Breve excursus sulla vexata quaestio delle proroghe delle concessioni demaniali marittime, partendo dalla disciplina dei beni pubblici sino alla decisione della Corte Europea

di Redazione - I beni pubblici sono strumenti che la PA usa per perseguire i propri interessi e scopi.

Indice

Beni pubblici: la disciplina

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La disciplina è contenuta anzitutto nel codice civile, dagli artt. 822 a 831, dove si distingue il demanio pubblico dal patrimonio indisponibile e disponibile.

Ad ogni categoria corrisponde un regime giuridico diverso: mentre i beni appartenenti al patrimonio disponibile sono assoggettati ad una disciplina essenzialmente privatistica (su cui appunto i soggetti pubblici proprietari hanno poteri e facoltà derivanti da norme di diritto comune), i beni demaniali e indisponibili sono soggetti ad un regime speciale di stampo pubblicistico, proprio in funzione dell'utilità pubblica cui sono strumentali.

In ogni caso, andando oltre le definizioni codicistiche, la legislazione degli ultimi anni, valorizzando quanto affermato dalla giurisprudenza, accomuna le categorie dei beni demaniali e indisponibili, in un'unica nozione di bene pubblico, legata più al dato oggettivo della destinazione che non a quello soggettivo di appartenenza: nasce così la categoria del "bene comune", quale bene della collettività in senso lato.

Beni pubblici: come si realizza l'utilità pubblica

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L'utilità pubblica cui sono destinati i beni demaniali e indisponibili può essere perseguita in diversi modi:

- uso esclusivo (o diretto) da parte della PA;

- uso generale da parte di qualsiasi soggetto pubblico o privato;

- uso particolare da parte di soggetti pubblici o privati.

In tale ultimo caso, viene in rilievo una riserva di utilizzazione del bene che trova la sua fonte nella legge o in un atto amministrativo, come la concessione.

Come chiarito dalla giurisprudenza, i beni demaniali possono formare oggetto di diritti in favore di terzi soltanto nei modi e nei limiti stabiliti dalle norme di diritto pubblico (con esclusione delle norme di diritto comune ex art. 823 c.c.). Tra i modi di utilizzo dei beni disciplinati da tali norme, viene in rilievo la concessione amministrativa, una fattispecie complessa che risulta dalla convergenza di un atto unilaterale autoritativo (la concessione) e di una convenzione integrativa del suo contenuto, di natura privatistica (per questo viene anche chiamata concessione-contratto).

Il concessionario di beni pubblici

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Come chiarito dalla giurisprudenza il concessionario di un bene pubblico, in funzione dell'utilità pubblica del bene, assume il ruolo di sostituto del concedente e, grazie ai poteri pubblici trasferiti in forza del provvedimento di concessione, è investito di una pubblica funzione.

Nei confronti dei terzi, il concessionario è titolare di un diritto di esclusione dall'uso del bene pubblico, che può tutelare sia con le azioni del diritto comune che con i poteri di autotutela.

Nei confronti della PA concedente, invece, il concessionario è titolare di un interesse legittimo al rispetto delle norme.

La giurisdizione

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In tema di concessioni, il Codice del processo amministrativo (art. 133 comma 1 lett. b)) ha introdotto una speciale ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Secondo le tesi dottrinarie (coerenti con la giurisprudenza costituzionale recepita dalle Sezioni Unite della Cassazione), spettano in via esclusiva al GA sia i ricorsi contro atti e provvedimenti concernenti i rapporti di concessione di beni pubblici, sia tutte le controversie riguardanti il rapporto concessorio.

La disposizione citata esclude dalla giurisdizione esclusiva del GA le controversie concernenti le indennità, i canoni e i corrispettivi in analogia a quanto previsto per i servizi pubblici dalla stessa norma alla lett. c).

Tuttavia, la norma si limita soltanto ad eccettuare tali controversie dalla giurisdizione esclusiva del GA ma non le attribuisce al giudice ordinario, avvalorando la tesi secondo cui il contenzioso sulle stesse sia affidato al normale riparto giurisdizionale, in base alla consistenza della situazione soggettiva dedotta (così, ad es., la competenza sarebbe del GO soltanto per le controversie aventi contenuto meramente patrimoniale ma non già se sia messo in discussione il rapporto di concessione).

Concessione beni pubblici: le norme europee

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La disciplina della concessione di beni pubblici non spetta unicamente al legislatore nazionale.

In materia, infatti, influiscono i principi generali dell'ordinamento dell'Unione Europea (derivanti dal Trattato sul funzionamento dell'UE, TFUE), i quali impongono alle PA la scelta del concessionario mediante l'espletamento di una procedura comparativa ad evidenza pubblica.

L'influenza dei principi comunitari ha fatto sì che penetrasse nel diritto interno la nozione europea di contratto di concessione pubblica, legata all'idoneità dell'atto ad attribuire un vantaggio competitivo al beneficiario e all'attenzione alla scelta del contraente, passaggio fondamentale per la tutela della concorrenza.

In merito, la Commissione Europea (con una nota diramata il 14 aprile 2000, poi fatta propria da 2 circolari del Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell'1 marzo e del 6 giugno 2002) ha chiarito che i principi di evidenza pubblica vanno applicati direttamente (self-executing) per come desumibili dal TFUE anche alle fattispecie non contemplate da specifiche disposizioni.

