Le regole del codice civile sulla circolazione dei contratti nell'azienda e una singolare pronuncia della Corte di Cassazione che apre scenari innovativi

Avv. Raffaele Greco - I meccanismi normativi che governano la circolazione dei contratti e dei debiti sono il più delle volte trascurati nella stipula di contratti di alienazione e di affitto d'azienda.
Tuttavia, si tratta di regole che il moderno imprenditore non può ignorare. Farsi affiancare da un advisor legale può rivelarsi una scelta vincente fin dai primi momenti della trattativa.
Il professionista, impegnato nella diligence tecnico-giuridica degli asset aziendali, può offrire all'imprenditore elementi di valutazione compiuta circa la sostenibilità di un'operazione che non può certamente prescindere dai congegni circolatori anzidetti.

Si tratta di profili che possono orientare l'imprenditore verso scelte consapevoli.

La circolazione dei contratti nell'azienda secondo il codice civile

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Il codice civile all'art. 2558 stabilisce che, in caso di trasferimento (alienazione, usufrutto o affitto), il cessionario (l'usufruttuario o l'affittuario) subentrano nei contratti pendenti per l'esercizio dell'impresa.

Si tratta di un effetto automatico della successione.
Il meccanico subentro nei rapporti contrattuali concerne i contratti d'impresa (necessari ad acquisire il godimento dei beni aziendali) ed i contratti d'azienda (aventi ad oggetto la collocazione sul mercato dei beni e dei servizi prodotti dall'imprenditore quali, tra gli altri, la somministrazione coi fornitori, l'assicurazione, gli appalti ecc.).

La successione nei contratti prescinde dal consenso del terzo contraente e libera il cedente dalle obbligazioni scaturenti da contratti traslati in capo al nuovo titolare dell'azienda. Tale opzione normativa si giustifica con l'esigenza di tutelare il terzo contraente assicurandogli la prosecuzione del rapporto contrattuale con chi subentra nel complesso aziendale.

È comunque consentito al cedente e al cessionario di escludere dalla vicenda traslativa, mediante apposita pattuizione, specifici contratti. Beninteso che, l'esclusione, non può riguardare quei rapporti che garantiscono beni o servizi essenziali per l'impresa non facilmente rimpiazzabili dal subentrante[1].

Ad ulteriore tutela del terzo contraente, l'ordinamento riconosce il diritto di recesso dal contratto nel termine di 3 mesi da quando il terzo ha notizia del trasferimento, purché dimostri l'esistenza di una giusta causa di recesso dovuta al trasferimento dell'azienda.

Taluni rapporti, quali il lavoro subordinato traslano inderogabilmente, gravando il cessionario delle obbligazioni che ne derivano (art. 2112 c.c.). Parimenti, la successione automatica opera anche per i contratti di locazione riguardanti immobili a destinazione industriale, commerciale e artigianale, purché unitamente al trasferimento dell'azienda, fatta salva l'opposizione del proprietario del bene per "giusta causa".

Perché si abbia successione ai sensi dell'art. 2558 c.c. è necessario che, al momento della cessione (o dell'affitto), i contratti aziendali non abbiano ancora avuto esecuzione o che siano ancora pendenti, in corso di esecuzione.

In caso contrario, il cedente sarebbe titolare - a seconda delle circostanze - solo di un credito o di un debito nei confronti del terzo contraente. Sicché non troverebbe più applicazione la regola della successione nel contratto aziendale, bensì i meccanismi che regolano la circolazione dei crediti o dei debiti dell'azienda.

La circolazione dei debiti dell'azienda, uno spartiacque

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Con specifico riguardo a tale argomento, le norme e le pronunce prospettano uno spartiacque a seconda che la successione nell'azienda avvenga per alienazione o per affitto. Nel caso di alienazione dell'azienda l'art. 2560 c.c. stabilisce la permanenza di tutti i debiti - sorti anteriormente al trasferimento - in capo all'alienante. Quest'ultimo è liberato solo se i creditori lo consentono.
Tuttavia, l'acquirente (nel solo caso di impresa commerciale) diviene anch'egli debitore, rispondendo in solido col cedente sotto forma di accollo per volontà normativa, dei debiti anteriori all'acquisto, purché i debiti risultino dai libri contabili obbligatori dell'impresa.

