La Cassazione conferma la condanna per atti persecutori nei confronti dell'ex deluso dalla fine della relazione. Anche i troppi regali indesiderati assumono un'oggettiva portata molesta

di Lucia Izzo - La fine di una relazione, non accettata da uno dei due ormai "ex" partner, che sfocia in comportamenti ossessivi e persecutori ai danni della vittima, costretta a denunciare per stalking. Una vicenda dal copione tristemente diffuso che si è tradotta in una condanna per il delitto di cui all'art. 612-bis del codice penale.


Inutile per l'imputato sottolineare come le condotte moleste fossero state limitate in un ristretto ambito temporale e finalizzate esclusivamente a ricomporre la rottura della relazione. Anzi, secondo i giudici, nel contesto di condotte persecutorie e insistenti perpetrati dall'uomo anche l'offerta di doni indesiderati (declinati dalla destinataria) ha assunto un'oggettiva portata molesta.


Tanto si desume dalla vicenda di cui si è occupata la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, pronunciandosi con la sentenza n. 35790/2018 (qui sotto allegata) sul ricorso di un uomo condannato per atti persecutori nei confronti della sua ex fidanzata.


Nei suoi confronti era scattata la denuncia per stalking con una conseguente condanna confermata dalla Corte d'Appello dopo un'attenta valutazione degli elementi probatori e un apprezzamento delle deposizioni dei testi, nonché della persona offesa.

Deluso della fine della relazione, nelle due settimane successive alla rottura l'uomo aveva posto in essere una serie di condotte vessatorie, sostanzialmente caratterizzate da insistenti telefonate, messaggi e appostamenti, culminati in una violenta aggressione ai danni della persona offesa.

In un simile contesto, secondo i giudici, anche l'offerta di doni indesiderati (e in quanto tali declinati dalla destinataria) aveva assunto un'oggettiva portata molesta, configurandosi quale forma di imposizione e implicita richiesta di ripristino dei rapporti

In Cassazione, tuttavia, l'imputato deduce travisamento della prova e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale assegnato valore non conferente ai fatti, stravolgendo il senso e il confine della vicenda processuale, in riferimento all'evento del reato e all'elemento soggettivo.

In particolare, l'uomo evidenzia come le condotte "solo moleste" si sarebbero reiterate in un ristretto ambito temporale e fossero volte unicamente a ricomporre la rottura della relazione con la ex o comunque a scopo di chiarificazione.

Le sue doglianze, secondo gli Ermellini, finiscono per (ri)proporre una lettura alternativa degli esiti della prova, inammissibile sede di legittimità.

Stalking tempestare la ex di chiamate, messaggi e regali indesiderati

La Cassazione rammenta come il delitto di atti persecutori sia configurabile anche quando le singole condotte siano reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo ambito temporale, pur solo in un giorno, costituisca la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice.

Ai fini della configurabilità del reato di stalking, precisa la Corte, è sufficiente la determinazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis c.p., che la vittima dovrà prospettare espressamente e descrivere con esattezza, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.

Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta come in conseguenza della ininterrotta ingerenza dell'ex nella vita della vittima, quest'ultima avesse maturato un perdurante stato d'ansia e di paura, tale da indurla (subito dopo la denuncia) a lasciare la città ed a rendersi irreperibile persino ai suoi conoscenti.

Le censure articolate nel ricorso, nel proporre una lettura soggettivistica e psicopatologica di siffatto pericolo e nel ricondurre a causali opportunistiche il trasferimento della persona offesa, non si confrontano con la ricostruzione operata nella sentenza impugnata, nella quale appare adeguatamente ricostruito il disagio derivante dalla reiterata condotta assillante, culminata nella degenerazione dell'ennesimo appostamento.

All'uopo, si legge nel provvedimento, non si richiede uno stato patologico essendo, invece, sufficiente che gli atti ritenuti persecutori (nella specie costituiti da minacce, pedinamenti, atti di violenza comunque manifestati nel corso di incontri imposti) abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Il ricorso è ritenuto, pertanto, inammissibile.

Cass., V pen., sent. n. 35790/2018

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: