La dichiarazione d'inammissibilità di un appello che non rispetta i formalismi di cui all'art 342 c.p.c., spiega la Suprema Corte, ostacola l'accesso al processo

di Annamaria Villafrate - Secondo la Cassazione le regole formali sancite dall'art. 342 c.p.c non devono essere applicate rigidamente in fase di valutazione ammissibilità dell'atto di appello. Il giudice deve piuttosto: 1) prestare più attenzione alla sostanza e al contenuto dell'atto; 2) tra più ragioni di rigetto della domanda, optare per quella afferente al merito perché assicura il risultato più stabile; 3) garantire il principio di effettività della tutela giurisdizionale. E' quanto affermato dalla S.C. nella recente ordinanza n. 13535/2018 (sotto allegata), con la quale i giudici di legittimità hanno colto l'occasione per dettare una sorta di linee guida in materia.

La vicenda processuale

Nel 2010 la ricorrente propone due opposizioni al Giudice di Pace aventi ad oggetto due cartelle di Equitalia Sud s.p.a., con cui le viene richiesto il pagamento forzoso del canone ordinario, di quello per eccedenza, oltre sanzioni e interessi dovuti per la somministrazione di acqua.

Il Giudice di Pace nel 2012 annulla una delle due cartelle, rigettando l'opposizione per l'altra. La sentenza viene appellata dall'odierna ricorrente, ma il Tribunale dichiara l'appello inammissibile per genericità, ai sensi dell'art. 342 c.p.c. Avverso la sentenza d'appello la ricorrente propone ricorso in Cassazione lamentando il vizio di nullità processuale ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c, ritenendo di aver esposto in maniera chiara le censure avverso la sentenza del Giudice di Pace.

Cassazione: le linee guida per l'appello

La Cassazione accoglie il ricorso perché fondato. Il Tribunale ha ritenuto erroneamente che, in virtù della riforma dell'art. 342 c.p.c (art. 54, comma 1, lettera del d.l. n. 83 del 22/06/2012, convertito nella 1. 7 agosto 2012, n. 134), chi intende proporre appello debba "indicare i passi della motivazione della sentenza impugnata da censurare, le modifiche da apportare alla stessa ed esporre un progetto alternativo di sentenza." Le Sezioni Unite della Cassazione ritengono questa tesi errata per tre ragioni. Analizziamole separatamente.

1) La sostanza dell'atto deve prevalere sulla forma

Il nostro processo civile è caratterizzato da un "assetto teleologico delle forme", come emerge dall'art. 156, comma terzo, c.p.c: "La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato". Senza soffermarsi troppo sulla differenza tra requisiti dell'atto d'appello richiesti a pena di nullità art. 156 comma 3), e quelli di forma e contenuto invocati a pena di inammissibilità (art. 342 c.p.c), è innegabile che l'art. 156, comma 3 c.p.c esprime un principio generale dell'ordinamento processuale, che non si può ignorare. Ne consegue che quando è necessario valutare l'ammissibilità di un'impugnazione il giudice è tenuto a prestare attenzione alla sostanza e al contenuto effettivo dell'atto piuttosto che al rispetto delle forme.

2) Tra il rigetto per motivi di rito e di merito prevale il secondo

Le norme processuali, se ambigue, devono essere interpretate "in modo da favorire una decisione sul merito". Le regole processuali infatti rappresentano solo il mezzo per garantire la giustizia della decisione, non la finalità del processo, come sancito dalle SU, nella sentenza n. 26242 del 12/12/2014. Con questa pronuncia è stato superato l'assunto della primazia del rito rispetto al merito, perché ha stabilito che "che tra più ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile: sicché tra un rigetto per motivi di rito e uno per ragioni afferenti al merito, il giudice dovrebbe scegliere il secondo."

3) Il principio di effettività della tutela giurisdizionale

Il diritto processuale, come quello sostanziale "non può non essere interpretato alla luce delle

regole sovranazionali imposte dal diritto comunitario", come l'art. 6, comma 3, del Trattato sull'Unione Europea ("Trattato di Lisbona", ratificato e reso esecutivo con la legge n. 130 del 2

agosto 2008, secondo il quale "i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (...) fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali".)

Nell'interpretare l'art. 6 della Convenzione, la Corte di Strasburgo (CEDU) ha affermato più volte che il principio di effettività della tutela giurisdizionale, poiché risponde all'esigenza della tutela dei consociati, richiede che la domanda debba essere esaminata, se possibile, preferibilmente nel merito. Al fine di favorire concretamente il diritto di accesso a un tribunale (art. 6 CEDU) il giudice non deve badare troppo al rispetto delle forme nel momento in cui deve valutare l'ammissibilità o la ricevibilità dei ricorsi.

Atto d'appello: le conclusioni della Cassazione

Queste quindi le conclusioni della Corte di Cassazione sulla corretta interpretazione dell'attuale formulazione 342 c.p.c che disciplina la "Forma dell'Appello":

  • non esiga dall'appellante alcun "progetto alternativo di sentenza";
  • non esiga dall'appellante alcun vacuo formalismo fine a se stesso;
  • non esiga dall'appellante alcuna trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata o di parti di essa.

Cassazione ordinanza n. 13535 -2018

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