L'interpretazione giurisprudenziale e dottrinale in tema di debiti d'azienda ritiene inderogabile l'art. 2560 c.c. In altre parole, l'alienante e l'acquirente non possono escludere contrattualmente la solidarietà del secondo per i debiti aziendali pregressi. Scopo della norma, infatti, è garantire i creditori assicurandone la soddisfazione anche di fronte a vicende traslative del complesso aziendale. Una pattuizione di senso contrario sarebbe nulla.

No accollo dei debiti con l'affitto d'azienda

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L'inapplicabilità dell'art. 2560 c.c. all'affitto d'azienda[2] si spiega con la valenza eccezionale della norma in discorso (dal momento che il cessionario subentra, per espressa volontà normativa, nei debiti pregressi mentre l'affittuario ha solo una disponibilità temporanea degli assets aziendali che non giustificherebbero un accollo dei debiti pregressi). Si spiega poi con l'idea che l'affitto - rimanendo inalterata la proprietà del complesso di beni in capo al concedente - garantisce i creditori dell'affittante con i beni costituenti l'azienda.

I principi appena illustrati hanno poi risvolti ulteriori, sia normativi che pratici.

Nello specifico, il divieto di traslazione dei debiti opera anche nel caso di retrocessione dell'azienda affittata alla scadenza naturale del contratto. Diversamente opinando si darebbe luogo ad una distorsione: il concedente risponderebbe in solido con l'affittuario dei debiti contratti dal secondo nell'esercizio dell'attività in pendenza dell'affitto e che risultano dai libri obbligatori al momento della retrocessione.

Retrocessione azienda e successione nei debiti: la Cassazione fuori dal coro

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Desta molte perplessità un recente pronunciamento della Corte di Cassazione, sentenza n. 23581 del 9 ottobre 2017, un unicum nel suo genere.

I Supremi Giudici affacciano per la prima volta la tesi della traslazione, anche in capo al concedente ai sensi dell'art. 2560 c.c., dei debiti maturati dall'affittuario e che risultano dai libri contabili obbligatori al momento della restituzione dell'azienda, al tempo della scadenza naturale dell'affitto.

La decisione in discorso si inserisce in una vicenda di retrocessione d'azienda da una società affittuaria alla società concedente dichiarata fallita. Ha ritenuto il Collegio che, la successione nei debiti d'azienda costituisce, in tutti i casi, conseguenza necessaria e ineliminabile del trasferimento del complesso aziendale. Ciò sul presupposto che, la nozione di "trasferimento", sarebbe comprensiva non solo dell'alienazione, ma della restituzione, all'affittante, del complesso aziendale una volta cessato il contratto di affitto d'azienda.

Sintesi dei rilievi critici

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Autorevoli giuristi criticano l'impostazione affacciata dalla sentenza in discorso.

Una lettura così ampia dell'art. 2560 c.c. significherebbe compromettere l'utilizzo del contratto di affitto d'azienda. L'affittante, privo di significativi poteri di controllo, risponderebbe dei debiti maturati dall'affittuario in pendenza dell'affitto. Sarebbe così pregiudicata l'efficacia segregativa che caratterizza l'istituto[3]. Tra l'altro, dando spazio a questa impostazione, nulla impedirebbe di ritenere applicabile l'art. 2560 c.c. anche all'affitto d'azienda nella sua fisiologia e non solo alla retrocessione del complesso di beni.

In secondo luogo, è logico opinare che, il trasferimento temporaneo dell'azienda in capo all'affittuario non stabilizza i rapporti e la collocazione dei beni, profilo invece proprio dell'alienazione del complesso aziendale.

