Il compenso di un avvocato è eccessivo se sproporzionato rispetto alla remunerazione ritenuta equa, in base all'attività svolta e alla tariffa vigente

di Annamaria Villafrate - Il Consiglio nazionale Forense, chiamato a pronunciarsi sulla misura della parcella di un avvocato, ritenuta eccessiva dai clienti, nella sentenza n. 9/2018 (sotto allegata) enuncia i principi da rispettare per esprimere tale valutazione. Secondo il C.N.F, non si deve solo tenere conto della tariffa vigente nel momento in cui il compenso viene calcolato, ma anche dell'attività svolta e della misura del compenso ritenuta equa. Solo dopo questa quantificazione è possibile procedere al successivo giudizio di comparazione, al termine del quale il compenso può essere ritenuto giusto o eccessivo.

Il ricorso al C.O.A. di Trieste

Presentano un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trieste due nonni, che per farsi assistere in una causa davanti al Tribunale dei Minorenni tesa a chiedere l'affidamento dei nipoti, si erano rivolti a un legale che, a fronte dell'attività di assistenza "aveva richiesto compensi sproporzionati rispetto all'attività defensionale espletata in favore dei clienti e per di più non emettendo la fattura a fronte dei compensi dagli stessi versatigli."

Il legale per la redazione del ricorso introduttivo e la partecipazione a due udienze, aveva infatti presentato un conto di euro 4.449,61. L'eccessiva entità della parcella veniva rilevata da un avvocato, nominato dalla nonna (divenuta nel frattempo tutrice dei nipoti) su autorizzazione del giudice tutelare, per curare la pratica successoria dei minori, rimasti orfani di entrambi i genitori. Dopo la nomina il nuovo legale si rivolgeva al precedente, segnalando l'eccessiva entità della parcella. Il difensore riconosceva quanto contestato, attribuiva l'errore al software utilizzato per il calcolo dei compensi e si rendeva disponibile a restituire 2000 euro, anche se poi ne corrispondeva solo la metà.

Il C.O.A, accogliendo il ricorso dei clienti, riteneva l'avvocato responsabile di avere chiesto un compenso sproporzionato rispetto all'attività defensionale svolta. A tale pronuncia a però il legale si opponeva, evidenziando che il Consiglio, nell'esprimere il suo giudizio, non aveva tenuto conto delle altre attività, svolte al di fuori del procedimento intrapreso di fronte al Tribunale dei Minori. A questo punto il difensore soccombente si rivolgeva al C.N.F.

C.N.F: compenso proporzionato all'attività svolta nel rispetto della tariffa vigente

Il Consiglio Nazionale Forense accoglie in parte il ricorso dell'avvocato soccombente, applicando la sanzione della censura ed esplicando nella lunga e complessa motivazione i principi da seguire, al fine di stabilire l'eccessività o meno di un compenso.

Prima di tutto il C.N.F precisa che "per accertare la sussistenza dell'illecito disciplinare di cui all'art. 43 del previgente C.d.F è necessario effettuare un giudizio di comparazione tra l'attività espletata e la misura di compenso ritenuta proporzionata, compenso quest'ultimo che poi può essere confrontato con quello ritenuto eccessivo", raffronto che non è stato operato dal C.O.A territorialmente competente "che non ha fatto buon governo

della giurisprudenza domestica, che pure aveva enunciato correttamente in premessa, secondo cui il compenso può ritenersi sproporzionato od eccessivo ex art. 43 codice deontologico (ora art. 29 c.d.f) solo al

termine di un giudizio di relazione condotto con riferimento a due termini di comparazione, ossia l'attività espletata e la misura della sua remunerazione da ritenersi equa; solo una volta che sia stato quantificato l'importo ritenuto proporzionato può essere formulato il successivo giudizio di sproporzione o di eccessività, che, come ovvio, presuppone che la somma richiesta superi notevolmente l'ammontare di quella ritenuta (C.N.F, sentenza 11/6/2015 n. 87; C.N.F sentenza 18/3/2014 n. 29). Giudizio di comparazione che, ovviamente, deve essere fatto tenendo conto del tariffario vigente ratione temporis.

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Scarica pdf Consiglio nazionale Forense - sentenza n. 9-2018

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