La Cassazione ritiene che se la causa routinaria si risolve negativamente l'avvocato deve provare la gestione ineccepibile della lite

di Lucia Izzo - In caso di esito negativo di una causa facile, addirittura routinaria, spetta all'avvocato l'onere di provare che la sconfitta non è dipesa da sua imperizia o negligenza.


Un principio desumibile dall'ordinanza n. 18569/2018 (qui sotto allegata) con cui la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha respinto il ricorso incidentale avanzato da una società assicurativa chiamata a manlevare un avvocato dagli esiti della vicenda che lo aveva coinvolto.


In particolare, la Corte d'Appello aveva accolto la domanda risarcitoria proposta da un cliente nei confronti del legale che lo aveva assistito in una causa relativa al contratto preliminare da lui stipulato per l'acquisto di un'immobile.


A fronte dell'inadempimento del promittente venditore, tuttavia, il cliente e promissario acquirente avrebbe avuto non soltanto l'alternativa di scegliere fra la risoluzione del contratto e l'accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma avrebbe potuto esperire l'azione di cui all'art. 2932 c.c. chiedendo, contestualmente e cumulativamente, anche la riduzione del prezzo al fine di tutelare il suo legittimo interesse al sostanziale rispetto degli impegni assunti.


Quest'ultima azione (riduzione del prezzo) non era stata esperita dal legale e, ove ritualmente introdotta, ben avrebbe potuto nel caso di specie, sovvertire l'esito della causa andata a svantaggio del cliente e risoltasi in nella condanna di questi al rilascio dei beni e al pagamento di una indennità di occupazione, oltre che al pagamento delle spese di lite.

Causa facile? L'avvocato deve provare che la sconfitta non deriva dalla sua negligenza o imperizia

Gli Ermellini ritengono di aderire alle conclusioni dei giudici di merito secondo cui la causa del cliente, al momento della sua introduzione, si profilava come una vicenda basata su una situazione di forza verosimilmente destinata a sfociare in una vittoria, mentre invece si era risolta in una sconfitta.


Poiché i fatti si erano svolti nel 1981, l'assicurazione chiamata a manlevare l'avvocato dalla sua responsabilità aveva fatto presente come la responsabilità del professionista avrebbe dovuto ritenersi esclusa in ipotesi di interpretazione delle leggi o di risoluzione di questioni opinabili, salvo questi avesse agito con dola o colpa grave.


In realtà, la giurisprudenza di legittimità aveva fin dal 1976 statuito che la domanda di riduzione del prezzo poteva essere proposta unitamente a quella di adempimento e la negligenza dell'avvocato era consistita sia nel non aver introdotto la domanda di riduzione sia nell'aver agito come se fosse stata proposta.


Inoltre, spiegano i giudici di merito, l'esito negativo di una causa facile (se non addirittura routinaria) sposta sull'avvocato l'onere di provare che detto esito non era dipeso da sua imperizia o negligenza.


Nel caso di specie, non soltanto detta prova non era stata fornita, ma anzi erano emersi elementi indicativi di una gestione della lite non ineccepibile, quali l'esistenza di un filone giurisprudenziale che ammetteva la cumulabilità dell'actio quanti minoris con l'azione di cui all'art. 2932 c.c., per cui sarebbe stato prudente per il legale proporre sin dall'inizio detta domanda.


Per gli Ermellini tale motivazione è conforme ai dicta della giurisprudenza di legittimità e non viola alcuna disposizione i legge. Pertanto il ricorso dell'assicurazione va respinto.


Cass., III civ., ord. 18569/2018

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