Per il Consiglio Nazionale Forense costituisce illecito disciplinare chiedere compensi al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato

di Lucia Izzo - Rappresenta un illecito disciplinare il comportamento dell'avvocato che, in violazione dell'art. 85 D.P.R. n. 115/2002, richieda un compenso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, a nulla rilevando in contrario la circostanza che, quantomeno per colpa, il professionista non fosse a conoscenza dell'ammissione al beneficio stesso.


Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 150/2017 (qui sotto allegata), respingendo il ricorso avanzato dall'avvocato ricorrente a cui il competente COA aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per la durata di due mesi.

La vicenda

La cliente, dopo aver affidato l'incarico al suo legale, era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia, con una successiva lettera, l'avvocato aveva reiterato all'assistita l'invito al pagamento in suo favore di una somma quale acconto per l'attività sino ad allora svolta.


La signora si rivolgeva, pertanto, al competente COA per sapere se era tenuta o meno al pagamento della somma richiestale; il Consiglio contattava, dunque, l'avvocato che contestava di essere a conoscenza della circostanza che la cliente fosse stata ammessa al gratuito patrocinio ed evidenziava di aver svolto l'attività professionale a suo favore senza aver percepito alcunché.


Tuttavia, il procedimento disciplinare nei confronti dell'avvocato si concludeva con una condanna alla sanzione disciplinare della sospensione per due mesi dall'esercizio professionale per aver egli richiesto i compensi nonostante la precedente ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Da qui il ricorso del legale innanzi al CNF.

Illecito disciplinare richiedere compensi al cliente ammesso al gratuito patrocinio

I giudici del Consiglio Nazionale Forense, tuttavia, rilevano come nella vicenda esaminata la depositata istanza di ammissione al gratuito patrocinio recasse la firma dell'interessata autenticata dal proprio difensore; inoltre, anche il decreto di ammissione al beneficio da parte del Giudice di Pace, emesso nello stesso giorno della richiesta, portava la firma del ricorrente per presa visione.


Le due firme apposte dal professionista in calce ai due documenti, spiega il Collegio, non sono mai state disconosciute dal ricorrente, con la conseguenza che gli stessi documenti fanno piena prova della conoscenza da parte dell'attuale ricorrente della circostanza che la propria cliente era stata ammessa al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato.


È documentato per tabulas, infatti, che il ricorrente fosse perfettamente a conoscenza di tale ammissione, ma, nonostante ciò, aveva comunque avanzato richieste di pagamento delle proprie prestazioni professionali all'assistita. Dunque, i rilievi mossi alla decisione del COA sono assolutamente privi di pregio.


Il nuovo Codice Deontologico Forense, art. 29 (Richiesta di pagamento), al comma 8, prevede per tale fattispecie, la sospensione dall'esercizio della professione da 6 mesi a un anno; la pena irrogata all'avvocato ricorrente, appare congrua anche alla luce dell'attenuante della sua incensuratezza disciplinare.

Consiglio Nazionale Forense, sent. n. 150/2017

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