Per la Cassazione la Rackete non doveva essere arrestata perché ha adempiuto ad un dovere, portando correttamente in salvo i naufraghi in porto

di Annamaria Villafrate - Gli Ermellini con la sentenza n. 6626/2020 si sono pronunciato sulla vicenda di Carola Rackete, respingendo il ricorso del procuratore del Tribunale di Agrigento e confermando quindi la mancata convalida dell'arresto del Gip, che ha correttamente valutato i fatti e, nel rispetto di quanto sancito dall'art. 385 c.p.p vieta di procedere all'arresto quando, tenuto conto delle circostanze di fatto, "appare" che questo è stato compiuto nell'adempimento di un dovere. La Cassazione ha inoltre respinto la versione del procuratore relativamente alla definizione di nave da guerra della motovedetta della Guardia di Finanza e della nozione di place of safety al fine di ritenere adempiuto il dovere di soccorso della Rackete.

Il ricorso contro la mancata convalida dell'arresto Rackete

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Il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Agrigento ricorre in Cassazione per chiedere l'annullamento del provvedimento del Gip di non convalida dell'arresto in flagranza di Carola Rackete, eseguito dai militari della Guardia di Finanza, per i reati commessi a Lampedusa il 29/06/2019, per i motivi che di vanno a illustrare.

Il Gip non poteva pronunciarsi sull'adempimento di un dovere

Per il Procuratore il Gip ha travalicato i limiti del suo sindacato pronunciandosi sulla causa di giustificazione. Il ricorrente infatti ritiene pacifica la flagranza del reato per il quale è avvenuto l'arresto. Il Gip quindi ha travalicato i limiti cognitivi della fase, perché è arrivato a un giudizio sostanziale sulla gravità indiziaria, mentre avrebbe dovuto valutare solo la legittimità dell'operato della polizia giudiziaria. In questa fase infatti gli sono precluse valutazioni relative alla responsabilità penale o alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Il Gip ha inoltre superato i limiti del suo sindacato ritenendo applicabile la causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p. stante la complessità del quadro normativo della vicenda, tanto che per dimostrarne la sussistenza ha fornito una motivazione di ben 10 pagine, in contrasto con il principio di "apparenza" sancito dall'art 385 c.p.p.

La motovedetta della Guardia di Finanza era una nave da guerra

Per il ricorrente il Gip ha inoltre escluso erroneamente la natura di nave da guerra della motovedetta V.808 della Guardia di Finanza, ritenendo insussistente il reato previsto dall'art. 1100 cod. nav., richiamando la sentenza della Consulta n. 35/2000, che non contiene la limitazione che il Gip ne ha tratto, secondo cui le unità della Guardia di Finanza sono considerate navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali o in porti esteri dove non c'è un' autorità consolare.

La giurisprudenza di legittimità inoltre ha più volte qualificato le motovedette della Guardia di Finanza come "navi da guerra:

  • quando svolgono funzioni di polizia marittima;
  • quando sono comandate ed equipaggiate da personale militare;
  • perché il legislatore le ha iscritte indirettamente a questa categoria nell'art. 6 della legge n. 1409/1956.

Si fa presente infine che a motovedetta V.808 della Guardia di Finanza ha tutti i requisiti tipici di una nave da guerra perché "reca le insegne militari del Corpo di appartenenza (...) il comandante è

un maresciallo ordinario della Guardia di Finanza e riveste lo status militare; è armata con dispositivi di armamento individuali e di reparto di tipo militare." Per cui, al momento dell'arresto, doveva considerarsi una nave da guerra in servizio di polizia marittima per garantire un pacifico, ordinato e sicuro svolgimento delle attività portuali e del mare territoriale.

L'adempimento del dovere non comporta l'accompagnamento a terra dei naufraghi

Per il ricorrente il Gip ha motivato erroneamente la sussistenza dell'adempimento del dovere di soccorso in mare e degli obblighi che ne derivano, sull'errato presupposto che la vicenda fosse da valutare dal momento del salvataggio dei naufraghi in zona SAR libica. La prima parte della vicenda infatti dovrebbe essere oggetto di un diverso e autonomo procedimento penale.

In questa fase si dovrebbe solo valutare l'ingresso violenza della nave nel porto, ovvero in un momento successivo al ritenuto adempimento di un dovere, anche alla luce di quanto stabilito dagli artt. 18 e 19 della convenzione di Montego Bay, i quali richiedono solo la conduzione dei naufraghi in un place of safety e non in un "porto sicuro". Il Gip ha quindi errato nell'interpretare il termine place of safety con l'obbligo di portare i naufraghi a terra, in quanto già la nave Sea Watch3 poteva considerarsi "place of safety".Il Giudice non ha inoltre considerato le possibili alternative disponibili per adempiere al dovere di soccorso, come l'utilizzo delle scialuppe di bordo per trasportare i naufraghi a terra.

