Per il Consiglio di Stato, il singolo coniuge non può essere equiparato al comproprietario e, pertanto, deve ritenersi legittimato a presentare anche uti singuli l'istanza ad aedificandum sul bene oggetto di comunione legale

Avv. Claudio Roseto - L'art. 11, comma 1, del Testo Unico dell'Edilizia (d.P.R. n. 380/2001 e ss.mm.ii.) prevede che il permesso di costruire sia rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo. In materia edilizia, pertanto, il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo è unicamente colui che abbia la totale disponibilità del bene. Sul punto, il Consiglio di Stato, Sez. II, con la recente sentenza n. 1766 del 12 marzo 2020, ha chiarito che anche il singolo coniuge in comunione legale è legittimato ad avanzare l'istanza del titolo edilizio.

La legittimazione alla richiesta del titolo edilizio da parte del comproprietario

[Torna su]

La giurisprudenza amministrativa, in tema di soggetto legittimato all'istanza di rilascio di titolo edilizio e proprietario pro quota, ha affermato che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo dev'essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l'intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso.

Non può riconoscersi, pertanto, alcuna legittimazione al semplice proprietario pro quota, ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l'evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest'ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivide la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento.

In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio - sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati - dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull'immobile, potendosi ritenere d'altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l'esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823).

Conseguentemente, deve sicuramente ritenersi illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l'Amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull'immobile ed accertare, altresì, la legittimazione di quest'ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, del comproprietario.

La differenza ontologica tra la comproprietà e la comunione legale dei coniugi

[Torna su]

I suesposti principi, elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in tema di comproprietà, non sono applicabili agli immobili che ricadono in comunione legale tra i coniugi.

Occorre, quindi, trovare un principio in base al quale risolvere le diverse questioni che si possono porre, in quanto la comunione di un bene fra due soggetti non è una comproprietà in cui ciascun compartecipante è titolare di una quota pari alla metà del bene.

Si tratta, invece, di un istituto particolare (cosiddetto di tipo "germanico") senza quote, pertanto si può solo dire che tutti i soggetti sono comproprietari dell'intero bene.

Questi sono i principi costantemente affermati, nella giurisprudenza di legittimità, relativamente, ad esempio, al pignoramento e all'espropriazione coattiva di un bene in comunione, in quanto la comunione tra coniugi ha la peculiarità di essere senza quote o "a mani riunite", nel senso che, pur essendo entrambi i coniugi contitolari al 50%, lo sono, tuttavia, sull'intero bene (cfr., ex multis, Cassazione civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6230).

Anche sotto il profilo penale emerge la differenza tra bene in comproprietà e bene in comunione legale dei coniugi, proprio in tema di responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall'altro.

In tema di reati edilizi, infatti, la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall'altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all'edificazione, il regime di comunione dei beni, l'acquiescenza all'esecuzione dell'intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l'espletamento di attività di controllo sull'esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l'immobile o l'esecuzione di attività indicative di una partecipazione all'attività illecita (cfr., ex pluribus: Cass. pen. Sez. III 14 novembre 2018, n. 51489).

Legittimazione del singolo coniuge ad avanzare istanza titolo edilizio

[Torna su]

Alla luce delle suesposte differenze tra gli istituti della comproprietà e quello della comunione legale dei coniugi, nonché in forza della disciplina contenuta nel T.U. Edilizia in tema di legittimazione ad avanzare l'istanza del titolo edilizio, il Consiglio di Stato, con la sentenza indicata in epigrafe, ha statuito che il singolo coniuge, proprietario non pro quota ma indistintamente dell'intero bene, è legittimato a presentare, uti singuli, l'istanza per ottenere il titolo edilizio, avendo la stessa, peraltro, effetti favorevoli anche nei confronti del coniuge rimasto inerte.


Avv. Claudio Roseto

Specializzato in diritto amministrativo

Tel: 0981/58003 - cell: 320/1431818

e-mail: claudioroseto@gmail.com - PEC: avv.claudioroseto@pec.it


Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: