Per la Cassazione, l'inesistenza è una nozione non contemplata dal codice e da definire, quindi, in maniera assolutamente rigorosa

di Valeria Zeppilli - Con la sentenza numero 5663/2018 qui sotto allegata, la Corte di cassazione è tornata a confrontarsi con la questione della portata effettiva della nozione di inesistenza in ambito giuridico.

Rifacendosi a quanto già affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia numero 14916/2016, i giudici hanno innanzitutto ricordato che il codice di procedura civile non contempla la categoria dell'inesistenza e che pertanto la nozione di inesistenza della notificazione (oggetto specifico del contendere) debba essere definita in termini rigorosi e quindi "confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione".

Notifica inesistente

Ciò, in termini concreti, vuol dire che una notificazione può dirsi inesistente solo nelle seguenti ipotesi:

  • quando vi sia una totale mancanza materiale dell'atto,
  • quando sia posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile l'atto.

In sostanza, la dicotomia nullità / inesistenza deve essere ricondotta alla "radicale bipartizione tra l'atto e il non atto".

Va precisato che, per la Corte, sono elementi costitutivi idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione:

  • l'attività di trasmissione da parte di un soggetto dotato per legge della possibilità giuridica di provvedervi,
  • la fase di consegna, da intendersi come uno qualsiasi degli esiti positivi della notifica previsti dal nostro ordinamento, con esclusione quindi dei soli casi in cui l'atto da notificare venga restituito "puramente e semplicemente" al mittente.

La strumentalità delle forme degli atti

I giudici, sempre richiamando il precedente reso a Sezioni Unite, hanno oltretutto precisato che il codice di procedura civile è interamente permeato dal principio di strumentalità degli atti processuali, in forza del quale le forme degli atti sono prescritte con il solo fine di conseguire un determinato scopo, che coincide con la funzione assegnata al singolo atto nell'ambito del processo. Senza dimenticare che il principio del giusto processo tutela il diritto di ogni persona a che un giudice emetta una decisione sul merito della domanda, con la conseguenza che l'interprete deve sempre preferire le scelte ermeneutiche che garantiscono tale finalità.

Corte di cassazione testo sentenza numero 5663/2018
Valeria Zeppilli

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