Perché si configuri il reato di abbandono di animale non serve che la detenzione generi una patologia, è sufficiente che la stessa provochi patimenti

di Annamaria Villafrate - La Cassazione con la sentenza 14734/2019 (sotto allegata) torna a pronunciarsi sul reato di abbandono degli animali, precisando che affinché si configuri la detenzione produttiva di sofferenze, non occorre che tale condizione provochi una malattia, essendo sufficienti i meri patimenti. Nel caso di specie infatti gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell'imputato poiché, non provvedendo al taglio delle unghie degli asini, li costringeva a una postura innaturale, che creava altresì problemi alla deambulazione degli animali.

La vicenda processuale

Il Tribunale di Cuneo condanna E.C. per il reato di cui all'art. 727 cod. pen. L'imputato infatti, nella sua qualità di titolare di diverse aziende agricole "faceva trasportare 63 asini di proprietà delle citate aziende e destinati alla monticazione, alcuni dei quali erano detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze ed, in particolare: 12 asini con evidenti difficoltà di deambulazione per le unghie eccessivamente lunghe, che necessitavano di cure di maniscalco ed un asino che non era in grado di reggersi in piedi e, perciò, di affrontare il viaggio." E.C però proponeva ricorso in Cassazione, contestando, tra l'altro la violazione e l'errata applicazione dell'art. 727 cod. pen. osservando che, in realtà gli animali erano in buone condizioni di salute e che, il giudice non avrebbe potuto prescindere dalla sofferenza degli animali, che di fatto non è stata dimostrata in giudizio.

Non tagliare le unghie all'asino è reato anche se causa un mero patimento

La Cassazione respinge il ricorso ritenendolo inammissibile precisando che: "la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 37859 del 4/6/2014; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014), specificando che assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione (Sez. 7, n. 46560 del 10/7/2015), prendendo in considerazioni situazioni quali, ad esempio, la privazione di cibo, acqua e luce (Sez. 6, n. 17677 del 22/3/2016) o il trasporto di bovini stipati in un furgone di piccole dimensioni e privo d'aria (Sez. 5, n. 15471 del 19/1/2018)."

La Cassazione precisa che ai fini della configurabilità del reato di abbandono di animali, che punisce anche "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze", non è necessario che esse inneschino un processo patologico, essendo sufficiente che siano causa di meri patimenti. Situazione che si è verificata nel caso di specie. L'eccessiva lunghezza delle unghie, infatti, rende indubbiamente difficoltosa la semplice deambulazione, lo stare in piedi, costringendo l'animale a una postura del tutto innaturale, posizione che incide inevitabilmente sulla sua stabilità e sulla capacità di movimento. Non è quindi necessario che la sofferenza sia "provata", è sufficiente attingere al patrimonio di comune esperienza per comprendere che anche lo stato di trascuratezza in cui versa un animale, possa incidere sulla sua sensibilità psico fisica.

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