Secondo la Cassazione non è conforme alla Costituzione e alla CEDU l'assenza di un regime di diritto intertemporale sicché chi ha patteggiato prima della legge 3/19 rischia direttamente il carcere

di Lucia Izzo - La legge Spazzacorrotti (n. 3/2019) è a rischio di incostituzionalità in quanto manda direttamente in carcere coloro che vengono condannati per reati contro la pubblica amministrazione, senza prevedere una disposizione transitoria regolativa dei limiti temporali di applicazione della nuova disciplina.


Chi aveva "patteggiato" una sanzione prima della legge 3/2019, confidando di ottenere misure alternative senza assaggio di pena, si ritrovato "a sorpresa" a passare a una sanzione con necessaria incarcerazione.

La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 12541/2019 (qui sotto allegata) ritiene che la questione di legittimità in tal senso prospettata non sia manifestatemene infondata, ma non può essere sollevata perché non rileva nel caso di specie affrontato dalla Cassazione. Tuttavia, gli Ermellini ritengono che la sua riproposizione potrà avvenire in sede di incidente di esecuzione.

Il caso

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Il ricorrente solleva questione di incostituzionalità dell'art. 6, comma 1, lett. b), legge 9 gennaio 2019, n. 3, là dove ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli "ostativi" ai sensi dell'art. 4-bis legge n. 354/1975, senza prevedere un regime intertemporale.

Il ricorrente sollecita l'incidente di costituzionalità sotto un duplice profilo: in relazione, da un lato, all'omessa previsione di un regime di diritto intertemporale; dall'altro lato, all'inserimento dei reati contro la pubblica amministrazione (in particolare quelli che vengono in rilievo con riferimento alla suaposizione) fra i "reati ostativi" contemplati dall'art. 4-bis ord. penit.

In sostanza, si evidenzia la modifica peggiorativa "a sorpresa" del trattamento penitenziario: con il passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, l'emissione dell'ordine di carcerazione sarà pertanto "obbligata", mentre, al momento in cui aveva avanzato la richiesta ex artt. 444 e 445 c.p.c., il ricorrente poteva ragionevolmente confidare che la sanzione sarebbe rimasta nei limiti di operatività delle misure alternative e dunque "senza assaggio di pena".

Legge anticorruzione: profili di incostituzionalità

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I giudici della sesta sezione penale convengono con il ricorrente: l'omessa previsione di una disciplina transitoria circa l'applicabilità della disposizione (come novellata) può suscitare fondati dubbi di incostituzionalità in relazione ai riverberi processuali sull'ordine di esecuzione, in quanto non più suscettibile di sospensione in forza della previsione dell'art. 656, comma 9, del codice di rito.

Ancora, rammenta la Cassazione, nella più recente giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena hanno assunto una connotazione "antiformalista" e "sostanzialista", privilegiandosi alla qualificazione formale data dall'ordinamento, la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonché alle modalità di esecuzione della sanzione o della misura imposta.

Avuto riguardo al diritto vivente, si legge nel provvedimento, le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, sono considerate norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette (in assenza di una specifica disciplina transitoria), al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 c.p.. e dall'art. 25 Cost.

Anche alla luce della giurisprudenza EDU, secondo la Corte, non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le "carte in tavola" senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l'art. 7 CEDU e, quindi, con l'art. 117 della Costituzione.

Ma sul punto la Cassazione non può pronunciarsi espressamente: la questione di incostituzionalità prospettata, spiegano gli Ermellini, afferisce non alla sentenza di patteggiamento oggetto del ricorso, ma all'esecuzione della pena applicata con la stessa sentenza, dunque a uno snodo processuale diverso nonché logicamente e temporalmente successivo, di talché ai fini della decisione di questa Corte non rileva, potendo se del caso essere riproposta in sede di incidente di esecuzione.

Reati PA: riparazione pecuniaria preclusa dal patteggiamento

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I giudici ritengono, inoltre, che debba essere esclusa la riparazione pecuniaria posta a carico del funzionario corrotto nei confronti dell'amministrazione di appartenenza nei casi di patteggiamento ordinario, ma anche allargato.


Si tratta di una misura introdotta dalla L. 69/2015 e modificata dallo spazzacorrotti che ha introdotto il riferimento alla "somma equivalente al prezzo o al profitto del reato". Diversamente opinando, infatti, l'imputato si ritroverebbe a pagare due volte (una a titolo restitutorio e l'altra risarcitorio).


In tema di reati contro la pubblica amministrazione, spiega la Corte, il patteggiamento di una pena detentiva anche nella forma c.d. allargata preclude l'applicazione della riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater cod. pen., presupponendo essa la pronuncia di una sentenza di "condanna" propriamente detta, cioè resa a seguito di rito ordinario o abbreviato.

Scarica pdf Cass., VI pen., sent. n. 12541/2019

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