La Corte di Cassazione rigetta la richiesta promossa da due donne di essere indicate nell'atto di nascita entrambe come madri
di Silvia Cermaria - Con la sentenza n. 7668/2020 sotto allegata, la Corte di Cassazione è tornata sulla delicata questione relativa allo status filiationis di una bambina nata in Italia da una coppia di donne omosessuali che hanno fatto ricorso all'estero alla procreazione medicalmente assistita. In tali casi, afferma la Corte, è impossibile che l'atto di nascita indichi quale madre il partner che non abbia alcun rapporto biologico e/o genetico con la bambina.

Fecondazione assistita e riconoscimento

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La vicenda da cui trae origine la pronuncia della Corte di Cassazione riguarda il rifiuto opposto dall'Ufficiale di stato civile alla richiesta presentata da una coppia di donne omosessuali di ricevere la loro dichiarazione congiunta di riconoscimento della bambina. Quest'ultima veniva concepita all'estero facendo ricorso alla fecondazione medicalmente assistita e nasceva in Italia partorita da una delle due donne la quale ne era anche il genitore biologico.

La coppia si opponeva al diniego dell'Ufficiale di stato civile, sia in primo che in secondo grado, ma la domanda, in entrambi i giudizi, non veniva accolta.

La Corte d'Appello di Venezia rigettava il reclamo, proposto avverso il decreto di rigetto di primo grado, in quanto inammissibile nei termini in cui veniva formulato e, in particolare, in quanto l'Ufficiale di stato civile si riteneva privo del potere di inserire nell'atto dello stato civile indicazioni e dichiarazioni non conformi alla legge italiana (cfr. DPR 3 novembre 2000, n. 396, art. 11 comma 3).

Nel caso di specie, infatti, le donne ricorrenti chiedevano che nell'atto di stato civile fosse indicata anche la maternità della partner che non aveva partorito la bambina (c.d. madre intenzionale).

Avverso la decisione dei giudici d'appello, la coppia decide di proporre ricorso per Cassazione affidandolo a diversi motivi in cui si evidenzia il diritto di entrambe di vedersi riconosciute quali madri della bambina tenuto conto della necessità di conformare l'atto di nascita alla realtà fattuale rappresentata e di rispettare il principio di bigenitorialità.

L'orientamento giurisprudenziale in Italia

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La Cassazione afferma, sulla scorta dei precedenti giurisprudenziali, il proprio dissenso rispetto alla possibilità che dall'atto di nascita della bambina risulti che la stessa abbia due madri, una biologica e/o genetica e una intenzionale.

In altre parole, i Giudici di legittimità escludono che al fine di acquisire il ruolo di genitrice sia sufficiente che la madre non biologica (o intenzionale), abbia prestato il proprio consenso alla sottoposizione da parte della compagna alla tecnica di procreazione medicalmente assistita, seppur svolta all'estero.

La ragione su cui si fonda la conclusione cui è giunta la Suprema Corte guarda infatti al nostro sistema normativo disciplinante la materia e alla ratio ad esso sottesa.

Ed infatti, ove il legislatore pone - ai sensi dell'art. 5 della L. n. 40 del 2004 - il divieto di fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, se non alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in realtà intende implicitamente affermare che una sola persona possa acquisire nell'atto di nascita il ruolo di padre o di madre in ragione del legame biologico o genetico esistente col figlio. Si tratta di un rapporto di filiazione fondato su un dato biologico che per la Corte risulta essere irrinunciabile, stante il contegno assunto dal legislatore in materia il quale diviene principio fondamentale e caratterizzante l'ordinamento giuridico italiano.

Proprio per la ratio normativa esposta, non assume rilievo la circostanza che la fecondazione medicalmente assistita sia stata effettuata all'estero, al contrario deve ritenersi dirimente la necessità di formare l'atto di nascita in Italia che, pertanto, non può riportare indicazioni il cui contenuto sia contrario alle leggi in vigore.

La Corte di Cassazione si sofferma anche sui principi esposti in materia dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 221 del 2019 i quali appaiono determinanti rispetto alla corretta interpretazione della L. n. 40 del 2004, che disciplina una materia ricca di risvolti giuridici di rilevanza costituzionale.