Solo applicando il congegno dell'art. 2560 c.c. si garantisce ai creditori dell'alienante di potersi soddisfare sui beni definitivamente trasferiti al cessionario mentre, nel caso di affitto, l'azienda permane nel patrimonio del concedente. Inoltre, l'affidamento dei creditori dell'affittuario non sarebbe pregiudicato in quanto sono consapevoli della temporanea disponibilità in capo al loro contraente degli assets aziendali e di non potere fare affidamento sul complesso di beni aziendali quale garanzia delle proprie pretese.

Per cui la posizione di detti creditori non cambierebbe.

Ferme le illuminate argomentazioni critiche appena esaminate, a parere di chi scrive la pronuncia in discorso origina da un equivoco di fondo. L'esame non limitato alla massima estrapolata dal provvedimento permette di verificare che, la fattispecie de quo definita dalla Cassazione riguarda l'ipotesi di un pagamento, richiesto da una società appaltatrice, del corrispettivo spettante per le prestazioni "interamente eseguite" all'affittuario dell'azienda. L'appaltatrice, essendo stata retrocessa l'azienda all'affittante, ha chiesto a quest'ultimo il pagamento del corrispettivo.

Ebbene, la tesi favorevole alla traslazione del debito sposata dal Collegio, già ampiamente illustrata, muove da un altro precedente decisum, riferito però a una vicenda diversa e distante da quella in discorso.

Difatti, la sentenza richiamata in motivazione da cui trae specie il principio di diritto criticato (Cassazione civile 16 giugno 20014, n. 11318), definisce il caso della traslazione di un "debito" nascente dal contratto di somministrazione, notoriamente qualificato quale contratto di durata a prestazioni corrispettive.

L'occasione ha permesso al Collegio di inquadrare correttamente la fattispecie nel meccanismo traslativo dell'art. 2558 c.c. Gli Ermellini hanno ritenuto obbligato il concedente, nei confronti del somministrante, per il pagamento delle somme dovute a cagione delle forniture realizzate a favore dell'affittuario allorché l'affitto d'azienda fosse scaduto ed il complesso aziendale retrocesso al concedente medesimo.

Nel ragionamento dei Supremi Giudici il congegno normativo dell'art. 2560 c.c. funziona solamente in relazione a debiti "in sé considerati" e non quando, viceversa, si collegano a posizioni contrattuali non ancora definite. Posizioni, queste, che transitano col contratto, seguendo il meccanismo dell'art. 2558 c.c., per effetto della retrocessione dell'azienda.

Dunque, diversamente da quanto il Collegio ricava nella sentenza del giugno 2017, la traslazione dell'obbligazione, nella pronuncia evocata per confezionare l'innovativo principio di diritto avviene sempre secondo i crismi dell'art. 2558 c.c. (circolazione dei contratti), e non secondo l'art. 2560 c.c. (circolazione dei debiti).

Tant'è che, non a caso, che il precedente in discorso "incarica" il giudice di rinvio di accertare se, il contratto di somministrazione, al momento della retrocessione dell'azienda, fosse ancora "in essere oppure avesse esaurito del tutto i suoi effetti" (secondo le regole di quel contratto).

Ci sarebbe però da domandarsi, a questo punto, i contratti a prestazioni corrispettive possano essere forieri di debiti "di per sé considerati". Ad avviso di chi scrive la risposta (negativa) al quesito ispirerebbe molteplici rilievi critici sul piano logico e tecnico - giuridico. Ad ogni modo, rispondere meriterebbe l'analisi di questioni non consentite in questa sede.

Avv. RAFFAELE GRECO

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[1] V. Bonocore, Diritto Commerciale, Torino, 2016

[2] Cassazione civile 8 maggio 1981, n. 3027

[3] F. Fimmanò, Rivista del Notariato, fasc.1, 2018, 114


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