Nessuno stato di necessità infine è ravvisabile nel caso di specie. La condotta di resistenza è avvenuta infatti anche in violazione della normativa interna che vieta l'ingresso in porto alla nave, esponendo così i militari della Guardia di Finanza a rischio per la propria incolumità. La decisione impugnata ha fatto poi un erroneo riferimento a due articoli del dlgs n. 286/1998 contestando il provvedimento interministeriale emanato.

Difensori della Rackete, "ha adempiuto a un dovere"

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I difensori della Rackete contestano il primo motivo evidenziando la correttezza delle valutazioni del Giudice della convalida sul divieto di arresto in presenza dell'adempimento di un dovere, così come quella che ritiene la motovedetta della Guardia di Finanza come nave non da guerra. Ritengono infine contraddittoria la richiesta di sindacato relativa all'adempimento del dovere.

Per la Cassazione Carola Rackete ha rispettato il dovere di soccorso

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6626/2020 rigetta il ricorso per le ragioni che si vanno a descrivere.

Arresto vietato in presenza di una causa di giustificazione verosimilmente esistente

Sul primo motivo di ricorso del Procuratore la Cassazione, dopo un meticoloso approfondimento normativo e giurisprudenziale sulle questioni sollevate, la Corte giunge alla conclusione che "il controllo di ragionevolezza effettuato dal giudice della convalida, da cui discende la legittimità o meno della sua decisione, debba avere come parametro l'art. 13 Cost."Da qui il riconoscimento da parte della Cassazione della corretta valutazione del Gip per quanto riguarda l'illegittimità dell'arresto avvenuto in presenza di una causa di giustificazione consistente nell'adempimento di un dovere e quindi in violazione dell'art. 385 c.p.p.

Occorre infatti considerare al riguardo che autorevole dottrina afferma che ai sensi dell'art. 385 c.p.p non è richiesto "che la sussistenza della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere o dell'esercizio di una facoltà legittima o della causa di non punibilità "appaia evidente", ma che essa sia "verosimilmente esistente". L'art 385 c.p.p in tale senso è coerente con la previsione dell'art. 13 della Costituzione, pertanto "in presenza di "verosimile" rappresentazione di una causa di giustificazione opera il divieto di cui all'art. 385 c.p.p e l'atto di arresto eventualmente compiuto non è legittimo."

Lo conferma il fatto che la legge non richiede al Gip che la presenza dell'esimente "sia stata positivamente comprovata in termini di certezza, essendo sufficiente, a tal fine, la sussistenza di un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia compiuto in presenza di tale causa di giustificazione." Da qui la conclusione che "la valutazione del Giudice di Agrigento, che ha ritenuto non ci fossero i presupposti per convalidare l'arresto, eseguito in quel descritto contesto fattuale, poiché operante il divieto di cui all'art. 385 cod.proc.pen., è corretta." Del resto la sussistenza della causa di giustificazione è stata argomentata adeguatamente sia dal punto di vista normativo che giurisprudenziale.

Una nave non è un luogo sicuro

Sul rilievo del Procuratore relativo all'insussistenza dell'adempimento del dovere, fondato sull' interpretazione errata che il Gip avrebbe dato del concetto di "place of safety" la Cassazione concorda con il fatto che una nave non può considerarsi un luogo sicuro in quanto l'art. 13 delle Linee Guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) allegate alla Convenzione SAR prevedono che: "un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative." Anche questa valutazione del Gip quindi è stata effettuata correttamente.

Le navi della Guardia di Finanza sono militari, non sempre però sono da guerra

Infondato il motivo che verte sulla qualificazione della motovedetta della Guardia di Finanza come nave da Guerra. Dalla normativa emerge infatti che esse sono navi militari, ma non possono essere qualificarsi come navi da guerra, perché in questo caso necessitano di altri requisiti come: "essere comandata da un Ufficiale di Marina al servizio dello stato e iscritto nell'apposito ruolo degli Ufficiali o in documento equipollente, il che nel caso in esame non è dimostrato." Errato anche il riferimento alla definizione di nave da guerra contenuta nelle sentenze richiamate perché entrambe precedenti alla emanazione del Codice della navigazione, che contiene una nozione specifica da cui non si può prescindere.

Inammissibile infine il terzo motivo del ricorso perché finalizzato a un esame penetrante dei fatti, con consentito in questa sede.

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