Per la Corte di cassazione, nel valutare il risarcimento del danno cagionato dal bullizzato occorre tenere conto delle "angherie" subite

La vendetta del bullizzato

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Vi è una vicenda, di recente esaminata nelle aule di giustizia, che purtroppo non è che un esempio di ciò che accade molto spesso tra i nostri giovani: un ragazzo sferra un pugno ad un altro, procurandogli importanti lesioni. Entrambi sono minorenni. Quello che ha sferrato il pugno ha subito atti di bullismo da parte di quello che ha ricevuto il pugno. Atti di bullismo però precedenti l'aggressione che non è avvenuta in ambito scolastico e /o in occasione di tali atti persecutori.

La domanda che ci si pone, dinanzi a una simile vicenda, è questa: essere stato bullizzato giustifica il pugno anche se -come detto- la reazione non si pone come immediatamente successiva?

Il bullismo esime da responsabilità civile?

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Sul punto, la terza sezione della Cassazione civile, con una sentenza particolarmente interessante (n. 22541/2019) ha espresso un principio, condivisibile o meno, che non può essere ignorato.

In primo grado il Tribunale aveva riconosciuto una certa rilevanza agli atti di bullismo che il danneggiante aveva subito, "concedendo" un risarcimento diminuito nel suo ammontare in favore del ragazzino che aveva subito il pugno. La Corte d'Appello, invece, è pervenuta a una conclusione diametralmente opposta: il pugno sferrato va letto come azione autonoma e non consecutiva agli atti di bullismo subiti, collocabili in una fase temporale diversa. Questi ultimi, pertanto, non rilevano ai fini dell'attribuzione della responsabilità per la violenza.

Veniamo alla sentenza della Corte di Cassazione.

A parere della terza sezione, il giudice dell'appello avrebbe errato nel limitarsi ad affermare "paternalisticamente" che non si deve reagire alle provocazioni ricevute. Una sorta di invito a porgere l'altra guancia che, per la Suprema Corte, appare inappagante nel valutare la condotta di colui che reagisca alle offese di cui è stato vittima se reiteratamente provocato e dileggiato.

Quando è ammessa la reazione del bullizzato

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E' interessante il ragionamento seguito dalla Corte, per la quale non bisogna dimenticare che un giovane vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, proprio perché adolescente e con una personalità in fieri, potrebbe avere e manifestare diverse forme di reazione: una passiva, destinata ad evolvere verso forme di autodistruzione, l'altra aggressiva.

Il bullismo richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l'autore degli atti di bullismo e le persone offese, così da rendere ingiustificabile ogni reazione. Interventi riconducibili alle istituzioni, alla scuola, ad una ferma condanna pubblica e sociale.

Se questi interventi non sono posti in essere - come non lo sono stati nel caso in esame- non può essere legittimo attendersi da parte del bullizzato una reazione razionale, controllata e non emotiva.

Ne segue un vero e proprio invito verso il legislatore (questa è la peculiarità di questa sentenza) perché si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a comportamenti bullizzanti che possono poi generare reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute.

La terza sezione della Corte di Cassazione è più che esplicita nell'inviare un chiaro messaggio al Legislatore laddove scrive che nell' "attesa che si diffondano forme di giustizia riparativa specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo", la risposta giuridica, nel caso di specie, non avrebbe dovuto ignorare le condizioni di umiliazione a cui l'adolescente in questione è provato fosse stato ripetutamente sottoposto.

Un ampliamento della funzione della responsabilità civile che ha anche una funzione deterrente e finanche educativa?


Foto: 123rf.com
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