Per la Cassazione, anche dopo la riforma, non si può invocare la legittima difesa se la persona accetta lo scontro e si pone nella condizione volontaria di scontrarsi e aggredire l'altra parte

di Annamaria Villafrate - Non si può invocare la legittima difesa se si accetta lo scontro e si aggredisce consapevolmente il nemico giurato di una vita colpendolo con tale violenza da cagionargli la morte. Questo il principio ribadito dalla sentenza n. 39977/2019 della Cassazione (sotto allegata).

Dall'istruttoria è emerso infatti che l'imputato, dopo aver colto all'interno della sua azienda agricola il suo eterno antagonista, non solo gli si è diretto contro, ma dopo avergli sottratto il bastone dalle mani ha iniziato a colpirlo con tale forza e frequenza da non ricordare neppure il numero di colpi inferti allo stesso che, dopo essere stato attinto al volto e agli arti, è caduto a terra esanime. Nessuna legittima difesa e quindi nessun eccesso colposo per questo imputato, che ha tentato di invocare anche la nuova normativa che contempla sempre la legittima difesa quando si compie un atto per respingere un'intrusione realizzata con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone.

La vicenda processuale

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La Corte di assise di appello conferma la condanna emessa all'esito di giudizio abbreviato, dal Gup del Tribunale, nei confronti di dell'imputato, per il delitto di cui all'art. 575 c.p. per avere cagionato la morte di un uomo, a cui ha provocato un trauma cranio-facciale e agli arti, con fratture ed emorragia; per il reato di lesioni personali aggravate in danno della stessa vittima, colpito con un manico di piccone e per l'illecito penale di cui agli artt. 81 e 612, comma 2 c.p. per avere minacciato di morte la vittima.

Il giudice di primo grado ha ritenuto l'imputato responsabile dei reati ascritti, riuniti in continuazione e lo ha condannato alla pena di 14 anni e 4 mesi di reclusione oltre spese accessorie dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell'interdizione legale, oltre alla sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale. Condanna a cui si è aggiunta quella al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili.

La Corte di assise di appello, confermando la decisione di primo grado, ha condannato l'imputato a ristorare alle parti civili le ulteriori spese. Dalla ricostruzione dei fatti operata nel precedente grado di giudizio, compresi gli accertamenti tecnici, è emerso che le lesioni alla vittima sono state prodotte da strumenti compatibili con bastoni, aste spigolose o dotate di bordi sottili, sassi superiori a un chilo di peso e a uno strumento di forma rettangolare allungata, non definibile. Le lesioni sono state cagionate in un breve intervallo di tempo, non sono emersi segni di difesa anche perché nel frattempo la vittima è stata attinta al volto e a tutti e quattro gli arti, condizione che gli ha impedito di difendersi (probabilmente a causa delle rapida perdita di coscienza) e di evitare gli ulteriori colpi che lo hanno condotto alla morte.

La Corte concorda nell'affermare la sussistenza del dolo omicidiario d'impeto, che non ha escluso la lucidità del reo, che ha fatto ricorso a un uso illimitato della violenza e delle armi che si è procurato sul posto, dando sfogo ad una perdurante inimicizia nei confronti della vittima. Sono stati esclusi in un simile contesto l'eccesso colposo di legittima difesa e l'attenuante della provocazione prospettati dall'imputato.

Il ricorso dell'imputato

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L'imputato però ha lamentato l'erronea applicazione degli artt. 52 e 55 del codice penale, stante l'esclusione dei presupposti della legittima difesa e dell'eccesso colposo. L'imputato ha raccontato di aver colto, tra le 20.15 e le 21.00 di sera, la vittima in flagranza di reato mentre perpetrava in suo danno un furto di bestiame, munito di un bastone, che il ricorrente aveva, sul momento, scambiato per un fucile. Da qui la sussistenza della legittima difesa, considerato che le parti ad un certo punto si sono dirette l'uno verso l'altro, non avendo altre via di fuga.

La condotta eccessiva dell'imputato è da ricondurre, per la difesa, ai pessimi rapporti intercorrenti con la vittima, che si era reso responsabile di altri episodi di furto ai suoi danni. La reazione dell'imputato quindi era da ricondurre a questi episodi, non a una volontà libera del soggetto al momento dei fatti, di uccidere la vittima. A sostegno della legittima difesa l'imputato ha inoltre dichiarato di essersi recato nella sua azienda perché allarmato dallo scampanellio insolito del bestiame, che aveva ricondotto al fastidio procurato da altri animali alle sue pecore, del tutto inconsapevole quindi della possibile presenza della vittima all'interno della sua proprietà. Egli quindi ha ecceduto solo nella proporzione della sua reazione, causata dalla sua condizione patologica da cui è affetto e dalla provocazione messa in atto dalla vittima dei suoi confronti.

Alle richieste dell'imputato si è opposto il procuratore generale che ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza dei motivi e inapplicabilità della nuova normativa sulla legittima difesa non ancora in vigore e invocata dall'imputato.

Non c'è legittima difesa se lo scontro è evitabile

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La Corte di Cassazione con sentenza n. 39977/2019 ha rigettato il ricorso, concentrando gran parte della motivazione sulla questione della legittima difesa e dell'eccesso colposo sollevati dall'imputato.

La Corte ha precisato prima di tutto che dal quadro probatorio e dall'analisi della salma è emerso che la condotta dell'imputato ha sicuramente travalicato il limite della necessità di difesa, che nel caso di specie in realtà era puramente eventuale, potendo lo stesso decidere di sottrarsi allo scontro, piuttosto che accettarlo e porre in essere la condotta consapevole che ha condotto alla morte della vittima. Stante l'assenza dei presupposti necessari a configurare la legittima difesa deve escludersi anche l'eccesso colposo.Del resto l'imputato, una volta avvistata la vittima all'interno della sua azienda, gli si è avvicinato, gli ha sottratto il bastone e ha iniziato a colpirlo talmente forte e con tale rapidità da non ricordare neppure il numero di colpi inferti.

Come giustamente chiarito dalla corte territoriale "l'imputato aveva agito - non nella convinzione, sia pure erronea, di doversi difendere dall'altrui aggressione, bensì - per ledere l'antagonista senza limiti, mosso da grave risentimento e da pulsione ritorsiva nei riguardi di (...), dovuti sia a pendenze economiche legate a fatti pregressi, sia alle condotte furtive patite da ignoti, sia per le implicazioni relative a questioni per terreni posseduti in comune in un recente passato, sentimenti che avevano indotto l'imputato a compiere contro quello che la stessa difesa aveva definito il "nemico giurato di una vita" la grave azione aggressiva e di pura vendetta alla prima favorevole occasione insorta."

Occorre pertanto ribadire un principio ormai consolidato in tema di legittima difesa, ovvero che " non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida ponendosi volontariamente in una situazione di inevitabile pericolo per la propria incolumità, fronteggiabile solo con l'aggressione altrui."

Scarica pdf Cassazione sentenza penale n. 39977-2019

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