In sostanza, tramite i provvedimenti suddetti, si è precisato che a prescindere dal regime applicabile, tutte le concessioni sono soggette al TFUE e ai principi affermati dalla giurisprudenza europea in materia di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

Coerentemente con questa visione sovranazionale, si sono espressi il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), secondo cui i procedimenti amministrativi tesi al conferimento di concessioni di beni pubblici devono svolgersi con modalità tali da agevolare una reale e trasparente competizione tra i soggetti economici abilitati alla partecipazione, predisponendo condizioni di affidamento e rinnovo atte ad evitare restrizioni ingiustificate della concorrenza e a ridurre la discrezionalità amministrativa nella scelta dei soggetti cui affidare le concessioni.

Corollario di questa visione globale è un chiaro sfavore nei confronti delle proroghe automatiche dei rapporti concessori in scadenza, istituto che nel nostro Paese invece, com'è noto, ha trovato lunga applicazione, sul fronte delle concessioni demaniali marittime.

Concessioni demaniali marittime: la normativa nazionale

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Su tale punto, occorre fare preliminarmente un breve excursus del regime riservato dal nostro legislatore alle concessioni demaniali marittime.

Il previgente art. 37, comma 2, del Codice della navigazione, attribuiva alla scadenza della concessione un "diritto di insistenza" al concessionario.

Tale posizione giuridica è stata a lungo configurata dalla giurisprudenza come un vero e proprio diritto soggettivo del concessionario al rinnovo automatico della concessione in scadenza.

Questa situazione andava a discapito, chiaramente, degli operatori interessati al subentro, in barba ai principi di fonte europea, e ciò ha spinto dottrina e giurisprudenza, nel tempo, a rettificare progressivamente l'istituto, qualificando il diritto del concessionario non più come diritto soggettivo ma come mero limite alla discrezionalità della P.A.

In altre parole, pur restando fermo l'obbligo della procedura di gara, in presenza di una richiesta di rinnovo da parte del concessionario uscente, la PA era tenuta ad attribuire adeguato rilievo al danno che poteva derivare dalla cessazione dello sfruttamento economico della concessione.

Anche siffatta interpretazione della norma codicistica tuttavia legittimava uno status di "favore" al precedente titolare e non era conforme ai principi costituzionali ed europei.

Spiagge: il contenzioso tra Italia e Europa

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Era inevitabile, dunque, che tale situazione venisse sanzionata da parte dell'Europa. Sul punto, infatti, è intervenuta la Commissione UE, attivando una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per l'incompatibilità tra la disposizione sulle proroghe automatiche e il principio della libertà di stabilimento.

Il Governo italiano è corso ai ripari con il DL 194/2009 (poi convertito in legge 25/2010) eliminando la preferenza al concessionario uscente ma introducendo una norma ad hoc che prorogava automaticamente le concessioni in essere e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 sino a tale data (ossia per altri 6 anni).

Prevedibilmente, la Commissione UE ha mantenuto la procedura di infrazione, ravvisando da parte dell'Italia la violazione dell'art. 12 della Direttiva Bolkenstein (Direttiva 2006/123/CE in tema di servizi al mercato interno) e dell'art. 49 TFUE che protegge la libertà di stabilimento.

Così il legislatore è nuovamente intervenuto con la legge comunitaria 217/2011, abrogando il rinvio suddetto con l'art. 11, e attribuendo al Governo la delega per il riordino e la revisione della materia.

Ciò ha condotto la Commissione UE a chiudere la procedura di infrazione nei confronti dell'Italia nel 2012. Ma la partita non si è certo chiusa, visto che con la legge 221/2012 (art. 34 duodecies), il legislatore ha nuovamente modificato l'art. 1 comma 18 del dl 194, introducendo la proroga automatica delle concessioni in scadenza fino al 31 dicembre 2020.

Tar: questione pregiudiziale alla Corte di giustizia UE

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In questa confusione normativa, si è inserita a gamba tesa la sentenza del Tar Lombardia (n. 2401/2014) che ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale sul meccanismo di proroga introdotto dalla legge 221, chiedendo se lo stesso fosse o meno compatibile con i principi sanciti dal TFUE.

Analoga questione è stata posta anche dal Tar Sardegna.

La decisione della Corte UE

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La Corte UE si è espressa in merito il 14 luglio 2016 ribadendo fermamente che:

- il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime è in contrasto con i principi europei di libertà di stabilimento, non discriminazione e tutela della concorrenza;

- il rilascio delle concessioni demaniali marittime deve avvenire esclusivamente attraverso procedure ad evidenza pubblica.

Tuttavia, i giudici di Lussemburgo hanno anche stabilito che:

- la violazione del principio di trasparenza si trasforma in una disparità di trattamento dei potenziali successori del concessionario uscente soltanto per le concessioni di sicuro interesse transfrontaliero (interesse da valutare in base a criteri oggettivi, come l'importanza economica dell'appalto, la collocazione geografica del bene oggetto di concessione, ecc.,);

- sono ammesse disparità di trattamento laddove ricorrano motivi imperativi di interesse generale o l'esigenza di tutelare il legittimo affidamento del concessionario uscente, la cui verifica va valutata di volta in volta;

- compete al giudice nazionale verificare se le concessioni demaniali nazionali rientrino o meno nel raggio applicativo della direttiva Bolkenstein.

La Corte UE ha quindi "optato" per una soluzione che lascia ampi spazi di autonomia al legislatore nazionale, dando rilievo alla tutela dell'interesse economico da parte dei singoli Stati membri.

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