Il riferimento alla giurisprudenza della Consulta è quantomai necessario al fine di rendere evidenti le ragioni che spingono all'ennesimo rifiuto di recepire nel nostro ordinamento la figura della madre intenzionale con conseguente riconoscimento di uno status filiationis da introdurre negli atti dello stato civile. Si tratta di operare un bilanciamento tra interessi di rango primario coinvolgenti il rapporto di filiazione e l'interesse di ciascun individuo di poter realizzare il proprio sentimento di genitorialità quale normale evoluzione della persona.

Ed invero, i giudici della Consulta evidenziano che le tecniche di procreazione medicalmente assistita possono intervenire in soccorso di una coppia solo a certe condizioni.

Dal punto di vista oggettivo, occorre che la procreazione medicalmente assistita rappresenti l'unico rimedio esperibile dinanzi a una patologia cui consegua uno stato di sterilità o di infertilità non diversamente rimovibile.

Ben inteso, dunque, che l'accesso a tali tecniche, va escluso ove sia finalizzato alla realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione delle persone interessate.
Dal punto di vista soggettivo, invece, la normativa citata evidenzia che non tutte le coppie possono farvi accesso, rendendosi necessario che le stesse riproducano il modello di famiglia composto dalla presenza di madre e padre.

In altre parole, la Corte Costituzionale sottolinea la caratteristica di residualità con cui il legislatore ha scelto di contraddistingue l'accesso alla tecnica di fecondazione in parola anche in virtù del "tipo" di famiglia che si voglia realizzare.

Al contrario di quanto sostenuto dalle ricorrenti, ad avviso della Corte di Cassazione, la conclusione interpretativa cui è giunta la Consulta nella richiamata sentenza, alla quale peraltro la prima si conforma, è avallata anche dalla successiva giurisprudenza in tema di adozione di minori da parte di coppie omosessuali, ovvero di riconoscimento in Italia di atti formati all'estero che dichiarino un rapporto di filiazione in cui i genitori hanno lo stesso sesso.

Coppie omosessuali e famiglia: quali aperture giurisprudenziali

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Si deve tener conto che tra l'adozione e la procreazione medicalmente assistita vi è una differenza essenziale che spiega la ragione per cui in caso di coppie omosessuali sia consentita l'adozione e, invece, vietato l'accesso alla procreazione medicalmente assistita. Come insegna la Corte Costituzionale, non vi è contraddittorietà nel sistema, basti assumere la diversità del punto di vista da cui muove l'esame delle due casistiche illustrate.

Da un lato, infatti, l'adozione non è un istituto volto - almeno in via principale - a soddisfare il desiderio di genitorialità di una coppia, ma al contrario a consentire che un minore cresca all'interno di una famiglia, essendone privo; dall'altro lato, la procreazione medicalmente assistita opera al fine di dare un figlio ad una coppia che lo desideri. È evidente che, nel primo caso, si ha un bambino, venuto alla luce, il cui interesse ad instaurare e mantenere relazioni affettive di tipo familiare è preminente rispetto a qualsiasi altro così giustificando l'inserimento in una famiglia costituita da una coppia omosessuale. Nel secondo caso, invece, il bambino deve ancora nascere, pertanto, in questi termini può ragionarsi sull'opportunità di soddisfare il bisogno di genitorialità di coloro che ricorrano alla procreazione medicalmente assistita (c.d. "an" rispetto al diritto di procreare), tenuto conto anche delle modalità attraverso le quali l'aspirazione intende realizzarsi (c.d. "quomodo" in cui si articola il diritto di procreare).

In quest'ottica, in altre parole, l'interesse alla genitorialità è recessivo rispetto al diritto del minore di nascere all'interno di una famiglia che ne assicuri una crescita equilibrata. È in fase di accesso al concepimento - secondo modalità differenti da quelle naturali - che l'ordinamento anticipa la tutela dell'interesse del minore il quale si ritiene consista in una crescita all'interno di una famiglia composta da un padre e da una madre. In tal senso si esprimono gli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, ritenendo, quelle indicate, le migliori condizioni di partenza, almeno secondo una valutazione svolta in astratto.

Il bilanciamento degli interessi così come prospettato rende illegittima ogni condotta che sia volta ad eludere i divieti espressi dalla normativa n. 40/2004 e, seppur posta in atto all'estero, questa si manifesta ostativa rispetto all'acquisto nel nostro ordinamento di uno status filiationis non contemplato.

