esistenti in materia ed, in particolare, all'orientamento che pone quale limite alla pronuncia della stessa quello della durata del matrimonio. In ogni caso, si legge nel motivo di ricorso, la delibazione non si sarebbe dovuta pronunciare stante la contumacia di una delle parti riguardata dal provvedimento.

Eccezione durata matrimonio: espressione diritto personalissimo non rilevabile d'ufficio

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La Suprema Corte esamina congiuntamente i motivi di ricorso rassegnati dal suo Procuratore e ne dichiara il rigetto rinviando ad un'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass., n. 24729 del 2018; e Cass., n. 2486 del 2017).

Gli Ermellini affermano infatti che la Corte di merito abbia correttamente fatto applicazione dell'orientamento restrittivo espresso dalle note sentenze "gemelle" delle Sezioni Unite (sentenze nn. 16379 e 16380 del 2014), in tema di eccezioni in senso stretto avente ad oggetto la durata ultratriennale del matrimonio pronunciate. Ed invero, la Corte di Cassazione nel suo massimo Consesso ha ritenuto poter rimettere siffatta eccezione alla esclusiva disponibilità della parte interessata in ragione della complessità fattuale che contraddistingue la ricostruzione del coacervo di circostanze che ne costituiscono il presupposto, tutte connesse con l'esercizio di diritti e doveri, nonché responsabilità personalissimi dei coniugi. Ragione ulteriore addotta dalla giurisprudenza richiamata a fondamento della propria conclusione si riferisce all'identico regime di eccezione previsto nel procedimento di divorzio ove la parte interessata voglia far rilevare l'interruzione dello stato di separazione, ai sensi della L. 898/1970, art. 3.

In merito all'asserita violazione del diritto al giusto processo, la Corte afferma di non ravvederne la realizzazione dei presupposti stante l'assoluta volontarietà dello stato di contumacia della parte peraltro dichiarabile solo ove ne ricorra la prova dell'avvenuta notifica dell'atto introduttivo del giudizio. In altre parole, la Corte di Cassazione ancora alla scelta delle parti e al loro contegno processuale la dimensione della tutela dei diritti di cui le stesse sono titolari.

Avv. Silvia Cermaria

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