Nel condannare l'amministratore della società di recupero crediti, gli Ermellini analizzano il rapporto tra il diritto del creditore al recupero del credito ed il reato di molestia

di Sara Fabiani - Incorre nel reato di molestia, ai sensi dell'art. 660 del codice penale: "chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo".

Petulanza e biasimevole motivo

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Secondo la dottrina e la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale; Cass. 21 settembre, 1993), per petulanza si intende quando il soggetto agisca in modo pressante oppure impertinente o indiscreto, in maniera tale da interferire, sgradevomente, nella sfera di altre persone, con disturbo della libertà e della loro quiete.

Per biasimevole motivo si intende un movente riprovevole che dia luogo allo stesso effetto descritto sopra.

Per la sussistenza del reato occorre il dolo, perché il fatto deve essere commesso per petulanza (e cioè con arroganza, insolenza, sfacciataggine, ecc.) o per altro biasimevole motivo (per esempio, per fare dispetto) (Antolisei, op.cit.; Cass. 11 dicembre 1991).

Non è necessaria la reiterazione degli atti, bastando anche una sola azione di molestia o disturbo (Così, Cass. 25 novembre 1992).

Dove finisce il diritto del creditore a riscuotere il dovuto e comincia il reato di molestia per le telefonate petulanti e ripetute?

Reato di molestia le telefonate ripetute al debitore

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La Corte di Cassazione, con sentenza 29292/2019 (sotto allegata), ha statuito che subissare il debitore di telefonate, integra gli estremi del reato di molestia ex art. 660 cod.pen.

Secondo la Corte, il profitto avuto di mira non può essere considerato di valore superiore o anteposto all'esigenza del rispetto delle persone e della loro privacy.

Per gli Ermellini, nel caso di specie: "appare indubbio che l'illiceità dell'azione posta in essere (...) è derivata dalla scelta, presumibilmente compiuta dalla governance aziendale, di ricorrere ad insistenti e pressanti iniziative finalizzate al recupero del credito, così anteponendo gli obiettivi di profitto al rispetto dell'altrui diritto al riposo ed a non essere disturbati, ciò che integra il biasimevole motivo richiesto dalla norma incriminatrice; il Tribunale, del resto, è esplicito nell'attestare, sul punto, che già l'elevata frequenza delle telefonate quotidiane risponde alla nozione di petulanza richiesta dalla disposizione applicata". Quindi, l'elevata frequenza delle telefonate quotidiane risponde alla nozione di biasimevole motivo, previsto dal codice penale ed è legittimo parlare del reato di molestia quando, pur in presenza di fatture non pagate, il debitore venga subissato, più volte al giorno, di chiamate.

Nel caso di specie, è stato condannato l'amministratore della società di recupero crediti incaricata da un'azienda di fornitura di energia elettrica, poiché a costui era imputabile la strategia aziendale di effettuare subissanti telefonate ai fini del recupero del credito. Pertanto, la Cassazione ha sancito che il reato di molestia e disturbo alle persone (il c.d. stalking telefonico) può aversi pur in presenza della legittima azione di recupero del credito, se la richiesta è volta con insistenza ad ottenere il pagamento di una fattura e si spinga fino al biasimevole motivo.

Stalking telefonico

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La Cassazione, rispetto al Giudice di merito è stata più incisiva, stabilendo che il tempestare il debitore di telefonate ai fini del recupero del credito vada oltre l'integrazione degli estremi della petulanza, i quali già vengono integrati dal numero di chiamate giornaliere di per sé, ma addirittura si spinge fino a considerare integrati gli estremi del biasimevole motivo, poiché il profitto da raggiungere, attraverso il recupero del credito, non può essere considerato più importante del diritto altrui a non essere disturbato, così sancendo quello che dai più viene chiamato stalking telefonico per le società di recupero crediti troppo "solerti".

Dalla Corte, non è stato ritenuto sufficiente ciò che aveva stabilito il Tribunale di merito e cioè che il tartassare di telefonate colui che non ha ottemperato all'obbligo di pagare le fatture, integrasse gli estremi della petulanza.

I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto opportuno spingersi oltre, cioè fino al biasimevole motivo, quasi fino ad esprimere un giudizio morale sul diritto del creditore al recupero del dovuto, quando ciò avvenga in maniera fastidiosa per il debitore, poiché, come sopra spiegato, il profitto da raggiungere non può essere considerato più importante del diritto a non essere disturbati.

Sara Fabiani

martasara.fabiani@gmail.com

Scarica pdf sentenza Cassazione n. 29292/2019

Foto: 123rf.com
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