Un nuovo ed espresso corollario del principio di legalità, quale specificazione della riserva di legge e monito per il legislatore, nell'ottica di rendere più accessibili e conoscibili le fattispecie
di Enrico Pattumelli - Fino ad adesso, la maggior parte dei manuali di diritto penale consideravano il fenomeno della delegificazione. Sin dalle prime pagine, affrontando la questione della collocazione delle fattispecie incriminatrici nel nostro ordinamento, si metteva in luce come queste fossero da rinvenirsi non solo nel codice penale ma, soprattutto, nelle numerose leggi speciali introdotte negli ultimi decenni.

Il proliferare delle materie nelle quali è intervenuto il legislatore penale, unito al loro elevato tecnicismo, ha comportato l'introduzione di numerosissime leggi speciali.

Una siffatta tecnica legislativa è stata ben presto criticata dal momento che delinea un quadro normativo disorganico, a tratti incoerente e frastagliato.

Un pilastro fondante del nostro ordinamento è, come noto, il principio di legalità.

Il principio di legalità

Quest'ultimo opera in modo differente a seconda che si consideri il diritto amministrativo, civile o penale.

Nel diritto amministrativo, il principio di legalità è volto a garantire l'imparzialità e il buon andamento della PA nel perseguimento dei fini pubblici prestabiliti ex ante dalla stessa legge, dovendo contemperare di volta in volta gli interessi coinvolti, sia pubblici che privati.

Nel diritto civile, tale principio è finalizzato a delimitare e contenere l'autonomia privata.

Nel diritto penale, può dirsi ormai superata la concezione che il principio di legalità sia volto a garantire la certezza del diritto.

Ad oggi infatti è pacifico che, ai sensi degli art. 25 Cost., art. 1 c.p. e art. 7 Cedu, il principio di legalità rinviene il suo fondamento nel tutelare la libertà di autodeterminazione dei consociati.

In altri termini, ogni cittadino deve poter conoscere e prevedere ex ante le conseguenze penali legate alle proprie condotte.

Volendo richiamare i concetti elaborati dalla Corte Edu con il noto caso Contrada, emerge la necessità di rendere accessibile la norma e prevedibile la sanzione.

E' evidente che tali esigenze sono strettamente collegate anche al principio di colpevolezza ex art. 27 co 1 e 3 Cost., in virtù di quanto esplicitato dalla Corte Costituzionale con la storica sentenza 364/1988.

La colpevolezza è una fattispecie complessa che consta, tra i suoi presupposti, della coscienza dell'illiceità penale da parte dei cittadini.

A seguito della succitata sentenza di tipo additivo, l'art. 5 c.p. prevede che l'ignoranza della legge non è scusabile se non è inevitabile.

Se da un lato il legislatore deve rendere possibile la conoscenza dei precetti penali, dall'altro lato ogni consociato ha un dovere di informazione, quest'ultimo quale specificazione del più generale dovere di solidarietà ex art. 2 Cost.

Da quanto sinora esposto si deduce che la possibilità di conoscenza e il dovere di informazione potranno essere assolti solo se risulti essere più facile la collocazione e l'individuazione delle fattispecie incriminatrici.

E' così chiaro ed evidente che la tecnica della delegificazione non permetta di perseguire siffatte esigenze.

Proprio per superare una tale problematicità, il legislatore delegato ha compiuto un importante passo in avanti, introducendo il principio della riserva di codice in materia penale.

La riserva di codice in materia penale

Nello specifico, si tratta del decreto legislativo 21/2018, pubblicato in GU il 22/03/2018 e dunque in vigore dal 6 Aprile scorso, in attuazione della Legge Delega 103/2017, quest'ultima comunemente denominata come Riforma Orlando.

Siffatto decreto ha introdotto nel codice penale l'art. 3 bis a tenore del quale: " nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell'ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia".

La collocazione sistematica della norma è sintomatica dell'importanza e del rilievo che si vuole riconoscere a siffatto principio.

E' una novità di non poco conto dal momento che stabilisce una regola di portata generale, individua un vero e proprio vincolo per il legislatore nell'introduzione di nuove fattispecie incriminatrici.

Queste ultime infatti potranno essere previste solo intervenendo nel codice penale o in leggi che possano essere complete e autosufficienti.

Si potrebbe affermare che ad oggi, in ossequio al principio della riserva di legge, le scelte di politica criminale spettano al Parlamento con la specificazione che debbano essere riportate nel codice penale o in leggi settoriali complete e organiche.

Una tale innovazione comporta naturali e inevitabili ricadute in relazione al principio di colpevolezza, dal momento che rende maggiormente conoscibili, comprensibili e individuabili i precetti e le relative sanzioni.

Non può sottacersi che un'ulteriore e non meno importante conseguenza di tale principio afferisca anche l'effettività della funzione rieducativa della pena, così come emerge dalla lettura della stessa legge delega e delle relazioni illustrative.

Il legislatore delegato non si è limitato a prevedere un siffatto principio affinché operi pro futuro ma ha altresì dato una parziale attuazione dello stesso.

Con la tecnica della cosiddetta "abrogatio sine abolitio" ha abrogato determinate fattispecie incriminatrici contenute in leggi speciali, con contestuale nuova incriminazione attraverso l'inserimento di nuove norme all'interno del codice penale.

Rinviando per il resto al decreto legislativo, si consideri a titolo esemplificativo: l'aggravante della trans-nazionalità prevista sinora dall'art. 4 L. 146/2006, è ad oggi trasposta al nuovo art. 61 bis c.p.; i delitti di tratta e commercio di schiavi e di nave destinata alla tratta di cui, rispettivamente, agli artt. 1152 e 1153 cod. navigazione, sono ad oggi previsti all'art. 601 c.p.; l'interruzione dolosa e colposa di gravidanza di cui all'art. 12 sexies L. 898/1970, sono ad oggi disciplinate all'art. 570 bis c.p.

Si tratta di un'importante occasione per riformare il diritto penale a fronte delle difficoltà, se non addirittura impossibilità, avute in questi ultimi decenni per approvare un nuovo codice penale.

Il principio della riserva di codice si attesta quale tentativo di reazione a questa vera e propria fase di stasi e si auspica possa segnare un punto di non ritorno, rappresentando così l'inizio di una nuova stagione del diritto penale.

Leggi anche Riforma penale: dal 6 aprile in vigore i nuovi reati

D. lgs. 21-2018

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