Come anticipato, il ragionamento della Corte di Cassazione, assieme a quello ad esso sotteso della Consulta, non è peraltro scalfito nemmeno ove lo si raffronti con la posizione dalla stessa assunta in tema di riconoscimento dello status filiationis acquisito all'estero da due donne. In effetti, tale casistica è risolta dalla Corte di Cassazione accogliendo le richieste di riconoscimento seppur provenienti da coppie formate da due donne. Ed allora, prima di giungere a ritenere contraddittorie le pronunce degli Ermellini rispetto a casi analoghi, occorre approfondirne la ratio decidendi. A ben vedere, gli Ermellini nel risolvere con soluzioni opposte le questioni giuridiche sottese alle fattispecie ne evidenziano la ratio ispiratrice fondata su parametri normativi diversi.

È evidente infatti, a dire della Suprema Corte, la differenza sostanziale che intercorre tra la mera richiesta di riconoscimento di un atto estero e la richiesta di formazione di un atto in Italia, tale da legittimare l'introduzione nel nostro ordinamento giuridico di trattamenti differenti.

Ove l'atto di nascita si sia formato all'estero a questo deve darsi riconoscimento in Italia, seppur si manifesti la sua contrarietà rispetto al divieto posto dalla L. 40/2004 per le coppie omosessuali di accedere alla procreazione medicalmente assistita. Il legislatore privilegia, infatti, ritenendolo dominante, l'interesse del minore di conservare anche in Italia lo status filiationis già acquisito all'estero, in virtù dell'affermazione del principio di continuità nei rapporti familiari. Siffatto diritto del minore rappresenta infatti uno dei principi costituenti l'ordine pubblico interno e dunque prevalenti rispetto al divieto di cui alla L. 40/2004.

Un'ulteriore ragione in virtù della quale la Cassazione ammette il riconoscimento dell'atto formato all'estero, seppur su presupposti fattuali che se attuati nel nostro Paese sarebbero stati ostativi alla formazione del medesimo atto, guarda al valore della circolazione degli atti giuridici e alla necessità di apertura dell'ordinamento alle istanze internazionalistiche, delle quali può dirsi espressione anche il sistema del diritto internazionale privato, alla luce dell'art. 117, comma 1, Cost.

Discorso diverso, deve effettuarsi, secondo la Corte di Cassazione, ove si tratti di una coppia genitoriale maschile la quale abbia fatto accesso all'estero alla procreazione artificiale, nella specie della maternità surrogata, che è pratica vietata nel nostro ordinamento (art. 12, comma 6, della L. n. 40 del 2004).

Siffatta casistica si contraddistingue per la contrapposizione di interessi quali la continuità nei rapporti di filiazione prevista a tutela della prole, la tutela della salute e della dignità della donna che abbia concorso a generare il bambino, nonché la tutela dei valori fondamentali racchiusi nell'istituto dell'adozione.

La Corte di Cassazione ritiene, ove ricorra tale fattispecie, e sulla scia di un noto precedente giurisprudenziale (Cass., sez. un., n. 12193 del 2019), che preminenti siano la tutela della donna e la garanzia di operatività dell'adozione, così il divieto di maternità surrogata assurge a principio di ordine pubblico interno il quale, se violato, osta al riconoscimento da parte del nostro ordinamento di atti di stato civile formati all'estero. D'altro canto, gli Ermellini evidenziano che si possa conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione (cfr. Cass., sez. un. cit.).

Cassazione: occorre il legame biologico

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La Corte conclude dunque per il rigetto dei motivi di ricorso in quanto ritiene che la Corte d'Appello ben abbia applicato il divieto di accesso per le coppie omosessuali alla procreazione medicalmente assistita facendone derivare il principio secondo cui una sola persona ha diritto di essere menzionata come madre nell'atto di nascita, creando un rapporto di filiazione fondato sul legame biologico e/o genetico con il nato.

Un divieto che è attualmente vigente all'interno dell'ordinamento italiano e, dunque, applicabile agli atti di nascita formati o da formare in Italia - diversamente dagli atti formati all'estero di cui si chiede nel nostro Paese il mero riconoscimento - a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa.

Avv. Silvia Cermaria

Studio Legale Cermaria

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La Cassazione dice
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