La fattispecie di chi utilizza il collare anti-abbaio va inquadrata nel reato di abbandono di animali di cui all'articolo 727 del Codice Penale

Avv. Francesca Servadei - Con una succinta sentenza la III Sezione dalla Corte di Cassazione, con pronuncia del 24 gennaio 2018, n. 3290 (sotto allegata), ha inquadrato la fattispecie di chi utilizza il collare anti-abbaio nel reato di abbandono di animali di cui all'articolo 727 del Codice Penale.

La vicenda

L'imputato lamentava la carenza probatoria e la mancanza di motivazione.

Gli Ermellini di Piazza Cavour rievocavano un precedente orientamento, sempre espresso dalla III Sezione Penale, la sentenza 38034/2013, affermando che il cane non solo pativa sofferenze fisiche, ma anche patimenti psichici.

Per quanto riguarda il reato di cui all'articolo 727 i Supremi Giudici affermavano che i fini dell'integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale, nè che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti.

Reato il collare anti-abbaio

Nello specifico e soprattutto in relazione al collare anti-abbaio, la Cassazione, riportandosi a precedenti orientamenti (cfr. Sez. 3, n. 21932 del 11/02/2016, Sez. 3, n. 15061 del 24/01/2007), sussumevano che il suo utilizzo concretizzava la fattispecie di cui all'articolo 727 del Codice Penale.

Per quanto riguarda l'elemento oggettivo è stato affermato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione; inoltre con l'inciso abbandono si riferiva non solo l'allontanamento volontario dell'animale, ma anche qualsiasi forma di disinteressamento nei confronti dell'animale.

La Cassazione in definitiva dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento di una somma di denaro.

AVV. FRANCESCA SERVADEI

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Cassazione, sentenza n. 3290/2018

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